Politica

Il fascismo degli antifascisti

La proposta di Legge Fiano (dal nome del relatore, naturalmente in quota al PD) contro la propaganda fascista passa alla Camera dei Deputati con 261 sì, 122 no e 15 astenuti e si trasferisce al Senato per la definitiva approvazione.

E’ la tipica legge all’italiana, che scontenta tutti: chi la ritiene inutile, se non dannosa – e sono le coscienze allevate in quel poco di liberalismo superstite nella società italiana delle ultime generazioni – e chi la ritiene insufficiente – e sono gli epigoni dell’antifascismo fascista che si ispira ad una parte politica (o quello che ne rimane) che, se possibile, ha fatto ancora più danni e sparso ancora più sangue di quella che adesso vorrebbe perseguire.

La proposta di legge Fiano si propone di perseguire l’apologia di fascismo, e i commentatori di area (staremmo per dire di regime) plaudono alla provvida novità, senza ricordare che dal 1953 esiste una legge, a nome dell’allora ministro dell’Interno Mario Scelba, che vieta tra le altre cose proprio tale apologia. E senza ricordare neanche la XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista. Disposizione che, tra l’altro, non essendo mai stata abrogata è diventata permanente.

Per il Partito Democratico, abbiamo visto, la Costituzione è un qualcosa su cui al limite condurre esperimenti come l’acqua per l’apprendista stregone di Walt Disney, o poco più. Quanto alle leggi entrate in vigore prima dell’era Boldrini – Renzi – Gentiloni semplicemente non esistono. Sono vintage, vieux jeux.

Vai a spiegare ai democrats, ed anche ai pentastellati che accusano Fiano di non essersi spinto più a fondo, limitandosi a proporre sanzioni di facciata, che le norme del 1948 e del 1953 avevano una loro ragion d’essere necessaria ed anche sufficiente. I Padri Costituenti, i politici come Scelba il fascismo, quello vero, l’avevano conosciuto e vissuto in prima persona. E ci tenevano talmente a quella libertà appena ritrovata a prezzo del sangue e di sofferenze immani che ritennero opportuno non inasprire le misure nei confronti del fascismo stesso, per non pregiudicare il fragile appena ristabilito liberalismo.

La lezione di Hyde Park Corner, quell’angolo di Londra dove ognuno può salire su un podio improvvisato e arringare i presenti su qualsiasi cosa e nessuno può in nessun modo coartare questo diritto, questa libertà assoluta di espressione, era finalmente penetrata nella corteccia cerebrale del nostro corpo sociale, della nostra classe politica. Che intelligentemente ritenne che il miglior modo di togliere ossigeno all’eventuale rinfocolarsi di idee e metodi fascisti fosse quello di non fare dei suoi seguaci altrettanti martiri, e pensare semmai per la propria parte a governare il meglio possibile.

Nessuno si era mai sognato all’epoca della Prima Repubblica di togliere spazi espressivi a Giorgio Almirante ed al Movimento Sociale Italiano, che si richiamavano espressamente al ventennio di Benito Mussolini. La libertà di espressione valeva per tutti, anche per chi a suo tempo non l’aveva garantita. Risultato, nemmeno negli anni bui della notte della Repubblica schiacciata tra gli opposti estremismi e le strategie della tensione l’Italia aveva corso un serio pericolo di ritorno ad un regime dittatoriale.

Le cose hanno iniziato a cambiare con la sinistra al potere, una sinistra che storicamente in Italia si è sempre definita a contrario, non per i propri programmi (peraltro spesso e volentieri sballati). Dapprima si è stati di sinistra in quanto contro Berlusconi, adesso si è di sinistra perché ci si professa antifascisti, e pazienza se nei metodi e nelle filosofie si finisce per essere più fascisti dei gerarchi e degli squadristi di Mussolini.

E’ una sinistra, del resto, che si richiama espressamente ad esperienze politiche, quelle comuniste che non ha mai rinnegato espressamente, che in quanto a vittime e ad azioni liberticide non hanno nulla da invidiare a quelle fasciste, anzi. I rossi, storicamente, hanno avuto più occasioni e risorse dei neri per fare danni, e non se le sono mai lasciate sfuggire.

L’Italia, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è stato l’unico paese occidentale in cui è stato tollerato un Partito Comunista ufficiale. Vuoi per l’azione di accaparramento dell’intero movimento resistenziale (anche con metodi drastici, vedere alla voce Porzus, per capirsi) per accreditarsi come unici rappresentanti del popolo in armi, vuoi per l’azione accorta di leader come Togliatti che tennero al momento giusto il profilo più basso possibile per non urtare le suscettibilità alleate, vuoi perché eravamo un paese di frontiera (confinante con la Jugoslavia comunista di Tito), vuoi per scongiurare degenerazioni verso la guerra civile come stava succedendo in Grecia, fu permesso al P.C.I. di crescere e prosperare per tutto il dopoguerra, malgrado nel frattempo il conto dei morti sulla coscienza crescesse fino a far impallidire e superare quello della controparte fascista.

L’antifascismo italiano ha sempre avuto questo difetto: è viziato all’origine dal peccato originale comunista. Che siano adesso dei post-comunisti ad insegnare alla società italiana degli anni duemila cosa è lecito e cosa no, cosa è democratico e cosa no, è un tragico errore politico e morale, oltre che una beffa civile ed un pleonasmo giuridico.

Proibire il saluto romano, così come proibire la cosiddetta Marcia su Roma del 28 ottobre prossimo sono inutili sciocchezze che danno enfasi a fenomeni altrimenti minoritari e – per ora – innocui e senza conseguenza, a meno che non vengano martirizzati come tutte le Boldrini di questa classe dirigente che non ha altri argomenti e programmi da proporre si stanno impegnando allo spasimo a fare.

La libertà di espressione del pensiero o vale per tutti come diritto inalienabile o non vale per nessuno. E fa, se coartata come l’onorevole Fiano ci propone, di qualunque pretesa antifascista una manifestazione di fascismo non meno significativa e pericolosa di quelle che andarono in scena da queste parti più o meno un secolo fa.

La prossima Marcia, comunque organizzata e dovunque diretta, caro onorevole Fiano, potrebbe non chiedere il permesso. Ed infischiarsene del suo patetico articolato normativo.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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