Il campo di battaglia di Gettysburg (foto Timothy H. O’Sullivan, 5 luglio, 1863)
A Gettysburg si era combattuto per tre giorni, dal 1 al 3 luglio 1863. Era stato un massacro, con 46.000 circa tra morti, feriti, prigionieri e missing in action, tutti equamente ripartiti tra Unionisti e Confederati. Era stato il punto di svolta della Guerra Civile americana. Con il senno di poi sappiamo che il Sud non avrebbe mai potuto vincere contro un Nord più popoloso ed avanzato economicamente. Ma se avesse avesse prevalso nella sanguinosa battaglia scatenata dal generale Robert Lee contro l’Armata del Potomac, aprendosi la strada per la Pennsylvania e le ricche contee nordiste, la Confederazione avrebbe potuto arrivare ad imporre agli Stati Uniti una pace negoziata. E la storia d’America e del mondo intero sarebbero cambiate in maniera inimmaginabile.
Abraham Lincoln arrivò a Gettysburg quattro mesi dopo, quando il fronte della guerra la cui inerzia ormai aveva preso la direzione verso sud si era ormai allontanato e a Washington qualcuno aveva preso la decisione di trasformare l’immenso e storico campo di battaglia in un altrettanto immenso sacrario in memoria e onore di chi vi aveva combattuto e vi aveva perso la vita.
Al Presidente, che cominciava a intravedere per la prima volta in quei giorni il buon esito della sua lotta per l’abolizione della schiavitù e per la trasformazione dell’Unione delle ex colonie inglesi in una vera nazione di liberi ed eguali così come recitavano la Dichiarazione di Indipendenza e la Costituzione redatte a suo tempo in quella Philadelphia che aveva sentito da vicino le cannonate sparatesi a vicenda dai soldati in grigio e in blu a Gettysburg, fu chiesto di pronunciare un’orazione commemorativa.
Lincoln in quei giorni era sofferente, probabilmente dei postumi di una infezione di vaiolo. Il suo discorso fu insolitamente breve, anche se a detta di tutti assai ispirato. Gli umanisti vi avrebbero scorto addirittura echi di Tucidide nell’epitaffio di Pericle per i caduti della Guerra del Peloponneso, o della prefazione di John Wycliff per la Bibbia tradotta in inglese, primo caso nella storia umana di traduzione del testo sacro del cristianesimo in una lingua volgare, diversa dal latino.
In realtà, nel pur sofferto discorso di Lincoln c’erano echi soprattutto di Lincoln. Che ci permettono di immaginare che se il Presidente non fosse caduto sotto i colpi di John Wilkes Booth subito dopo la fine della guerra, anche in quel caso la storia americana e del mondo avrebbero potuto essere diverse. L’ex avvocato del Kentucky, tranquillizzato ormai circa l’esito finale della causa a cui aveva votato la sua vita, pronunciò a Gettysburg il 19 novembre 1863 un discorso sostanzialmente pacificatore, da cui si ricava che nella sua concezione il Blu aveva combattuto non per sottomettere il Grigio (o per poi vendicarsene ed approfittarsene, come sarebbe successo in realtà nel dopoguerra, che la ex Confederazione avrebbe scontato per i lunghi anni di una sostanziale occupazione militare e sottomissione politico-economica), ma perché da quella guerra fratricida finisse per nascere una nazione migliore, unita e finalmente ispirata alle parole di Thomas Jefferson e degli altri Padri Fondatori. Una nazione che, se avesse seguito le idee del Presidente assassinato al Ford’s Theatre di Washington, non avrebbe tra l’altro vissuto tra i problemi laceranti del dopoguerra quello dell’impossibile integrazione fra bianchi (vincitori e vinti) e neri affrancati dalla schiavitù, in quanto secondo i piani di Lincoln questi ultimi avrebbero dovuto essere tutti rimpatriati in apposite zone dell’Africa come la Liberia.
La storia non si fa con i se ed i ma. Tuttavia le parole di Lincoln a Gettysburg fanno pensare che qualche se, anche in quella circostanza ed in quel luogo dove si combatté la guerra civile americana, avrebbe potuto determinare conseguenze del tutto differenti.
«Or sono sedici lustri e sette anni che i nostri avi costruirono su questo continente una nuova nazione, concepita nella Libertà e votata al principio che tutti gli uomini sono creati uguali. Adesso noi siamo impegnati in una grande guerra civile, la quale proverà se quella nazione, o ogni altra nazione, così concepita e così votata, possa a lungo perdurare.
Noi ci siamo raccolti su di un gran campo di battaglia di quella guerra. Noi siamo venuti a destinare una parte di quel campo a luogo di ultimo riposo per coloro che qui dettero la loro vita, perché quella nazione potesse vivere. È del tutto giusto e appropriato che noi compiamo quest’atto. Ma, in un senso più ampio, noi non possiamo inaugurare, non possiamo consacrare, non possiamo santificare questo suolo.
I coraggiosi uomini, vivi e morti, che qui combatterono, lo hanno consacrato, ben al di là del nostro piccolo potere di aggiungere o portar via alcunché. Il mondo noterà appena, né a lungo ricorderà ciò che qui diciamo, ma mai potrà dimenticare ciò che essi qui fecero. Sta a noi viventi, piuttosto, il votarci qui al lavoro incompiuto, finora così nobilmente portato avanti da coloro che qui combatterono.
Sta piuttosto a noi il votarci qui al grande compito che ci è dinnanzi: che da questi morti onorati ci venga un’accresciuta devozione a quella causa per la quale essi diedero, della devozione, l’ultima piena misura; che noi qui solennemente si prometta che questi morti non sono morti invano; che questa nazione, guidata da Dio, abbia una rinascita di libertà; e che l’idea di un governo del popolo, dal popolo, per il popolo, non abbia a perire dalla terra.»
(discorso di Abraham Lincoln a Gettysburg il 19.11.1863, nella versione riconosciuta e conservata dalla Biblioteca del Congresso di Washington)
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