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Ich bin ein berliner

L’estate era sempre un periodo caldo alla frontiera più calda del mondo. La guerra nazista aveva lasciato divisa la Germania sconfitta. L’Ovest a USA, Francia e Inghilterra, l’Est all’Unione Sovietica. La Guerra Fredda si giocava soprattutto lì, dove i due sistemi che si combattevano per conquistare le coscienze degli uomini si confrontavano a pochi metri di distanza.

I sovietici chiamavano la Germania Ovest la nuova Germania fascista. Gli alleati chiamavano il mondo che era rimasto al di là della Cortina di Ferro il nuovo impero del male, che Stalin aveva ereditato da Hitler. I fatti sembravano dare oggettivamente ragione agli occidentali, i tedeschi che cercavano di saltare il confine non ancora organizzato tra le due Germanie procedevano tutti in direzione est-ovest, mai al contrario.

Le autorità sovietiche capirono ben presto che avrebbero perso la partita sia sul piano propagandistico che su quello pratico, se non facevano qualcosa. Il 24 giugno 1948 l’accesso dalle zone controllate dagli Alleati a Berlino Ovest (sempre di loro competenza) fu chiuso dall’Armata Rossa, che volle così testare la forza e la capacità di risposta degli occidentali.  Nell’ultima guerra, l’esercito sovietico era arrivato fino alle rive dell’Elba, Berlino era rimasta nelle sue mani il 1° maggio del 1945, gli Alleati ne avevano avuto in gestione delle porzioni solo grazie ai trattati tra gli ex alleati. Per raggiungere l’ex capitale tedesca via terra c’era solo di fatto un precario corridoio stradale. I russi lo chiusero e per un tempo interminabile gli Alleati rifornirono Berlino Ovest con il più gigantesco e prolungato ponte aereo che si fosse mai visto.

La clamorosa operazione durò circa un anno, fino al 12 maggio 1949, allorché le autorità sovietiche decisero che l’operazione era un fallimento sia dal punto di vista propagandistico che da quello pratico, e riaprirono il vecchio corridoio per Berlino. Ma le fughe ad ovest ripresero, ed allora il 12 agosto 1962 l’URSS uscì con un nuovo gesto clamoroso. Una serie di gesti clamorosi, per la verità, quelli che le permisero di tirare su dal giorno alla notte un muro intero che divideva – stavolta per sempre e senza che gli Alleati potessero farci nulla – le due parti della vecchia capitale prussiana e le due Germanie.

JFK arrivò a Berlino un anno dopo, il 26 giugno 1963 – su invito del sindaco di Berlino Ovest, un personaggio che era destinato a diventare quasi altrettanto leggendario, Willi Brandt – a pronunciare quello che sarebbe passato alla storia come uno dei suoi più celebri e significativi discorsi, la sfida del mondo libero al comunismo, lì, ai piedi del Muro che non aveva quasi visto asciugarsi ancora la malta occorsa a costruirlo.

A Rudolph Wilde Platz, di fronte al Rathaus Schöneberg, il municipio, Kennedy pronunciò la celebre frase “Ich bin ein Berliner” (sono un berlinese). La sfida più clamorosa all’Unione Sovietica in un momento in cui la Guerra Fredda stava diventando più calda che mai.

È il passo più conosciuto di uno dei più celebri discorsi del Presidente americano, pronunciato in un momento cruciale della guerra fredda e in un luogo simbolo come nessun altro dell’antagonismo tra blocchi contrapposti. Ad un anno scarso dalla costruzione del Muro che divideva la Berlino occidentale dalla Berlino comunista, le parole di JFK erano pertanto da intendersi come un messaggio di sfida e di condanna all’Unione Sovietica e allo stesso tempo una manifestazione di solidarietà e di sostegno morale ai cittadini di Berlino Ovest che di fatto vivevano in una enclave all’interno della Germania Est, dalla quale temevano costantemente un’invasione.

Quel giorno, nella piazza che in seguito sarebbe stata ribattezzata John F. Kennedy Platz) accorsero circa 250 mila persone, che costrinsero più volte il Presidente a fermarsi a causa dei continui applausi. Uno dei brani del discorso più apprezzati fu stato quello in cui Kennedy, sul tema del possibile dialogo con i fautori del comunismo affermò: “Lass’ sie nach Berlin kommen” ossia “lasciate che vengano a Berlino” per conoscere di persona il dramma di vivere in una città divisa.

Ecco il testo del discorso, di seguito il video commemorativo della Warner Bros.

«[…] Sono orgoglioso di venire in questa città ospite del vostro onorevole sindaco, che ha simboleggiato per il mondo lo spirito combattivo di Berlino Ovest. E sono orgoglioso — sono orgoglioso di visitare la Repubblica Federale con il vostro onorevole Cancelliere che da così tanti anni guida la Germania nella democrazia, nella libertà e nel progresso, e di essere qui in compagnia del mio concittadino americano Generale Clay che — che è stato in questa città durante i suoi momenti di crisi, e vi tornerà ancora, se ce ne sarà bisogno.
Duemila anni fa — Duemila anni fa, il più grande orgoglio era dire “civis romanus sum “. Oggi, nel mondo libero, il più grande orgoglio è dire “Ich bin ein Berliner.”

(Apprezzo l’interprete che traduce il mio tedesco)

Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista.

Che vengano a Berlino.

Ce ne sono alcune che dicono — ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l’onda del progresso.

Che vengano a Berlino.

Ce ne sono alcune che dicono, in Europa come altrove, che possiamo lavorare con i comunisti.
Che vengano a Berlino.

E ce ne sono anche certe che dicono che sì il comunismo è un sistema malvagio, ma permette progressi economici.
Lass’ sie nach Berlin kommen.

Che vengano a Berlino.

La libertà ha molte difficoltà e la democrazia non è perfetta. Ma non abbiamo mai costruito un muro per tenere dentro i nostri — per impedir loro di lasciarci. Voglio dire a nome dei miei compatrioti che vivono a molte miglia da qua dall’altra parte dell’Atlantico, che sono distanti da voi, che sono orgogliosi di poter dividere con voi la storia degli ultimi 18 anni. Non conosco nessun paese, nessuna città, che è stata assediata per 18 anni e ancora vive con vitalità e forza, e speranza e determinazione come la città di Berlino Ovest.
Mentre il muro è la più grande e vivida dimostrazione dei fallimenti del sistema comunista — tutto il mondo lo può vedere — ma questo non ci rende felici; esso è, come il vostro sindaco ha detto, è una offesa non solo contro la storia, ma contro l’umanità, separa famiglie, divide i mariti dalle mogli, ed i fratelli dalle sorelle, divide un popolo che vorrebbe stare insieme.

Quello che è vero per questa città è vero per la Germania: una pace reale e duratura non potrà mai essere assicurata all’Europa finché ad un quarto della Germania è negato il diritto elementare dell’uomo libero: prendere una decisione libera. In 18 anni di pace e benessere questa generazione di tedeschi ha guadagnato il diritto ad essere libera, incluso il diritto di unire le famiglie, a mantenere la propria nazione in pace, in buoni rapporti con tutti.

Voi vivete in una isola difesa di libertà, ma la vostra vita è parte della collettività. Consentitemi di chiedervi, come amico, di alzare i vostri occhi oltre i pericoli di oggi, verso le speranze di domani, oltre la libertà della sola città di Berlino, o della vostra Germania, per promuovere la libertà ovunque, oltre il muro per un giorno di pace e giustizia, oltre voi stessi e noi stessi per tutta l’umanità.

La libertà è indivisibile e quando un solo uomo è reso schiavo, nessuno è libero. Quando tutti saranno liberi, allora immaginiamo — possiamo vedere quel giorno quando questa città come una sola e questo paese, come il grande continente europeo, sarà in un mondo in pace e pieno di speranza. Quando quel giorno finalmente arriverà, e arriverà, la gente di Berlino Ovest sarà orgogliosa del fatto di essere stata al fronte per quasi due decenni.

Ogni uomo libero, ovunque viva, è cittadino di Berlino. E, dunque, come uomo libero, sono orgoglioso di dire “Ich bin ein Berliner”.

[…]»

Per la cronaca, questo sarebbe stato anche l’ultimo discorso famoso del presidente Kennedy, che più o meno quattro mesi dopo sarebbe stato ucciso a Dallas da un attentato su cui autori si discute ancora.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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