Accadde Oggi

I Patti Lateranensi

Mussolini ed il cardinal Gasparri firmano il Concordato

Mussolini ed il cardinal Gasparri firmano il Concordato

Sul letto di morte, il Conte di Cavour aveva dettato ai suoi successori il suo testamento politico e la direttrice maestra che la politica del nuovo stato unitario italiano avrebbe dovuto seguire. «Libera Chiesa in libero Stato».

Cavour

Cavour

Era uno dei cardini del liberalismo allora imperante. Più facile a dirsi che a farsi. Il Papa di Roma non era soltanto un capo spirituale, ma anche temporale. Il suo potere terreno si estendeva su territori che il Regno d’Italia per l’appunto reclamava per sé. Lo stesso Cavour aveva detto esplicitamente, prima di morire, che il nuovo Stato non poteva avere altra capitale che quella che 25 secoli di storia gloriosa gli assegnavano inderogabilmente: Roma.

Gli italiani entrarono a Porta Pia non appena Papa Pio IX perse il suo ultimo difensore, Napoleone III di Francia. Il Quirinale divenne il palazzo del Re d’Italia, dopo essere stato per secoli la sede dei successori di Pietro. Al capo della Chiesa Cattolica il regno di Vittorio Emanuele II di Savoia offrì di mantenere in proprietà un territorio e delle residenze appena sufficienti ad assicurare a lui ed al governo della Chiesa medesima una adeguata residenza, ed una serie di guarentigie (garanzie) sufficienti ad assicurarne anche l’indipendenza.

Città del Vaticano cominciò ad esistere nel momento in cui il nuovo Stato trasferiva la sua capitale nella Città Eterna ed il Savoia si insediava al Quirinale. A colui che giuridicamente era ritornato ad essere nient’altro che il suo Vescovo di Roma, lo Stato assegnava generosamente i Palazzi Apostolici, il riconoscimento dell’indipendenza del clero e della sua guardia armata svizzera ed una dotazione finanziaria di circa tre milioni di lire di allora all’anno. Era una concessione unilaterale, Pio IX la ritenne insufficiente ed oltraggiosa e reagì decretando il divieto per tutti i cattolici di partecipare alla vita politica del nuovo Stato di cui erano cittadini.

G. Altobelli - Ricostruzione della breccia di Porta Pia - 1870 - fotografia - Istituto per la Storia del Risorgimento - Roma

G. Altobelli – Ricostruzione della breccia di Porta Pia – 1870 – fotografia – Istituto per la Storia del Risorgimento – Roma

Era nata così la questione romana, che ancora negli anni venti del secolo ventesimo creava non poche difficoltà sia alla Chiesa che allo Stato. Che nel frattempo era diventato quello governato da Mussolini e dal suo Partito Nazionale Fascista. Nel 1919 il non expedit, il divieto per i cattolici di far politica, era stato di fatto revocato, consentendo tra l’altro la nascita del Partito Popolare di Don Sturzo, poi travolto come tutti gli altri dalla Marcia su Roma e dall’instaurazione del regime mussoliniano. Dieci anni dopo, Chiesa e Stato erano tutt’altro che liberi, e per di più vivevano ancora come due separati nella stessa casa.

Il Papa Pio che regnava allora sul Soglio di Pietro, l’Undicesimo del suo nome, aveva sostanzialmente rinunciato alla restituzione dello Stato della Chiesa, ormai sorpassata dai tempi. Ma sentiva il bisogno di regolare la vecchia pendenza lasciata dal suo omonimo, il Nono del suo nome. E sentiva ancor più l’esigenza di evitare che le organizzazioni cattoliche ed in generale l’attività della Chiesa non finissero coinvolte nella censura e nella repressione che il Fascismo stava operando nei confronti di tutte le altre realtà politiche e sociali.

PattiLateranensi200211-003Dall’altra parte, Benito Mussolini aveva rinunciato alla parte laica, progressista e riformista del programma dei primi Fasci di Combattimento a Sansepolcro, e aveva rinunciato anche al vecchio temperamento anticlericale dei suoi trascorsi socialisti. La Chiesa Cattolica, per quanto prevedibile fattore di ostacolo al progresso di un paese che il Duce del Fascismo voleva trasformare in grande potenza, era pur sempre una realtà con cui fare i conti, e farli per bene. Il Vicario di Cristo gestiva ancora sulla terra un potere enorme, e conquistare alla causa fascista i suoi seguaci – o almeno rappacificarli con essa e con il vecchio Stato da essa ereditato dal Risorgimento – gli avrebbe valso una bella ipoteca positiva sul futuro.

Le trattative procedettero in segreto. Per la Chiesa trattò Francesco Pacelli, fratello di quell’Eugenio che sarebbe diventato il dodicesimo Papa Pio. Per lo Stato il magistrato Domenico Barone. Quando il testo fu pronto, la Chiesa ne propose la firma il giorno 11 febbraio 1929, anniversario del giorno in cui era apparsa per la prima volta la Madonna a Lourdes, a sottolineare il carattere miracoloso che la Chiesa attribuiva a quell’evento. Benito Mussolini era diventato l’uomo della provvidenza non soltanto per i fascisti, ma a quel punto anche per i cattolici.

PattiLateranensi200211-002Ci furono alcuni dissidi tra i liberali superstiti, tra cui spiccò quello del senatore Benedetto Croce, ma Senato e Camera dei Fasci e delle Corporazioni ratificarono il Concordato tra Chiesa e Stato quasi all’unanimità. Con i Patti cosiddetti Lateranensi, firmati cioé nel Palazzo Apostolico di San Giovanni in Laterano, lo Stato italiano sanciva il riconoscimento dello Stato straniero – il cui territorio insisteva sul proprio – di Città del Vaticano, gli riconosceva altresì un indennizzo vicino al miliardo di lire di allora per i territori persi all’epoca di Porta Pia, gli confermava tutte le guarentigie del 1871 esentando tra l’altro tutti i vescovi, a cominciare da quello di Roma, il Papa, dal giuramento di fedeltà allo Stato medesimo.

PattiLateranensi200211-004La Chiesa, a decorrere dal mezzogiorno di quell’11 febbraio 1929, diventava uno Stato sovrano, ed il Papa un capo di Stato a tutti gli effetti. Ultimo – ma non meno importante, anzi -, il Regno d’Italia riconosceva la religione cattolica quale religione di stato, mettendo fine alla aconfessionalità liberale del nostro ordinamento giuridico voluta dai padri risorgimentali.

PattiLateranensi200211-005La nuova Costituzione democratica sorta dalla Resistenza, per entrare in vigore, si trovò quindi un bel problema da risolvere, negli anni 1946-47. Per molti versi il contenuto dei Patti Lateranensi urtava contro la sensibilità di chi dopo aver sconfitto la dittatura laica adesso si aspettava anche il ritorno ad un vivere civile e politico non confessionale. De Gasperi era consapevole di essere a capo di un partito, la Democrazia Cristiana, che era decisamente confessionale. Aveva inoltre da tenere in conto le considerevoli pressioni del Vaticano, che non aveva nessuna voglia di perdere le guarentigie implementategli da Mussolini e che aveva il potere, nell’Italia di quel disastroso dopoguerra, di farsi ascoltare con molta autorevolezza.

Dall’altra parte c’era Togliatti, a capo di un partito, quello Comunista, che era facile prevedere assolutamente ostile a qualsiasi privilegio ecclesiastico nel paese che si andava a ricostruire e nell’ordinamento che si sperava finalmente e compiutamente democratico.

La proposta comunista dell’inserimento nel testo costituzionale di quello che sarebbe stato approvato come articolo 7 («Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. L’Italia riconosce la religione cattolica come religione di stato. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.»), colse tutti pertanto di sorpresa.

Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti

Alcide De Gasperi e Palmiro Togliatti

Il P.C.I. intese barattare quella concessione – estremamente illiberale, tanto da far storcere la bocca a molti de suoi stessi militanti – con un salvacondotto che gli permettesse di continuare ad esistere ed operare politicamente nell’Italia che stava aderendo al Patto Atlantico, mentre negli altri paesi occidentali i partiti omologhi venivano tutti messi più o meno fuorilegge.

L’articolo 7 rimase per quasi tutta la Prima Repubblica come un macigno sullo stomaco della neonata democrazia italiana. La norma costituzionale dava tra l’altro un potere contrattuale determinante alla Chiesa in ordine alla modifica della Carta Costituzionale stessa, istituendo un paradosso giuridico: o procedura ordinaria ma solo se concordata, o altrimenti unilaterale ma con modifica della Costituzione nella prevista procedura aggravata.

Fino al 1977 ed alla Riforma Falcucci, l’11 febbraio era festa a scuola. Finì tra le festività soppresse dal governo Andreotti. Perché finissero tra le norme soppresse almeno quelle ormai percepite come antidemocratiche e mantenute in vigore dall’art. 7 e dal Concordato che aveva recepito nella nostra Costituzione, bisognò aspettare qualche altro anno, e l’avvento di un altro uomo che sul momento sembrava anch’esso mandato dalla provvidenza: Bettino Craxi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

Lascia un commento