Si vive ormai di ricordi a Firenze. Ricordi sempre più lontani. Questo ancora è abbastanza vivido. L’ultimo, a tutt’oggi, che a rievocarlo mette ancora i brividi.
Ripubblichiamo.
20 ottobre 2013
«In questa serata abbiamo cancellato tanti brutti ricordi». Ad Andrea della Valle come ad ogni altro tifoso il pensiero ritorna sempre lì, alla notte della vergogna. E’ finita da poco Fiorentina-Juventus, punteggio 4-2, partita come se ne vedono poche nell’arco di un secolo. Di una vita intera. Inevitabile parlare di vendetta. Due anni prima la Juventus era venuta ad umiliare la Fiorentina tra le mura di casa sua, infierendo su una squadra che era scesa in campo già sconfitta, già morta dentro, e su una città che assisteva incredula al disfacimento di quel progetto in cui avevano creduto non solo i fratelli Della Valle ed il loro staff dirigenziale, ma tutti quanti coloro hanno succhiato la fede viola insieme al latte materno.
Il pensiero torna fatalmente lì, ad Andrea come al fratello Diego, che viene di rado a vedere le partite della sua squadra ma che quando lo fa sceglie sempre l’occasione giusta, più ancora del sindaco-tifoso Matteo Renzi. Ma è un pensiero che riaffiora per l’ultima volta, perché da adesso in poi i ricordi saranno tutti per questa ultima, spettacolare, grandissima impresa della Fiorentina.
Dopo il raddoppio di Pogba che sembrava avere chiuso i giochi a favore della capolista Juventus, Giuseppe Rossi si è caricato la squadra sulle spalle e nel giro di un quarto d’ora ha ribaltato il risultato, segnando tre gol e mandando in porta Joaquin per il quarto. Alla fine lo stadio Franchi è travolto da un delirio collettivo come non si vedeva da tempo. Da quegli anni novanta forse in cui la Fiorentina aveva battuto l’ultima volta in casa la Juventus, quando al centro del suo attacco giocava un signore che si chiamava Omar Gabriel Batistuta.
La sceneggiatura della partita sembra fatta apposta del resto per mandare in estasi il popolo viola: prima il dramma, con l’argentino bianconero Carlito Tevez che sbeffeggia Firenze imitando il gesto della mitraglia che aveva reso famoso il suo ben più celebre connazionale, che proprio su questo campo era diventato una leggenda del calcio non solo fiorentino. Poi l’apoteosi finale, con il giustiziere Pepito Rossi che non dà il tempo di gioire per un gol e già ne ha segnato un altro.
Spara bene chi spara ultimo, si dice su quegli spalti del Franchi che nessuno ha voglia di abbandonare, per non vedere la fine di questa giornata trionfale, immortale. Altro che Tevez, l’erede di Batigol indossa – come è giusto che sia – la maglia viola e quel giorno entra definitivamente nel cuore dei suoi tifosi. Il tutto in un solo quarto d’ora, quello devastante intercorso tra il gesto con cui ha incitato il pubblico a scatenare la bolgia del tifo dopo il suo primo gol su rigore e quel suo accasciarsi esausto ma felice dopo il quarto gol finale, quello che ha mandato la Fiorentina in paradiso e la Juventus là dove la volevano tutti i tifosi viola: all’inferno.
In Tribuna, un divertito Mario Gomez strabuzza gli occhi accanto alla fidanzata, chiedendosi in mezzo a che banda di matti è capitato. O forse semplicemente rendendosi conto di cosa è il calcio a Firenze. Qualcosa che lassù, nel freddo inverno e nell’algido campionato tedesco da cui proviene, non poteva nemmeno immaginare. Anche Diego Della Valle ha gli occhi che brillano all’uscita dallo stadio. “E’ una grande vittoria”, commenta raggiante, “speriamo che non sia l’ultima”.
Già il rischio è proprio quello. Che a Firenze, che nella stessa Fiorentina tutti si sentano appagati da questo risultato roboante che – come si dice da sempre da queste parti – da solo vale una intera stagione. Ma del resto, con un Rossi così, perché non continuare a sognare?
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