Che non fosse uno qualsiasi, lo si vide già alla nascita. Il romano de Roma Fulvio Bernardini nacque il 28 dicembre 1905, ma come succedeva allora di frequente fu registrato all’Anagrafe solo il 1° gennaio 1906. Fuffo, come l’avrebbero chiamato i tifosi capitolini (prima che il suo soprannome diventasse, a seguito delle sue imprese, Il Dottore), fu straordinario tutta la vita.
Unico giocatore della storia d’Italia a cominciare portiere e finire centravanti, a giocare sia per la Lazio che per la Roma e a farsi amare da entrambe le rispettive tifoserie, ad essere il primo giocatore non del nord ad essere convocato in Nazionale (peraltro scartato per i mondiali del 1934 perché troppo vecchio – e troppo primadonna, dicono – da Vittorio Pozzo, destinato poi a vincere lo stesso, come succede a volte agli audaci), ma soprattutto primo allenatore dell’epoca moderna a vincere lo scudetto al di sotto del Po. E questo onore, insieme appunto al soprannome di Dottore, gli fu tributato per l’appunto a Firenze.
Bernardini arrivò alla Fiorentina nel 1953, aveva poche esperienze alle spalle come mister (e un bruciante esonero patito proprio nella natia Roma), ma il presidente Befani era in quegli anni come Re Mida, tutto quello che toccava diventava oro. L’intuizione di scommettere su quel giovane tecnico si rivelò pagante come tutte le altre del grande presidente pratese, e nel giro di tre anni i viola poterono appuntarsi sulle maglie lo scudetto.
Il Dottore era un teorico di un gioco innovativo, il cosiddetto WM elastico, e soprattutto dell’aggressione degli spazi liberi. Predicava ai suoi di passare la palla non al compagno libero, ma nello spazio libero dove il compagno poteva arrivare prima del difensore avversario. Precursore del gioco all’olandese di circa vent’anni, era anche convinto però che non ci fosse schema che tenga, l’importante era avere a disposizione i cosiddetti piedi buoni, termine che entrò nella letteratura calcistica grazie a lui.
Bernardini rimase alla Fiorentina fino al 1958, giusto il tempo di collezionare due secondi posti, dei quali soprattutto l’ultimo con molte recriminazioni su presunti favoritismi al Milan vincitore. Passato alla Lazio, vinse una Coppa Italia l’anno successivo. Nel 1964 un altro capolavoro, lo scudetto al Bologna che tremare il mondo fa, quando Bulgarelli & C. sconfissero la Grande Inter di Herrera nello storico spareggio.
L’ultima impresa di una leggendaria carriera il Dottore la compì 10 anni dopo, allorché dopo il disastro di Valcareggi ai Mondiali di Germania del 1974 fu chiamato dalla Federcalcio a gestire la rifondazione. Fu anche l’ultimo incrocio – splendido – con la Fiorentina. Furono molti i viola prima o dopo chiamati a vestire la maglia azzurra dal tecnico romano, che cercava quei piedi buoni necessari per avviare un nuovo ciclo vincente, da quell’Andrea Orlandini a cui affidò la marcatura nientemeno che di Johann Cruyff a Rotterdam nell’ottobre 1974 a quel ragazzo che lui stesso definì colui che gioca guardando le stelle, quel Giancarlo Antognoni che fu uno dei principali gioielli lasciati in mano al suo successore Enzo Bearzot che con lui sarebbe arrivato in cima al mondo nel 1982.
Tra i tanti primati collezionati dal leggendario Fulvio, purtroppo, c’è anche quello che causò la sua prematura dipartita il 13 gennaio 1984. E’ stato uno dei primi ex calciatori ad andarsene a causa del Morbo di Gehrig, oggi meglio conosciuto come Sclerosi Laterale Amiotrofica, o SLA.
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