Oggi scegliamo di dedicare due righe alla sostanza di quest’Italia così come è giunta ai giorni nostri, lasciando da parte la retorica ed anche la ripetizione di date e fatti che anno dopo anno assomigliano sempre di più alle risposte a pappagallo che davamo a volte a scuola, quando interrogati in materie che non avevamo studiato granché bene.
La domanda di sostanza è questa: ha senso continuare a celebrare un 25 aprile? La risposta non può essere che quella indotta in ciascuno di noi dalle rispettive coscienze, culture, scale di valori. Ma alcune riflessioni sentiamo doveroso farle, perché l’onestà intellettuale è un valore per quanto ci riguarda superiore perfino a quello della libertà nata dalla lotta alla dittatura.
Per noi italiani il 25 aprile è, o quantomeno avrebbe dovuto essere, una data fondante. Perfino mitologica, se si vuole. I francesi hanno il 14 luglio, gli americani il 4. Il nostro giorno patriottico comune avrebbe dovuto essere questo, più che un 2 giugno che ha un valore accessorio rispetto a questa data che cade un mese e mezzo prima. E che nel 1945 cadde quando ancora risuonavano le ultime fucilate scambiate tra le parti che avevano combattuto la più sanguinosa guerra civile della nostra storia di popolo.
Il 25 aprile doveva essere il compleanno della nostra casa comune, quella in cui ci saremmo ritrovati a partire dall’anno successivo tutti insieme a godere di quella libertà che – come tutte le libertà – ha senso soltanto se è stata conquistata per tutti, anche per coloro che hanno combattuto contro di essa.
Non è stato così. Non lo è mai stato, anche se per lungo tempo ci siamo illusi che lo fosse. Che libertà, democrazia, Costituzione, diritti politici e civili erga omnes fossero valori acquisiti una volta per tutte, e facessero parte del pacchetto anagrafico assegnato ad ogni individuo che nasce in questo paese. Malgrado i periodi bui si succedessero con frequenza dagli anni di piombo a quelli delle varie recessioni, non abbiamo mai avuto tuttavia la percezione che il regalo dei nostri nonni e babbi, la repubblica ed il benessere di cui abbiamo goduto nel dopoguerra senza colpo ferire (li avevano feriti tutti loro, per noi), fosse mai messo in seria discussione.
E malgrado col tempo la celebrazione della nostra data fondante scivolasse sempre più nella vuota retorica e fosse oggetto di strumentalizzazioni politiche ad uso attuale (ci fa sorridere, per non dire peggio, il teatrino quotidiano messo in piedi da una ANPI i cui dirigenti ed i cui membri sono nati tutti dopo il 1945, e le cui cause da portare a casa rasentano ormai altrettanto quotidianamente il ridicolo e l’offensivo rispetto agli scopi per cui l’Ente era nato), ogni anno al 25 aprile almeno portavamo rispetto. Perché un nonno partigiano, perseguitato, internato in qualche tremendo campo di sterminio l’avevamo più o meno tutti in famiglia. E anche chi aveva combattuto dall’altra parte meritava rispetto, avendo sofferto alla fine delle stesse atrocità dei nostri nonni.
Tutto questo è finito tre anni fa. Il bluff è stato scoperto, le carte in tavola da allora parlano di un’altra realtà. Come diceva Santayana, chi non conosce il suo passato è destinato a riviverlo. Ecco, noi abbiamo festeggiato tanti 25 aprile e riempito tante bocche di discorsi sui valori della Resistenza, ma di fatto non ci abbiamo capito mai veramente niente. Il passato è tornato, e stavolta ci ha messi sotto con una facilità che fa gelare il sangue.
Il nuovo invasore non si chiamava Wehrmacht, ma Covid. L’altra volta qualcuno ebbe il coraggio di salire in montagna con un fucile e combattere la più bestiale macchina da guerra che l’essere umano avesse mai conosciuto. Stavolta ci siamo fatti mettere in casa agli arresti senza nemmeno battere un ciglio, tra gli applausi anzi di molti che di epidemiologia non ne sanno più di noialtri, ma di servilismo senz’altro sì.
L’altra volta anche per andare a denunciare un ebreo che si nascondeva nella cantina di un vicino cristiano ci voleva coraggio, bisognava affacciarsi a Villa Triste, a Via Tasso, ecc…. e non erano posti piacevoli nemmeno per la vil razza dannata dei delatori. Stavolta per denunciare uno che fino a prova contraria esercita soltanto i suoi diritti sanciti dalla Costituzione basta alzare una cornetta telefonica e fare uno dei numeri messi a disposizione a tale scopo dal ministro Speranza.
L’altra volta, il dottor Mengele fu condannato a morte in contumacia a Norimberga, per i suoi esperimenti genetici ai danni dei malcapitati di Auschwitz e dintorni. Stavolta ai tanti piccoli Mengele che affollano i laboratori farmacologici, ma più ancora i talk show televisivi, è già tanto se non viene conferito il cavalierato della repubblica.
C’è più gente adesso che si atteggia a bravo cittadino ligio al compimento del dovere sociale – mediante l’aggressione verbale e chissà se presto anche fisica del vicino, del collega, dell’altro che pur avendo la stessa cittadinanza e gli stessi diritti non la pensa come lui, e soprattutto non vuole in vena quell’ago maledetto e potenzialmente assassino – di quanta ce ne fosse l’altra volta, e dire che i fascisti avevano dominato per vent’anni e molti erano stati i beneficiati dal regime. Allora era ideologia o opportunismo a muovere le camicie nere ed i loro simpatizzanti. Adesso è qualcosa di molto più abbietto: vigliaccheria, incapacità di far fronte alle difficoltà, una paura di morire fantozziana, una mancanza di solidarietà fra cittadini che ci connatura da sempre ma che adesso è arrivata a livelli impresentabili.
Per questo il nostro 25 aprile in sostanza non varrà mai il 4 luglio americano o il 14 luglio francese. Per questo, in particolar modo da due anni a questa parte non vale più niente. In un paese dove i governi li nomina una specie di redivivo re d’Italia dal carisma più o meno pari a quello di Sciaboletta (Vittorio Emanuele III era chiamato così, per la stazza fisica e la presenza scenica) e dove i cittadini sono contenti di essere messi in regime di clausura e di coprifuoco, cosa vale più la giornata della Liberazione, della Resistenza e della Repubblica nata dalla lotta al Fascismo?
Winston Churchill disse una volta che le nazioni che cadono combattendo possono rialzarsi, quelle che si arrendono senza combattere invece sono finite. Il 25 aprile è per noi una data del passato, prima o poi dovremo trovarne un’altra (se non toccherà a noi, toccherà ai nostri figlioli, o almeno a quelli sopravvissuti a Pfizer, Astra Zeneca, Johnson & Johnson e compagnia bella). O accontentarci di soccombere come stiamo facendo. Comodamente seduti su un divano di design che i nostri nonni si sognavano, e per questo motivo ancora più oltraggiosi nei loro e nei nostri confronti.
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