Ci sono delle immagini istantanee che riescono a sintetizzare e a riassumere una intera vita politica, o comunque pubblica, più di centomila parole. Qualunque cosa un personaggio abbia fatto prima o farà dopo, quello è il momento (immortalato dalle telecamere o dai fotografi) in cui egli ha consegnato alla storia il suo paradigma umano e politico. Così, ci ricordiamo Giovanni Leone per il gesto scaramantico delle corna rivolto agli studenti che lo contestavano, Sandro Pertini per il gesto della mano al secondo gol di Tardelli al Santiago Bernabeu di Madrid nella finale del Mondiale 1982 a significare «Non ci riprendono più!», Oscar Luigi Scalfaro per l’indice sollevato ed il pugno quasi sbattuto sul tavolo durante il celebre messaggio agli italiani del «Non ci sto!».
Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica italiana dal 1999 al 2006, ce lo ricorderemo soprattutto per quella mano appoggiata per lunghissimi istanti sulla bara di uno dei militari italiani appena riportati in patria dopo l’attentato di Nassiryia, il fatto di sangue più tragico e con il maggior numero di vittime in cui è stato coinvolto il nostro esercito dopo la Seconda Guerra Mondiale.
E’ stato tante cose Carlo Azeglio Ciampi, nella sua vita privata prima e nella sua carriera politica poi. Studente modello dai Gesuiti e poi alla Scuola Normale di Pisa, alla quale fu ammesso addirittura da un esaminatore celeberrimo quale Giovanni Gentile, poi laureato in Lettere e subito dopo, si era nel 1941, sottotenente del Regio Esercito italiano comandato in Albania. L’8 settembre lo sorprese mentre era in permesso in Italia. Rifiutò di aderire alla Repubblica Sociale Italiana e si unì ai partigiani andando a rifugiarsi sulle montagne dell’Abruzzo, dove il suo vecchio maestro, il filosofo Guido Calogero lo avvicinò al Partito d’Azione, la formazione di resistenti che si ispirava alle idee liberali e socialiste di Giustizia e Libertà dei Fratelli Rosselli e che era la più importante per consistenza dopo quella di matrice comunista.
Nell’inverno del 1944 il suo gruppo attraversò le linee tedesche per andare a ricongiungersi con gli Alleati, in quel momento fermi davanti alla Linea Gustav, il fronte tedesco che correva da Cassino ad Ortona. La durissima marcia tra le montagne innevate della Maiella si concluse felicemente, ed il Sottotenente Ciampi, giunto a Bari, poté fare due cose: arruolarsi nel ricostituito Esercito Italiano che proseguiva la guerra al fianco degli Alleati, ed iscriversi formalmente al Partito d’Azione.
Tornato alla vita civile, nello stesso anno – il 1946 – sposò la fidanzata Franca Pilla conosciuta negli anni di studio a Pisa, sempre a Pisa alla Normale conseguì una seconda laurea, questa volta in Giurisprudenza, e partecipò vittoriosamente al concorso come impiegato della Banca d’Italia, dove sarebbe rimasto per 47 anni, gli ultimi 14 dei quali da Governatore. La sua carriera dentro la Banca fu rapida, come era in carattere con il personaggio. Nel 1960 era già all’Amministrazione Centrale, nel 1973 segretario generale, nel 1976 vicedirettore generale e nel 1978 direttore generale. Nel 1979, allorché il Governatore Aurelio Baffi fu travolto dallo scandalo del crack di Michele Sindona e addirittura arrestato (poi scagionato), Ciampi era in pole position per succedergli, e così fu.
I suoi anni al Governatorato videro una ripresa dell’economia italiana che indubbiamente resero la sua opera più facile di quella dei predecessori. Gli anni 80 erano quelli delle vacche grasse, economicamente parlando, e tutto sommato anche politicamente godettero di una stabilità raramente verificatasi nel sistema politico italiano, con i governi Spadolini, Craxi e De Mita che ressero agevolmente il timone di una barca italiana che sembrava procedere a gonfie vele, dopo la fine degli Anni di Piombo. Al Governatore non furono mai richieste scelte drastiche o epocali, anche se Ciampi ebbe modo di farsi conoscere per la sua personalità e competenza anche al di fuori del ristretto mondo dei banchieri.
Cosicché, quando le vacche smagrirono tra il 1992 ed il 1993 e per uscire dalla crisi innescata dal crollo del Serpente Monetario a livello europeo e da Tangentopoli a livello italiano serviva un governo tecnico che per una volta lo fosse veramente, alle forze politiche ed al Presidente Scalfaro venne in mente un nome solo: quello di Carlo Azeglio Ciampi. Il Governatore era ben visto da tutti, dalla destra liberale e cattolica in quanto uomo rigoroso di cui nessuno aveva mai potuto parlare meno che bene, dalle sinistre di ogni tipo in quanto vecchio iscritto alla C.G.I.L.
fintantoché i suoi ruoli istituzionali glielo avevano consentito.
La nomina di Ciampi, imposta dagli eventi e dalla crisi di rappresentatività in cui versavano le forze politiche in quella primavera del 1993, fu storica, in quanto si trattò del primo Presidente del Consiglio non scelto tra i membri del parlamento della storia della Repubblica. Un evento unico e mai più ripetuto, poiché quando anni più tardi Napolitano conferì l’incarico a Mario Monti lo aveva prima nominato senatore a vita, cooptandolo in tal modo nel Parlamento. L’extraparlamentarietà di Ciampi sollevò qualche polemica proprio perché si trattava di una figura al di fuori della rappresentanza popolare, ma si trattò di obiezioni minoritarie a cui i molti sostenitori dell’ex Governatore poterono obiettare (oltre alla caratura del personaggio) che l’art. 92 della Costituzione non poneva nessun vincolo circa l’appartenenza del Premier a una delle due camere.
Stabilizzata la situazione politica ed economica ed esaurito il suo compito, nel 1994 Ciampi passò la mano a Berlusconi, uscito vincitore dalle urne, e tornò a ricoprire un incarico direttivo in un istituto bancario, questa volta a livello comunitario. Vi rimase fino al 1996, allorché con la vittoria dell’Ulivo l’incarico a formare il nuovo governo fu dato a Romano Prodi, che lo chiamò subito a far parte della squadra dei ministri. E anche questa volta la nomina di Ciampi implicò aspetti innovativi. Il funzionario di banca livornese fu trasformato in un Superministro dell’Economia, assommando nella sua persona le cariche del Bilancio e del Tesoro.
Nei tre anni successivi, nel governo di Prodi e poi in quello di D’Alema (dopo che Bertinotti fece al professore bolognese quello che Bossi aveva fatto a Berlusconi quattro anni prima), fu Ciampi ad occuparsi dell’opera di riduzione del debito pubblico italiano per farlo rientrare nei parametri previsti dal Trattato di Maastricht sottoscritto dai Paesi membri della Comunità Europea in funzione dell’adozione a livello continentale della moneta unica, l’Euro. Fu inoltre lui ad occuparsi dell’avvio delle privatizzazioni di aziende e servizi pubblici per conto di quel Prodi che era stato una volta Presidente dell’Istituto Ricostruzione Industriale (I.R.I.), l’Ente che gestiva l’industria di Stato e che adesso si faceva carico della sua dismissione a privati. Tra i servizi privatizzati, i casi più eclatanti furono le Poste, le Ferrovie e l’Azienda Telefonica di Stato, o Telecom. Anche qui non mancarono le polemiche, che anzi sotto diversi aspetti durano tutt’ora.
Nel 1999 venne in scadenza il mandato di Oscar Luigi Scalfaro. Spettava al centrosinistra che aveva la maggioranza proporre un candidato. D’Alema propose il suo ministro che in quel momento, per quanto ovviamente di area ideologica ulivista, non era iscritto a nessun partito e non era neppure ancora membro del Parlamento. E pertanto, oltre che per la sua personalità rispettata da tutti, incontrava (unico tra gli ulivisti) il gradimento anche del centro-destra. Dopo Cossiga, fu il secondo Presidente eletto alla prima votazione. Per la seconda volta, l’uomo venuto da fuori del Parlamento fu promosso all’incarico, e nessuno praticamente ebbe da ridire.
Carlo Azeglio Ciampi fu il Presidente che dopo Sandro Pertini ebbe l’indice di gradimento più alto tra gli italiani. Nel suo settennato l’Italia si affacciò non soltanto sulla nuova realtà dell’Euro e delle sue contraddizioni ma anche su un contesto internazionale in cui le veniva chiesto di esercitare un nuovo ruolo attivo di forza di pace (o di guerra, a seconda dei punti di vista), a prezzo di lacerazioni che partivano da lontano, da quell’art. 11 della Costituzione che recitava: L’Italia ripudia la guerra (….) come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Nessuno meglio del vecchio e onorato sottotenente di Fanteria era in grado di governare questa transizione verso una riscoperta da parte degli italiani dei valori di Patria, Risorgimento e Resistenza ritrasmettendo loro sentimenti positivi verso quei simboli costituiti dal Tricolore e dall’Inno di Mameli. Che purtroppo, come nei giorni successivi a quel tragico 12 novembre 2003 in cui tornarono in Italia da Nassiryia 19 feretri fasciati dalla bandiera bianca rossa e verde, in questo periodo riprese a suonare spesso in occasione di onoranze funebri rese a nostri militari caduti in servizio in missioni di pace (o di guerra) all’estero.
Quando nel 2006 il suo mandato si concluse, il gradimento per la sua opera era giunto a livelli tali tra le forze politiche (per non dire tra la popolazione), che molti gli chiesero la disponibilità ad un secondo mandato. Carlo Azeglio Ciampi non ebbe esitazioni a dire no. Sia per ragioni anagrafiche, essendo egli del 1920 e avendo compiuto allora 86 anni, sia per ragioni di opportunità istituzionale, Ciampi si espresse decisamente a sfavore di un Ciampi-bis: «Il rinnovo di un mandato lungo quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato», furono le sue parole, purtroppo in seguito ed in altre circostanze inascoltate.
Pochi mesi prima di dimettersi, il 15 maggio 2006, aveva nominato senatore a vita un uomo politico a cui era legato da rapporti di amicizia personale, oltre che da stima: Giorgio Napolitano. Poiché anche in quel momento era il centrosinistra ad avere la maggioranza, il Partito Democratico intese candidare quest’ultimo proprio nel senso di una continuità con il mandato che si era appena concluso. Come gli eventi si sarebbero incaricati di dimostrare, fu la classica scelta che si rivelò improvvida, almeno in relazione alle motivazioni che l’avevano dettata. Tanto Ciampi era stato super partes, tanto il suo successore sarebbe stato di parte. Ma questa è un’altra storia.
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