La testata di Roberto Spada al giornalista RAI Daniele Piervincenzi è sicuramente un fatto odioso, inquietante. Un brusco risveglio per una opinione pubblica che relegava nella memoria antica certi metodi squadristi, agli scontri tra opposti estremismi degli anni settanta. O alle risse più o meno da stadio in epoca più recente, ma comunque in contesti ben delimitati.
Le telecamere di Nemo – Nessuno escluso hanno ripreso drammaticamente il momento del ritorno, o per meglio dire dell’accertamento del ritorno di una brutalità nella convivenza civile che abbiamo paventato da tempo, ma del cui accadere così immediato non ci eravamo forse finora resi conto.
Eppure, tuttavia, il video che ritrae attimo per attimo il raptus violento dello squadrista non è la cosa più agghiacciante. Il naso rotto e sanguinante di Piervincenzi finisce quasi per passare in secondo piano a paragone delle ossa rotte con cui, una volta di più, esce dall’ennesima vicenda la giustizia italiana.
Per oltre 48 ore, tra l’indignazione generale, l’efferato aggressore del giornalista se ne rimane a piede libero, indisturbato. Stavolta il gesto è così grave, eclatante, che qualche incontenibile perplessità si leva a perforare la coltre di rassegnazione che ormai ci sovrasta tutti. Ma come, dice qualcuno, e il codice penale non dice nulla?
Già, che dice, il povero codice penale più volte riformato tanto da risultare ormai un coacervo di norme senza capo, coda e soprattutto coerenza? In realtà non sa più che dire. Per subire quello che una volta si chiamava arresto – e che in un caso come quello ripreso dalle telecamere di Nemo sarebbe scattato nel giro di poche ore, il tempo di protocollare la denuncia da parte di polizia o carabinieri – adesso devono ricorrere sostanzialmente tre condizioni: 1) la flagranza di reato (dice, ma più che essere ripresi da una telecamera? eh, no! si ha flagranza solo quando un ufficiale di pubblica sicurezza è sul posto e constata di persona l’accaduto, provvedendo personalmente al fermo); 2) la gravità (le lesioni di Piervincenzi sono state giudicate guaribili in 20 giorni, e per di più la denuncia di esse è avvenuta il giorno seguente al fatto, il che – secondo giurisprudenza – parrebbe attenuare atti, circostanze e conseguenze); 3) la pena prevista (per una prognosi di 20 giorni, il derelitto codice prevede a questo punto, a forza di riforme, una pena non superiore a tre anni, per l’arresto, o fermo, ne servono almeno cinque).
Ecco qua, il reo è dunque libero di circolare e agire, né a limitare questa sua libertà possono intervenire precedenti penali. Se ci sarà processo, lo attenderà come qualsiasi privato cittadino, a piede assolutamente libero.
Stamattina, per procedere all’arresto – pardon, fermo – i custodi del codice, i magistrati inquirenti della Procura di Roma devono dunque ricorrere all’aggravante del metodo mafioso, prevista dall’articolo 7 della legge 203 del 1991. E’ a quanto pare uno dei pochi casi in cui si va ancora in galera in Italia.
il video in questione, si legge, «mostra chiaramente alcune modalità tipiche del controllo del territorio e dell’intimidazione, tipiche della criminalità organizzata di stampo mafioso». Ulteriore aggravante i futili motivi.
Pur consentendo finalmente il sacrosanto fermo di polizia, la motivazione – ci sia consentito – appare speciosa rispetto al fatto primario. Il fatto è che per la cruda e semplice violenza privata esercitata da Spada su Piervincenzi, in Italia in galera non ci si va. Il codice penale che non è più di Rocco ma non è più nemmeno quello di un paese civile consente le testate, come tante altre violenze e malversazioni. Stavolta hanno sopperito l’opinione pubblica e forse anche l’opportunità politica. Non la giustizia.
Del resto, siamo il paese che tiene in carcere Massimo Bossetti, non ce lo dimentichiamo mai. Chi ha riformato e riforma i codici, e a volte anche chi li gestisce, ci prende a testate tutti i giorni.
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