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Il brutto anatroccolo

Non solo Sirenetta. Hans Christian Andersen era un raccontatore di fiabe per eccellenza. Anche Walt Disney lo era, e c’é da credere che se fosse vissuto più a lungo le fiabe di Andersen le avrebbe animate tutte. E invece, fece appena a tempo a vincere un Premio Oscar (categoria miglior cortometraggio di animazione) con la più divertente e tenera delle sue Silly Simphonies, Il piccolo diseredato (1939), trasposizione de Il brutto anatroccolo.

H. C. Andersen - Autoritratto (Chissà come lo avrebbe disegnato Disney?)

H. C. Andersen – Autoritratto (chissà come lo avrebbe disegnato Disney?)

Disney aveva occhio per le favole più suggestive, così come Andersen ne aveva avuto nel tirare fuori dalle saghe e dai racconti nordici quelle storie che sotto l’aspetto fiabesco avevano da lanciare i messaggi più potenti all’umanità. La storia dell’anatroccolo è un apologo sulla diversità. Autobiografico, a quanto pare. Il giovane Andersen – in una fase della sua vita in cui non poteva immaginare che un giorno il suo paese gli avrebbe tributato un omaggio pieno di gratitudine ponendo all’ingresso del porto di Copenhagen la sua Sirenetta – si era sentito un anatroccolo bruttissimo. Salvo poi ricredersi negli anni della maturità. «Non importa che sia nato in un recinto d’anatre: l’importante è essere uscito da un uovo di cigno», dice la sua creatura quando ormai ha preso coscienza del suo diverso destino rispetto a quello delle oche che l’avevano discriminato.

Illustrazione di Wilhelm Pedersen per Il Brutto Anatroccolo

Illustrazione di Wilhelm Pedersen per Il Brutto Anatroccolo

Disney amava le favole che parlavano di sopravvivenza e riscatto. L’anatroccolo sarebbe ricomparso altre volte nei suoi cartoons dopo quel fatidico 1939. Sarebbe stato il cerbiatto Bambi, sarebbe stato il gatto Oliver, per non parlare di Pinocchio, o di Semola della Spada nella Roccia, destinato ad estrarla e a diventare il più grande dei Re. Sarebbe stato, in una delle sue più esilaranti reincarnazioni, il mostriciattolo alieno Stitch che trova la sua ohana (famiglia) nell’improbabile isola hawaiiana dove vive la bambina Lilo.

Anche se forse nessuno dei sempre più moderni e raffinati disegni animati e poi computerizzati della Walt Disney Productions avrebbe mai saputo eguagliare per grazia ed essenzialità – tal quale ai sogni di un bambino – quell’allegra (mica tanto) sinfonia del povero anatroccolo che cerca i suoi simili e che gli aveva fatto vincere il più prestigioso dei premi in un’epoca, la prima metà del Novecento, in cui fare cinema con i disegni era considerata quasi una follia tanto quanto lo era stata campare raccontando favole nella prima metà dell’Ottocento.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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