Le Olimpiadi avevano riproposto in epoca moderna la vecchia idea di fondo dell’antica Grecia secondo cui se le nazioni si fossero affrontate periodicamente sui campi sportivi molta della loro adrenalina sarebbe scorsa in modo indolore e addirittura piacevole. Ogni popolo avrebbe avuto i suoi eroi, le sue imprese, la sua epica, e tutto senza bisogno di spargere una sola goccia di sangue.
L’idea aveva funzionato a corrente alternata. Il ventesimo secolo aveva ereditato dai precedenti troppi conti in sospeso perché nazioni e popoli che si detestavano da tempo immemorabile accettassero di risolvere le loro contese con una medaglia d’oro al collo del migliore dei loro atleti.
Nel 1916, il Comitato Olimpico Internazionale aveva affidato l’organizzazione dei Giochi Olimpici per la prima volta alla Germania. L’edizione, com’é noto, non si sarebbe disputata, preferendo il paese organizzatore affidare i propri sogni di gloria ad altri campi e ad altri attrezzi rispetto a quelli omologati dal C.I.O.. La cosa si ripeté nel 1940, stavolta il prescelto era il Giappone, che per tutta la seconda parte degli anni trenta aveva tuttavia preferito prepararsi ad un altro genere di confronto.
Dopo le ecatombi delle due guerre mondiali, in epoca più recente i Giochi sono stati segnati da vari boicottaggi, diversamente motivati. La tregua olimpica, per cominciare ad avere veramente un senso, ha dovuto attendere la fine del mondo diviso in blocchi e l’avvento di un secolo, il ventunesimo, in cui l’uomo non ha smesso di fare guerra a se stesso, ma ha cominciato a farla con le armi dell’economia e della biologia. I giochi di Tokyo sono stati sospesi per la seconda volta nella storia, ma stavolta – per quanto a collo torto – alla fine sono andati comunque in scena.
Olympia affascina le generazioni da sempre, ma non è mai bastata. Da quando il cannone sparò l’ultimo colpo in Europa nel maggio del 1945, i visionari che ritennero di poter organizzare il vecchio e rissoso continente negli Stati Uniti d’Europa misero a punto varie strategie perché almeno le nuove generazioni si abituassero fin dalla più tenera età a sentimenti di amicizia in luogo della rivalità. L’esistenza delle nuove istituzioni comunitarie e la nascita della televisione dettero una mano consistente in tal senso. Toccò all’Italia l’onore dell’invenzione di un format che avrebbe finito per simboleggiare più di ogni altro il nuovo corso della storia europea.
Nel 1952 la Rai aveva lanciato Campanile sera, una trasmissione condotta dagli astri emergenti Mike Bongiorno ed Enzo Tortora che vedeva affrontarsi sul campo dell’onore della cultura e dell’atletica di volta in volta le rappresentanze di vari paesi d’Italia di provincia, secondo la formula nord contro sud. Il programma ebbe tale successo da mettere in fila più di cento puntate, e di farsi vendere bene alla TV francese, che lo ripropose ribattezzandolo Intervilles.
Da lì, la cosa passò in mano, clamorosamente, all’Eliseo. Charles De Gaulle, l’eroe della resistenza francese al nazismo e fondatore della Quinta Repubblica francese aveva in mente un’Europa del dopoguerra che si liberasse della tutela delle due superpotenze e si reggesse in equilibrio sull’asse franco-tedesco. Favoriva pertanto tutte le iniziative intese a rafforzare l’amicizia tra i due paesi fino a poco tempo prima acerrimi nemici. Una di queste iniziative, scaturita dalla sua mente fervida, si chiamava Jeux sans frontieres.
Nel 1965, dato il successo ed il valore in prospettiva della trasmissione, i francesi proposero la partecipazione ad essa a tutte le nazioni facenti parte del MEC, con l’aggiunta di Regno Unito e Svizzera. Il vecchio format della RAI tornò quindi in Italia con nome francese e patrocinio della Comunità Europea, che ne affidò la realizzazione e messa in onda all’Unione Europea di Radiodiffusione (European Broadcasting Union), l’organizzazione internazionale che associava ed associa tutt’ora diversi operatori pubblici e privati del settore della teleradiodiffusione sulle varie scale nazionali e che gestisce tra l’altro i canali dell’Eurovisione.
Giochi senza frontiere nacque così, con cadenza periodica stagionale, e forse riuscì là dove le Olimpiadi ancora stentavano. Per 17 stagioni, dal 1965 al 1982, giovani provenienti dalle cittadine di tutta l’Europa occidentale (solo negli anni 70 sarebbe entrata a far parte delle nazioni partecipanti la Jugoslavia, formalmente non allineata al Patto di Varsavia) si sarebbero sfidati in prove atletiche di squadra che avevano il comune denominatore di essere anche assai bizzarre e divertenti.
Storici conduttori nonché giudici arbitri della euro-competizione furono due ex arbitri di Hockey su ghiaccio prelevati dalla televisione svizzera: Gennaro Olivieri e Guido Pancaldi. Nelle case degli italiani e degli europei sarebbe diventato parte della colonna sonora esistenziale il celebre richiamo: attention….trois…..deux…un!, con cui i due davano via a tutte le gare, e sarebbero entrati nell’uso comune modi di dire in lingua francese come fil rouge, la prova speciale che ogni squadra nazionale doveva affrontare e che poteva dare in extremis la vittoria anche alla concorrente più attardata, soprattutto se su di esso veniva giocato il jolly, a raddoppiare il punteggio.
Per l’Italia, storici conduttori delle prime edizioni del programma furono Rosanna Vaudetti e Giulio Marchetti, che poi verso la fine degli anni settanta lasciarono il microfono ad un altro grande personaggio della tv di quegli anni, Ettore Andenna, che aveva già raccolto da Febo Conti la non facile eredità di Chissà chi lo sa .
Per 17 stagioni, dunque, il dilettevole si unì all’utile, l’intrattenimento all’educazione, il divertimento all’amicizia tra giovani che si avviavano a diventare futuri padroni di un’Europa dove le parole d’ordine sarebbero diventate Interrail, Erasmus, Unione e appunto sans frontieres. Apprendemmo dell’esistenza di località tralasciate o soltanto sfiorate dalle nostre nozioni geografiche, e ci intristimmo a vedere comparire sul teleschermo i nomi di località che i nostri nonni e genitori conoscevano bene, come Pula e Rjieka. L’ultima volta che le avevamo viste avevano i nomi italiani di Pola e Fiume. Diversamente da quanto suggeriva il nome del gioco e della trasmissione, lì una frontiera c’era ancora, e tagliava fuori l’Italia da terre che da tempo immemorabile avevano appartenuto alla sua geografia, alla sua lingua, alla sua cultura.
Apprendemmo comunque che ragazze e ragazzi che provenivano da Gyöngyös, Blackpool, Colleville-sur-mer, Antwerp, Igoumenitsa, Vieira do Minho a ben vedere assomigliavano in quasi tutto e per tutto ai nostri, mandati a giocare da Senigallia, da Andalo o da Marostica. E per tanto, aveva sì un senso dannarsi come disperati per arrivare al traguardo scivolando sul sapone o finendo giù in fossati colmi d’acqua, mentre a casa i telespettatori si sganasciavano dalle risate. Ma poi alla fine doveva risolversi il tutto con un grande abbraccio e qualche parola di amicizia e di fratellanza scambiata in quella lingua inglese che stava rapidamente diventando l’idioma comune dei giovani.
Nel 1982 il mondo che cambiava di nuovo evolvendosi verso forme di aggregazione più sofisticate o preparandosi a mettere in discussione le precedenti, vedeva l’avvento di nuovi format televisivi e nuovi networks, per i quali Jeux sans Forntieres non aveva più appeal. O così almeno sembrava ai signori dei palinsesti. Nel 1988, un anno prima che il muro di Berlino venisse giù abbattendo le ultime frontiere che avevano impedito al gioco ed alla trasmissione di diventare integralmente e compiutamente europei, JSF fu richiamata in vita a furor di popolo, sempre con la conduzione per l’Italia di Andenna e con l’aggiunta di nuove nazioni come Ungheria, Cecoslovacchia, Slovenia. Perfino la Tunisia, che dette al format una quarta sponda inattesa, facendone una seria concorrente dei Giochi del Mediterraneo.
Questo secondo round andò avanti fino al 1999. JSF non sopravvisse al millennium bug introdotto nelle televisioni da uno spirito nuovo già proiettato verso un nuovo secolo per il quale le coordinate del vecchio non avevano davvero più senso. I giovani della nuova generazione erano diventati davvero i padroni dell’Europa che adesso si chiamava UE, ed il vecchio gioco a base di sapone e gavettoni d’acqua faceva ormai tenerezza. Anche se, ha raccontato Andenna, ancora fino al 2005 e dintorni le lettere di protesta alla RAI per la soppressione del programma si sarebbero contate nell’ordine delle migliaia.
Ogni tanto JSF viene riproposto, con tutto lo sfarzo del colore che ai vecchi tempi non aveva e con tutte le risorse ed i potenti mezzi delle televisioni contemporanee. Ma non è più la stessa cosa. Non può esserlo. I ragazzi di quella televisione ormai non ci sono più, o sono vecchi. E per loro la vita di tutti i giorni è diventata insidiosa più di una pedana insaponata di quel vecchio gioco. E maledettamente, terribilmente carica di una insostenibile nostalgia.
Qui sotto, la chiamata ai Giochi:
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