Stefano Borgonovo era entrato nel cuore nel cuore dei tifosi viola una domenica di gennaio del 1989, grazie ad un gol segnato alla Juventus al 90° su calcio d’angolo battuto dall’amico Roberto Baggio. E ad un altro, sempre segnato in zona Cesarini ad un’altra grande di quegli anni, l’Inter di Walter Zenga che si avviava a vincere lo scudetto. Ci fece divertire un sacco quell’anno la B&B, la premiata ditta del gol Baggio e Borgonovo. A fine stagione tra lui e Robertino ne fecero 29, e siccome il suo cartellino era del Milan, i rossoneri lo richiamarono in sede per far parte della grande equipe di Arrigo Sacchi, nonostante lui ormai a Firenze ci stesse più che bene e ci sarebbe rimasto volentieri.
Con la moglie Chantal nel giorno del matrimonio
Ma la buona sorte non era nel karma di Stefano Borgonovo. Un infortunio al ginocchio ne limitò le prestazioni nell’anno in cui i rossoneri andarono a rivincere la Coppa dei Campioni a Vienna contro il Benfica, con il trio delle meraviglie olandese. Stefano segnò gol decisivi durante quella stagione, ma nel complesso pagò infortunio e riabilitazione, al punto che il Milan, che comunque nel ruolo aveva Van Basten, lo rispedì a Firenze a ritrovare la condizione del suo periodo d’oro.
La buona sorte non era stata nel kharma neppure della Fiorentina. A Firenze, al suo ritorno, non c’era più Roberto Baggio e c’erano nuovi proprietari, Mario & Vittorio Cecchi Gori, determinati tuttavia a far ritornare grande la Fiorentina. Per un motivo o per l’altro, vuoi perché il ginocchio non era più quello di prima, vuoi perché dietro non c’era più il vecchio partner della B&B a fargli gli assists, Stefano nei due anni che restò in viola segnò solo 7 gol in 42 presenze. A completare il quadro, nell’estate del 1991 i Cecchi Gori misero a segno il loro colpo di mercato più grande, l’acquisto del goleador argentino della Coppa America, Gabriel Omar Batistuta. Nella stagione 1991-92 la convivenza tra Borgonovo e Batistuta fu problematica. La squadra si schierò con l’italiano, ma l’argentino era una macchina da gol inarrestabile, migliorava a vista d’occhio, era più giovane e ancora più integro fisicamente. A fine anno il posto fu suo e Stefano Borgonovo si separò per l’ultima volta dalla maglia viola.
La sua carriera proseguì e finì lontano dai riflettori. Tentò poi la strada della panchina, andando ad allenare quel Como che l’aveva lanciato come giocatore. Ma nel 2005 non meglio specificati problemi di salute lo costrinsero a lasciare. Finché poco tempo dopo arrivò l’ammissione della triste e inevitabile realtà: Stefano era malato di Sindrome Laterale Amiotrofica (SLA). La stronza, come l’avrebbe chiamata lui stesso, è una malattia che colpisce un numero sempre maggiore di ex calciatori (sollevando tra l’altro dubbi sempre più atroci sulle varie farmacie succedutesi tra gli anni 70 e gli anni 90), e che fino ad oggi non ha perdonato.
Ma Stefano, che era stato coraggioso da calciatore andando a cercarsi le sue opportunità nelle peggiori mischie in area di rigore fino al 90’, dimostrò di esserlo ancora di più da uomo semplice, che lottava a viso aperto contro un male terribile con l’aiuto di Chantal, una compagna anche lei coraggiosa quanto lui. La Fondazione Stefano Borgonovo Onlus è un’arma in più, che grazie ai coniugi Borgonovo un giorno consentirà ai ricercatori di offrire ai malati di SLA un destino migliore di quello che è toccato anche a Stefano, scomparso il 27 giugno 2013 a neanche 50 anni.
Chi tifa viola preferisce ricordarlo stravolto dalla gioia per avere appena inzuccato nella porta juventina il più importante dei suoi 15 gol della stagione 1988-89. Ma il ricordo che forse stringe più il cuore è quello di Stefano sul prato del Franchi l’8 ottobre 2008, poco prima che Fiorentina e Milan, le due squadre più importanti della sua carriera, si affrontassero per dare in beneficenza l’incasso alla sua Fondazione. La sua carrozzina spinta dall’amico e compagno Robertino Baggio, stravolto dalla commozione come tutti noi che eravamo lì a vederli, compì quella sera in quello stadio il giro d’onore più emozionante dell’intera sua storia.
Roberto e Stefano, ce li ricorderemo sempre con il viso dei 20 anni, sorridente di gioia per i loro splendidi gol. Sullo sfondo un unico colore dominante: il viola. E un immenso urlo di gioia, capace di scuotere nelle fondamenta uno stadio e un’intera città.
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