Cultura e Arte

Il nostro Gianni Minà

Che cosa resterà di Gianni Minà? Quale sarà la foto che ripubblicheremo ogni volta che ci sarà da commemorarlo, ora che non c’é più? Ora che il suo cuore si è fermato dopo aver battuto intensamente per tutta la vita al ritmo della sua penna?

A Città del Messico era lì che tentava di abbracciare Pietro Mennea che aveva appena fatto il record del mondo. Il primo di una serie di uomini veri diventati campioni veri o comunque testimonial di una vita vera, l’unica che lui concepiva.

O quella mitica foto al ristorante a Roma, da Checco er carrettiere, dove aveva fatto sedere allo stesso tavolo Muhammad Alì, Sergio Leone, Robert De Niro e Gabriel Garcia Marquez. Il suo paradigma umano, persone lontane in apparenza e tuttavia accomunate dal messaggio che erano state capaci di trasmettere al pubblico più disparato.

Nato nel 1938, era stato troppo giovane per inseguire Che Guevara, il suo giornalismo si impose nel decennio successivo, gli anni settanta in cui riscattò la domenica degli italiani opponendo al varietà nazional popolare di Domenica In quello in salsa latino americana mescolata al Greenwich Village di Blitz, poi di Odeon, poi di tutto quanto fa spettacolo risultando appetibile per la testa prima ancora che per la pancia.

Le foto con Diego Maradona, che – Napoli a parte – lui aveva capito ed amato come nessun altro. Il ragazzo uscito dai barrios di Buenos Aires aveva le stesse cose da dire e battaglie da combattere per la sua gente che aveva avuto Mohamed Alì, il ribelle che intervistato da lui sembrava una persona normale, che rivendicava semplicemente una vita normale per i neri d’America, la sua gente, come i porteños erano stati la gente di Maradona.

Le foto con Pelé, sì, proprio o Rey. Perché Gianni Minà era riuscito a risolvere a modo suo la storica querelle: meglio Pelé o meglio Maradona? Meglio tutti e due, perché toccando la palla come nessun altro avevano entrambi riscattato i propri popoli.

Aveva perso il Che, ma non si era fatto scappare Fidel castro, il lider maximo di Cuba, realizzando con lui l’intervista record, 16 ore. Aveva ingaggiato un match dialettico con Alì, ma non aveva potuto aprire il taccuino davanti a Nelson Mandela. Questione di impegni reciproci diversi, aveva commentato lui, nascondendo a fatica il proprio rammarico.

Gianni Minà è stato un giornalista di quelli che raccontano gli uomini, perché gli uomini e le loro personalità spiegano tutto, alla fine. A Blitz aveva portato leggende umane come Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Ali, Robert De Niro, Jane Fonda, Gabriel Garcia Marquez, Enzo Ferrari. Grazie a lui, una domenica dopo l’altra, abbiamo capito perché costoro stessero scrivendo la storia. La nostra storia.

I bollettini medici dicono che Gianni non ha sofferto, o semmai lo ha fatto per poco. Lo ha fermato il cuore, come detto, cioé l’organo che l’ha tenuto in vita, più di ogni altro.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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