Cinema

Francesco Nuti, e venivo da lontano

Irruppero sulla scena nel 1977, condividendo con altri giovanotti di belle e comiche speranze lo sconclusionato e meraviglioso palinsesto di Non stop, cabaret televisivo senza presentatore e con la briglia sciolta con cui la RAI sorprese l’audience nazionale all’epoca della liberalizzazione delle frequenze.

I Giancattivi si contendevano la leadership della via pratese alla comicità con un altro enfant du pays, Roberto Benigni, che aveva da poco sconvolto la TV di stato con la sua Televacca. Alessandro Benvenuti e Athina Cenci venivano da lontano, e per strada avevano trovato quel ragazzo all’apparenza assai meno estroverso di loro due, ma che proprio per questo suo carattere meno esuberante si era dimostrato capace di fare da perfetta camera di compensazione tra sé e le personalità dei colleghi che quanto ad esubero non erano secondi a nessuno.

I Giancattivi

Francesco Nuti aveva 22 anni quando salì con i Giancattivi sul palcoscenico di Non stop. Ne aveva 26 quando uscì per la prima volta al cinema, sempre con i Giancattivi, con quella deliziosa e dolce-amara rappresentazione della provincia fiorentina che era allora Prato negli anni del boom del tessile, Ad ovest di Paperino. Miracolo economico pagato a volte a caro prezzo e rivoluzione sociale che spediva in giro per un hinterland ostile ma grazie a loro esilarante quei tre ragazzi senza altra arte né parte che la loro comicità.

«Pensieri, ne ho tanti anch’io, però il tempo di lavorare lo trovo», dice loro sprezzante il barista che li ospita obtorto collo ogni giorno in cui i tre tornano alla base scornati e disoccupati, carichi soltanto della verve delle loro battute.

La cifra stilistica dei Giancattivi era tutta lì. Francesco Nuti aveva 27 anni, uno di più, quando si rese conto che lui poteva andare ben oltre, che la sua poetica era fatta di stati d’animo assai più complessi ed a volte drammaticamente raffinati, e lo disse ai colleghi. L’anno dopo, 1982, usciva Madonna che silenzio c’é stasera, secondo capitolo dell’epopea pratese ma rivisitata secondo il gusto del ragazzo che sembrava adesso non più il terzo di un gruppo di meravigliosi casinisti di provincia ma piuttosto uno Charlot capace di far sorridere ed intristire allo stesso tempo. I Tempi moderni di Francesco Nuti erano la storia del disagio, a volte del dramma generazionale vissuto da tanti ragazzi degli anni 70, tra l’economia che smetteva di tirare, il lavoro che si trovava sempre meno, la suggestione perdurante di miti americani che diventavano sempre più difficili e dannosi da rincorrere.

Francesco divenne il Nuti con il film successivo. Io, Chiara e lo Scuro, dove recitava a fianco a Giuliana De Sio, una di quelle attrici top che all’epoca diceva sì ad un copione e ad una parte solo se la convincevano fino in fondo. L’altro comprimario era Marcello Lotti, leggenda vivente del biliardo fiorentino e degli studenti in cerca di diversivi per le loro forche a scuola. Le mattinate passate al Gambrinus a veder giocare lo Scuro, alzi la mano chi con l’età giusta nella Firenze di quegli anni non ne ha messe in fila un bel po’.

«Ottavina di Dio, birilli e partita!» Francesco realizzò una pellicola che non sfigurava per niente rispetto al modello: lo Spaccone di Paul Newman. E – come avrebbe sottotitolato lui – scusate se e poco.

Lo Scuro e il Nuti

Il ragazzo di Prato divenne una star italiana nel giro di due film, seguiti da una serie di altri che allungavano la favola di’Nuti che trasforma in oro tutto icche tocca. Erano attori e attrici di livello a chiedergli una parte nei suoi film, anziché il contrario. Barbara De Rossi, Ornella Muti, la Clarissa Burt – Giulia di Caruso Paskoski, solo per citare alcune delle star che andavano per la maggiore ed a cui la comicità sommessa e improvvisamente a scoppio come quella di un Charlie Chaplin dotato di voce come Francesco finiva per rubare invariabilmente la scena.

La nouvelle vague della comicità toscana diventata nazional popolare si era nel frattempo arricchita di elementi del calibro di Leonardo Pieraccioni e Giorgio Panariello, ma lui c’era sempre, e ogni anno batteva un colpo dei suoi.

La crisi gli arrivò improvvisa e imprevedibile a metà degli anni 90. La rivisitazione della favola di Pinocchio non era oggettivamente nelle sue corde. Le sue erano state storie di gente normale alle prese con sentimenti e fallimenti di tutti i giorni, a ben vedere. Le favole, come sarebbe successo anche a Roberto Benigni, richiedevano ben altra presenza in cabina di regia. Pinocchio era stato raccontato magistralmente dal bresciano Luigi Comencini, Nuti e Benigni non si sarebbero purtroppo dimostrati alla stessa altezza.

Il Nuti e il Benigni

I successivi tentativi di Francesco come regista si rivelarono altrettanti flop, e lui non seppe gestire la sua reale depressione così come aveva gestito a suo tempo quella dei suoi personaggi. Dall’alcoolismo all’ostracismo da parte di un mondo, quello dello spettacolo, che non ti perdona niente e ti liquida appena può, fu assai breve. Un tentativo di riciclarsi nel filone allora in vigore dei polizieschi (Concorso di colpa, ispirato al delitto Moro) fu stroncato dai noti problemi di salute, e non sapremo mai come sarebbe andata a finire, se il nuovo Nuti ce l’avrebbe fatta, come uno dei personaggi delle sue vecchie e fortunate storie.

Nel 2006 successe quello che tutti sanno. Francesco Nuti come l’avevamo conosciuto ed amato se ne andò di fatto quel 3 di settembre in cui ruzzolò le scale di casa sua, per non rialzarsi e non parlare mai più. Nei 17 anni successivi, la povera creatura (a volte sfruttata a fini di show dalla fabbrica dello spettacolo) che rispondeva al nome di Francesco Nuti è diventata un uomo terribilmente sofferente che solo i familiari e pochi amici non hanno abbandonato, credendo ancora in qualche modo in lui fino alla fine, arrivata pochi giorni fa.

Francesco Nuti veniva da lontano, come il suo Willy Signori. Veniva da un mondo in cui siamo stati meravigliosamente ragazzi e abbiamo poi fatto una gran fatica a diventare adulti. Anche perché fosse dipeso da noi saremmo rimasti ragazzi, come quel Nuti che assomigliava tanto a ciascuno di noi.

Addio Francesco……chi ti ha conosciuto negli anni d’oro poi di tanta comicità successiva non si è accontentato più. Come altra gente che è riuscita a strappare un sorriso anche dove proprio non c’era, avresti meritato di più.

Avremmo tutti meritato di più.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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