Basket

I believe I can fly, i sessant’anni di Michael Jordan

Tempo di anniversari. Tempo per il Basket di ricordarsi di tutti i motivi per cui molti lo definiscono lo sport più bello del mondo. Tempo in cui i Giganti del Basket, anche se magari non sono più alti e forti di quelli di una volta, tornano a sembrare appunto giganti, ad assomigliare alle leggende che dettero origine a quella definizione.

Lo sport più vero, esaltante, agonisticamente estenuante del mondo, di sicuro. Trovatene un altro in cui all’ultimo minuto di gioco il risultato può cambiare anche dieci volte. In un batter di ciglia si può vincere o perdere, e un’intera stagione acquista o perde senso. Partite che hanno una manciata di secondi a finire, e in realtà non finiscono mai. Azioni che durano una frazione di secondo, fino a che qualcuno vola in aria all’altezza del primo piano di casa vostra. Palloni che rotolano sul ferro del canestro per interminabili istanti, e poi come la forbice delle Parche tagliano o salvano vite sportive, escono fuori o scivolano dentro, determinando trionfi e sconfitte, carriere e destini.

Oggi celebriamo il compleanno di colui che di questo sport è stato il più grande interprete. Come Pelé, Mohamed Alì, Arthur Ashe, anche il Basket ha avuto la sua Perla Nera. Giocava nell’NBA (e dove se no?) nei Chicago Bulls, e in una indimenticabile estate del 1992, a Barcellona, portò al trionfo e alla leggenda una squadra che si chiamava Dream Team, la nazionale olimpica americana, 15 fuoriclasse come non si erano mai visti tutti insieme, dei quali lui riuscì ad essere il più grande anche in quella circostanza.

Barcellona 1992

Barcellona 1992

Michael Jordan abbandonò il basket nel 1993, credendo di aver vinto tutto e di poter tentare la sorte in un altro sport, il Baseball. Il padre appena scomparso era stato un giocatore del diamante, ed il figlio volle rendergli omaggio. Non funzionò, e MJ tornò a ciò per cui Dio lo aveva creato, ma non prima di aver lasciato traccia di sé anche nel cinema.

La Warner Bros lo scritturò per la più divertente e deliziosa partita interstellare di tutti i tempi. Space Jam, in cui i Looney Tunes affrontavano nientemeno una squadra di mutanti marziani che avevano rubato il talento ai suoi vecchi compagni del Dream Team.

Per la colonna sonora, tra i brani pop e di vario genere selezionati fu inserita questa I believe I can fly, che introduce il film sulla sequenza di un Michael Jordan bambino che infila canestri su canestri nel cortile dietro casa, mentre il padre gli dà preziosi consigli su come arrivare al top.

Che dire? Il vecchio cronista, ex giocatore di Basket che adesso scrive queste note, ogni volta che rivede questo film e le immagini della carriera di MJ si commuove. E spera quest’oggi di fare lo stesso regalo anche a voi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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