Cultura e Arte

Il dubbio amletico di ogni Natale

Ogni anno uno dei segni principali dell’appressarsi del Natale è dato dall’apparizione sui bancali di negozi grandi e piccoli dei dolci tipicidi questa festività: il Panettone ed il Pandoro.

Da regione a regione cambia il modo in cui vengono pubblicizzati, anche in base alla richiesta dei consumatori, che spesso sono protagonisti di simpatiche diatribe per stabilire quale sia, tra i due, il dolce per eccellenza, sebbene siano entrambi i soli candidati a rappresentare l’italianità in tavola la notte di Natale e non solo.

Vere e proprie leggende si nascondono dietro questi soffici dolci. Storicamente, il re dei dolci di Natale è senza’ altro lui, il panettone tanto che per noi italiani rappresenta uno dei simboli della festa più attesa dell’anno.

Non è cosa inedita; già nel passato esisteva, un po’ per tutte le regioni d’Italia, una tradizione di dolci natalizi derivati da una nobilitazione del pane: il panün valtellinese, il pandolce genovese, il panspeziale bolognese, il panforte senese, il panpepato umbro-toscano, il pangiallo laziale.

Ada Boni, Il talismano della felicità

Insomma, con questo nome si è sempre voluto intendere un accrescitivo del pane quotidiano; vero è che, le ricette del Panettone riportate nei primi ricettari, appaiono piuttosto diverse da quello attuale. In una del 1853 si dice di mescolare farine di fiore e semola di grano duro, niente uvetta, né uova, né lievitazioni multiple. Pellegrino Artusi, nella sua Scienza in Cucina, del 1891, il primo ricettario compiutamente italiano, snobba il panettone milanese a favore del panettone Marietta, ovvero quello preparato dalla sua cuoca, Marietta Sabatini.

Dobbiamo attendere  fino al XX secolo affinché il Panettone, lievitato con uova, burro, uvette e canditi, (ovvero quello che conosciamo noi, al giorno d’oggi) si prende la rivincita:  avete mai sentito parlare di Ada Boni e del suo Talismano della Felicità? Ebbene, correva l’anno 1915 quando su quel santuario che fu il suo libro di cucina, fece la comparsa quella miracolosa ricetta!

Peraltro, è doveroso ricordare che, negli anni Venti del secolo scorso, l’Italia era un paese povero che doveva riprendersi dalla Prima Guerra Mondiale. L’alimentazione della maggior parte della popolazione era basata sui farinacei e sulle verdure mentre la carne era un lusso, come lo era entrare nelle pasticcerie, per acquistare un dolce.

Cartellone pubblicitario d’epoca per la vendita del Panettone

Cartellone pubblicitario d’epoca per la vendita del Panettone

Questo non significa che la gente fosse esclusa completamente da questo sapore. In autunno e in inverno giravano per le strade i venditori di caldarroste e castagnaccio, antesignani dello street food come i castagnàtt milanesi. Ma questi erano cibi poveri e a buon mercato che spesso rappresentavano l’unico pasto della giornata e non la sua conclusione o uno spuntino sfizioso.

A Napoli si potevano incontrare  i venditori ambulanti di sfogliatelle,  preparate con farina e zucchero di pessima qualità, uova marce o altri ingredienti avariati a cui venivano aggiunti, come ripieno, avanzi di frutta o di conserve. Oggi nessuno le toccherebbe ma, a quei tempi, andavano a ruba perché costavano poco, appena un centesimo o al massimo tre e la fame … irrobustiva anche gli anticorpi!

E poi c’erano le feste, con i dolci tradizionali preparati rigorosamente fra le mura domestiche, sempre al prezzo di qualche sacrificio per aggiungere alla lista della spesa zucchero, frutta secca o canditi.

Molte sono le leggende fiorite intorno alla storia del panettone: una versione romantica dei fatti riguardante la sua invenzione vede un giovane nobile, tal Ugo, innamorato della figlia del fornaio: egli si recava di sovente a trovarla ma, la bella fanciulla, avendo troppo daffare, non aveva tempo per stare in sua compagnia.

Allora il giovane, spaventato dall’idea di dover trascorrere anche un solo giorno lontano da lei, escogitò un piano: indossando umili panni, si presentò al padre della sua innamorata (tale signor Toni) per farsi assumere come nuovo garzone del forno. Nonostante l’impegno e il duro lavoro, gli affari della bottega non andavano bene per colpa di un’altra bottega che aveva aperto proprio al loro fianco e la situazione stava diventando critica. Ugo, allora, decise di agire: acquistato del burro, pensò bene di amalgamarlo in mezzo all’impasto del  pane, per renderlo più soffice.

La notizia che il pane di Toni fosse più morbido e più dolce di quello preparato dalla bottega rivale, fece in breve tempo il giro della città di Milano: giunti in prossimità delle festività natalizie e non ancora  soddisfatto della propria creazione, Ugo aggiunse ancora altri ingredienti; uova, uvetta e pezzettini di scorze d’agrumi. Fu cosi che tutta Milano, il giorno di Natale, si riunì  dinanzi alla bottega del fornaio Toni, pretendendo a gran voce l’acquisto del Pan del Toni (da qui il termine panettone). Il fornaio, grazie all’incredibile genio culinario di Ugo, divenne ricco e finalmente accettò che il giovane prendesse in moglie la sua bellissima figlia.

La leggenda del fornaio Toni

La leggenda del fornaio Toni

Personaggi simili, almeno nel nome, li troviamo anche in un altro mito: qui si narra di una vigilia di Natale, alla corte del Duca Ludovico il Moro, Signore di Milano, in cui si teneva un gran pranzo.

A conclusione del sontuoso banchetto il capo cuoco aveva predisposto un dolce particolare ma, sfortuna volle, che esso bruciò durante la cottura, facendo precipitare nel panico l’intera cucina.

Nello smarrimento generale, soltanto un umile sguattero il cui nome era appunto Toni, ebbe la prontezza di azzardare una proposta, per rimediare al disastro: servire un dolce che egli stesso  aveva preparato per la sua famiglia, con l’aiuto di ingredienti avanzati.

Il capo cuoco, non avendo altra alternativa, decise di rischiare, e mise sulla tavola regale quell’unico dolce a disposizione. Era un pane dolce, profumato di frutta candida e zucchero in una strana forma di cappello imbrunito nella parte alta e rigonfia. Apparve insolito agli occhi e al palato di tutti, ma fu accolto da fragorosi applausi ed evidenti segni di gradimento. Gli ospiti pregarono il Duca di conoscere l’autore di questa straordinaria creazione e Toni non esitò a farsi avanti, anche se non aveva alcun nome da attribuire al dolce nel caso glielo avessero chiesto. Il Duca allora lo battezzò proprio con il nome dell’umile servo e da quel dì tutti presero a mangiare il Pan del Toni, famoso ancora oggi.

Un’ultima, ma meno accreditata ipotesi circa la nascita del panettone, tocca le vicende di una suora, Ughetta, cuoca di un convento in provincia di Milano. Pare sia stata lei ad inventare questo caratteristico dolce per celebrare il Natale, aggiungendo all’impasto del pane, burro, zucchero, canditi e uvetta, e tracciando in cima, con la punta del coltello, una croce in segno di benedizione.

Insomma, vuoi per racconti leggendari, vuoi per fatti più realistici, il panettone esiste da secoli,  essendo all’origine nient’altro che un pane fatto in casa a cui per le feste veniva aggiunto qualche ingrediente per addolcirlo e renderlo più prelibato per l’occasione.

Manifesto pubblicitario del Panettone Motta

Manifesto pubblicitario del Panettone Motta

È stato merito di due pasticceri milanesi, il signor Angelo Motta ed il signor Gioacchino Alemagna, che  tutto è cambiando: una volta deciso di abbandonare la ricetta tradizionale, entrambi pensarono di offrire alla vendita  un prodotto più alto e più soffice. Per ottenere questo risultato ne modificarono il procedimento, versando l’impasto in una guaina di cartone, la cosiddetta guepiere, al fine di  sostenerlo e impedirgli di bruciare: la perenne concorrenza nata tra i due fin da subito, darà vita ad un prodotto sempre migliore, con il passare degli anni.

La stessa cosa era accaduta a Verona, con il signor Domenico Melegatti, l’inventore del Pandoro moderno, ricordate?

Anch’ esso figlio dei dolci tradizionali natalizi quali il Nadalin (a forma di stella) e il Pan de Oro, un dolce più aristocratico, ornato con una foglia d’oro: Melegatti aggiungendo lievito, burro ed una quantità maggiore di uova, lo mise dentro uno stampo, affinché potesse lievitare meglio e di più e quindi, lo brevettò nel 1894.

Manifesto pubblicitario del Panettone Alemagna

Come accadde per il Pandoro, il grande successo del Panettone arrivò dunque con la produzione industriale. Infatti, in brevissimo tempo, le botteghe del Motta e dell’Alemagna, si ampliarono e si moltiplicarono fino a giungere all’apertura di due stabilimenti dove i dolci iniziarono ad essere prodotti lungo una catena di montaggio. Riducendo i costi di produzione, i prezzi del manufatto calarono vistosamente e così, tante famiglie abbandonarono la preparazione domestica per comprare il panettone già pronto e confezionato. 

Addirittura, la fama di questo nuovo prodotto natalizio giunse fino all’estero grazie ad Italo Balbo, il quale, in occasione della crociera aerea del 1933 verso New York, imbarcò su uno dei suoi idrovolanti un panettone Motta da dieci chili avvolto in un tricolore!

Alla fine degli anni Cinquanta, i loghi della Motta e dell’Alemagna divennero uno dei simboli del boom economico. Il panettone non era più soltanto un dolce ma anche un articolo da regalo da offrire in eleganti scatole di latta assieme a vini, spumanti, cioccolata e specialità gastronomiche: nelle scatole più ricche potevano trovare posto anche altri dolci tradizionali, come il torrone o il panforte, ma con un modesto ruolo secondario, segno che il tipico prodotto milanese era ormai diventato il dolce natalizio di tutti gli italiani.

Oggi, il panorama industriale è completamente cambiato: degli 85 milioni di pezzi che ogni anno vengono prodotti in Italia, soltanto una minima parte è prodotta nella regione d’origine, la Lombardia: il panettone è diventato veneto ed il leader del settore è la veronese Bauli, nata nel 1922. Del resto, anche Motta e Alemagna (i quali sono divenuti entrambi marchi di una multinazionale), producono in provincia di Verona; nella patria d’origine del panettone, è rimasta soltanto  la produzione de Le Tre Marie.

Molto altro è cambiato e, ormai,  è divenuto quasi impossibile contare tutte le versioni in cui esso viene offerto: riempito con ogni genere di crema, glassato, impastato con latte di soia per andare incontro ai vegani, farcito di caviale o ricoperto di scaglie d’oro o d’argento!  Un arricchimento del gusto che ne ha tradito il sapore originale. Ed è  stato appunto per frenare quella che appare tanto come una degenerazione, che la Camera di Commercio di Milano volle registrare nel 2003 il marchio del Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese, pubblicando un Disciplinare di Produzione, approvato dal Comitato Tecnico dei Maestri Pasticceri Milanesi.

La storia si conclude qui. Adesso ad ognuno la scelta.

Autore

Redazione

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