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Friuli, arriva l’Orcolat

6 maggio 1976, alle 21 circa la terra tremò in Friuli. L’Orcolat, l’essere mostruoso e maledetto che secondo la leggenda popolare vive rinchiuso nelle montagne della Carnia e che ogni tanto si agita per liberarsi, provocò uno spaventoso terremoto. Interi paesi distrutti nel giro di pochi istanti. Un nome per tutti: chi non ricorda ancor oggi quello di Gemona?

Il Friuli commosse il mondo. Non solo per la tragedia che una volta di più tornava a colpire il martoriato (già allora) territorio della nostra Penisola, dilagando in mondovisione come pochi altri eventi erano riusciti a fare. Ma anche e soprattutto per la reazione dei friulani, che pochi minuti dopo le scosse terribili e fatali erano già a rimboccarsi le maniche, prima per contare morti, feriti e danni, poi per ricostruire tutto com’era e dov’era, secondo un celebre motto che si diffuse in quei giorni tra la gente del posto.

E così fu. Mentre Giuseppe Zamberletti muoveva per la prima volta la farraginosa macchina dello Stato a soccorso del nord-est martoriato come nemmeno durante le guerre mondiali (e proprio a Gemona e dintorni gli maturava in testa l’idea che poi avrebbe messo a punto definitivamente cinque anni dopo in Irpinia, della necessità di un Dipartimento Nazionale Protezione Civile), i friulani intanto fecero da sé. Come i fiorentini di dieci anni prima, come la gente del Polesine venticinque anni prima, quando lo Stato arrivò il Friuli si era già rialzato in piedi. Da solo.

A settembre la terra tremava ancora, ostacolando l’opera di ricostruzione. Ma la Regione Friuli-Venezia Giulia ormai era determinata a riavere quella sua terra e quei suoi paesi così com’erano e dov’erano stati, il prima possibile. L’opera di ripristino fu dichiarata conclusa a metà anni 80, allorché gli ultimi abitanti dei 40.000 sfollati dopo il sisma poterono fare rientro nelle loro case non più lesionate.

In dieci anni gli effetti di uno dei peggiori terremoti della storia d’Italia erano stati cancellati. Un tempo record, come record fu il costo: soltanto ventinove miliardi di lire di allora, metà stanziati dallo Stato, metà dalla Regione a Statuto Speciale.

Quella del Friuli fu l’ultima epopea popolare italiana, nella secolare lotta contro una natura ostile in un paese dove miseria e incuria dei governanti rendevano precarie le condizioni di vita da tempo immemorabile. La gente, in Friuli, si rimboccò le maniche per l’ultima volta.

Già in Irpinia, nel 1981, la storia sarebbe andata diversamente. Per non parlare di Umbria e Marche, nel 1997, fino alla gestione scandalosa del terremoto dell’Aquila nel 2009. Dov’era e com’era la gente, adesso c’é lo Stato. Uno Stato i cui danni non esiste scala, né Richter né Mercalli, in grado di misurare.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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