Pare che il Fuhrer fosse un grande appassionato di esoterismo e delle scienze ad esso riconducibili: occultismo, cabala, astrologia, numerologia. La sua lucida follia lo spingeva a ricercare nel soprannaturale le ragioni dell’immancabile avverarsi di un destino che aveva profetizzato addirittura millenario per il suo Reich. Non lo avrebbe sorpreso quindi che ci fosse – e a ben vedere c’é stato anche dopo di lui – un numero fatidico legato alla storia del paese di cui si era proclamato guida spirituale e politica e di cui avrebbe determinato gran parte della sorte nell’epoca contemporanea.
Il nove, in numerologia, è il numero più importante, quello che riassume e contiene gli otto che lo precedono. Simboleggia l’eternità, il conseguimento finale di un obbiettivo assoluto, l’apertura di nuove strade e nuovi inesplorati destini. Il suo archetipo positivo è il Liberatore, quello negativo è l’Angelo Caduto. Definizioni che dovevano stimolare il superego di un ex adolescente problematico ritrovatosi per una breve ma terribile stagione ad essere l’uomo più importante e potente del mondo. Suggestioni che nello stesso tempo toccano corde profonde nell’animus germanico, come correnti sotterranee che scorrono nelle profondità della storia di un paese in cui, come aveva raccontato efficacemente A. J. P. Taylor, i Fuhrer non nascono per caso, ma escono fuori con la stessa facilità dei geni artistici.
Il nove del mese di novembre è stato nel ventesimo secolo in Germania il giorno in cui succedono cose importanti, eventi epocali che cambiano il corso della storia.
Il 9 novembre 1918 il cancelliere tedesco Maximilian Von Baden riuscì ad ottenere dal Kaiser Guglielmo II l’assenso alla sua abdicazione. Inizialmente l’imperatore aveva detto no, malgrado il paese al suo interno fosse scosso dalle rivolte militari e da quelle degli Spartachisti che volevano imitare la rivoluzione bolscevica scoppiata in Russia un anno prima, ed al suo esterno avesse ormai l’esercito alleato al confine, pronto all’invasione. la Germania era rimasta sola, l’Austria-Ungheria aveva chiesto e ottenuto l’armistizio il 4 novembre, lo stato maggiore tedesco era in trattative per arrivare al proprio, che sarebbe scoccato alle ore 11 dell’11 novembre. Il rifiuto del Kaiser di abdicare poteva pregiudicare il buon esito delle trattative e dare il via all’occupazione alleata del suolo nazionale. Guglielmo II partì per l’esilio olandese dove sarebbe rimasto fino alla morte avvenuta nel 1941, e due ore dopo la sua abdicazione venne proclamata la repubblica. Liberale nelle intenzioni del governo, socialista in quelle di Karl Liebneckt e Rosa Luxemburg, gli spartachisti che stavano fomentando insurrezioni in tutto il paese, brutalmente avversati dai Freikorps militari che si stavano costituendo ovunque con l’apporto dei reduci di guerra.
Il 9 novembre 1919 entrò ufficialmente in vigore la Repubblica di Weimar. Dopo l’abdicazione del Kaiser, mentre le potenze vincitrici della prima guerra mondiale si riunivano a Versailles per redigere il trattato di pace che avrebbe imposto condizioni durissime alla Germania ed ai suoi alleati nel conflitto appena conclusosi, a Weimar, capoluogo della Turingia opportunamente distante dalla turbolenta Berlino, si tenne un’assemblea costituente.
La nuova repubblica nasceva con spirito e legislazione liberale, poiché i moti di ispirazione bolscevica erano stati repressi dai Freikorps fin dal gennaio precedente, con l’assassinio di Rosa Luxenbourg e Karl Liebneckt. Nasceva però anche con il peccato originale – almeno agli occhi dei suoi cittadini – dell’accettazione del Trattato di Versailles (sotto la minaccia dell’invasione alleata, un’invasione che l’esercito tedesco ormai sbandato non avrebbe potuto a quel punto minimamente fronteggiare). Il Trattato imponeva alla Germania di addossarsi una condanna morale pesantissima (fu il primo caso in pratica di individuazione di crimini di guerra internazionali) e il pagamento di riparazioni economiche ancora più pesanti, che nel triennio della Grande Depressione avrebbero ridotto il paese letteralmente alla fame.
I maggiori esponenti della nuova Repubblica, il firmatario di Versailles Mathias Erzberger ed il ministro degli esteri Walther Rathenau, caddero presto sotto il fuoco di attentatori. la Germania non perdonava la sconfitta, e chi l’aveva accettata.
Il 9 novembre 1923 un nuovo soggetto si affacciò clamorosamente sulla scena della politica tedesca. Dopo la proclamazione della Repubblica di Weimar, la situazione in Germania non poteva dirsi affatto pacificata, malgrado i Freikorps ed altre formazioni di destra avessero scongiurato – a modo loro – il rischio di deriva bolscevica del paese. Diversi lander del vecchio Reich rifiutavano l’adesione alla nuova repubblica federale, uno di questi era la Baviera. Nelle birrerie di Monaco si susseguivano i raduni delle formazioni di estrema destra e di organizzazioni di ex combattenti. Tra essi, iniziò a farsi un nome un austriaco che aveva combattuto con l’esercito tedesco arrivando al grado di caporale. Adolf Hitler si era congedato nel 1920, ma in pochi mesi era divenuto il leader di una delle tante formazioni in cerca di visibilità e gloria: il partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi.
Nel 1923, dopo aver assistito ai primi tribolati anni di Weimar, Hitler ritenne che fosse venuta la sua ora. Il 9 novembre cadeva il quarto anniversario della Repubblica, e Gustav Von Kahr, notabile della Baviera che la destra conservatrice locale aveva investito di poteri pressoché dittatoriali, teneva un comizio alla Bürgerbräukeller, una grande birreria di Monaco di proprietà della Löwenbräu (oggi non c’é più, è stata demolita nel 1979).
Hitler agì d’impulso, senza nessuna preparazione. Fece irruzione nel locale assieme ad Ernst Rohm, il suo collega-rivale di quegli anni che aveva fondato le SA (sturmabteilung, reparti d’assalto, concorrenziali con le SS, schutzstaffel, squadre di protezione, istituite da Hitler all’interno del suo partito). I nazisti egemonizzarono l’attenzione della platea surclassando gli altri politici presenti ed invitando all’insurrezione. Riuscirono ad attrarre dalla loro parte perfino l’eroe di guerra generale Erich Ludendorff.
In un primo momento, sembrò che il putsch potesse avere successo. Il giorno successivo la polizei riuscì a soffocarlo invece con relativa facilità. Hitler fu arrestato e trascorse un anno nelle patrie galere (la condanna era a cinque, ma gli fu ridotta in ragione della sottovalutazione del pericolo che rappresentava e di una certa compiacenza negli ambienti giudiziari nei suoi confronti). Lo impiegò per scrivere quel Mein Kampf con cui avrebbe dato sistemazione alle dottrine naziste e razionalizzazione alla strategia con cui avrebbe potuto presentarsi all’occasione successiva.
La Repubblica di Weimar invece aveva altri nove anni da trascorrere, in un primo momento in una specie di boom economico sotto il cancelliere Gustav Stresemann e poi nella grande depressione che avrebbe finito per consegnare il potere, per via elettorale, a quella banda di improvvisati che avevano fatto irruzione in una birreria di Monaco, dieci anni prima.
A partire dal 9 novembre 1938 nessuno pote’ più dire: non sapevamo. Adolf Hitler aveva individuato nel Mein Kampf il nemico principale del popolo tedesco e del nazionalsocialismo: gli Ebrei. Nei primi anni del suo cancellierato le misure discriminatorie e perfino le aperte violenze contro di loro erano state tante, ma il giro di vite definitivo, quello che avrebbe costretto l’opinione pubblica a ricredersi sulla positività di fondo del regime hitleriano e a coniare termini come Olocausto, Soluzione Finale, Campi di sterminio, arrivò nel bel mezzo dell’ultimo autunno di pace dell’Europa e del Mondo.
I Nazisti, istigati dal Ministro della Propaganda Joseph Goebbels, scelsero quella notte per aggredire le attività commerciali degli Ebrei ancora aperte. Fu chiamata la notte dei cristalli, con intento derisorio in riferimento al numero delle vetrine dei negozi infrante.
Si calcolò che circa 1.500 persone avessero trovato la morte nel pogrom scatenato quella notte nei territori controllati dal Reich di Germania, Austria (l’Anschluss era avvenuto nel marzo precedente) e Cecoslovacchia (ridotta ad un protettorato tedesco dal Patto di Monaco di pochi giorni prima).
E’ certo invece che circa 30.000 ebrei fossero internati nei giorni successivi alla notte dei cristalli nei nuovi campi di concentramento aperti a Dachau, Sachsenhausen e Buchenwald (località nei pressi di quella Weimar in cui la Germania si era illusa di essersi confezionata un destino liberale).
Non era ancora la soluzione finale, che sarebbe stata codificata a Wansee da Adolf Eichmann e altri banali organizzatori del male il 20 gennaio 1942 in piena guerra mondiale, quando ormai una Germania impegnata in uno sforzo bellico sempre più spasmodico avrebbe trovato più conveniente sostituire il concentramento degli Ebrei con il loro sterminio.
Il 9 novembre 1974 il mondo tornò a guardare verso la Germania con perplessità. Non che fino ad allora l’avesse fatto a cuor leggero. Dopo la seconda guerra mondiale per una breve stagione si era addirittura pensato di trasformare l’immensa pianura che va dalla valle del Reno a quella dell’Elba in una zona essenzialmente agricola, cosicché i suoi abitanti non avessero alle mani più che un forcone quando fosse tornata loro la voglia ricorrente di infastidire vicini e mondo circostante. La volontà di potenza. Poi la Guerra Fredda aveva spinto i nuovi belligeranti ex alleati a ricostruire la rispettiva metà della Germania come meglio credevano o riuscivano: i Russi ad est avevano creato una repubblica democratica dove tutti erano uguali, in modo non dissimile da come lo erano stati sotto il Nazismo ed in condizioni di vita addirittura peggiori; gli Americani ad ovest avevano creato una repubblica federale dal forte sviluppo industriale, dove tutti ringraziavano iddio di essersela cavata a mercato più che buono e si godevano il marco sempre più forte e l’economia sempre più avanzata avendo rimosso dalle coscienze qualsiasi senso di colpa per ciò che avevano permesso che accadesse soltanto pochi anni prima.
C’era chi si opponeva a questo stato di cose, così come alla Ostpolitik della SPD occidentale che cercava di riavvicinare due realtà sempre più eterogenee che un giorno però speravano di ritrovarsi in una patria comune riunificata. La Rote Armee Fraktion era l’equivalente delle Brigate Rosse italiane, si batteva contro il capitalismo e lo stato imperialista delle multinazionali, chiamava le realtà politiche sorte dalla fine della guerra mondiale legittime eredi di fascismo e nazismo, usava metodi di guerriglia intesi a trasformare le metropoli occidentali in scenari simili a quelli più esotici dell’America Latina o del Sud Est Asiatico.
Se Willy Brandt lavorava in campo diplomatico per indebolire il regime dell’Est e riavvicinare le due Germanie, la Stasi – il servizio segreto della DDR – lavorava sottobanco per indebolire l’Ovest e creare problemi sempre più grossi nel campo americano. La RAF, che i mass media facevano conoscere all’opinione pubblica occidentale con il nome più popolare di banda Baader-Meinhof (dal nome dei suoi due principali leader, Ulrike Meinhof e Andreas Baader), prese ad insanguinare il suolo tedesco così come le BR facevano con quello italiano.
Solo che, a differenza del governo italiano che scelse (ormai possiamo affermarlo con una certa fondatezza storica, se non con il senno di poi) una linea tutto sommato morbida, quello tedesco confermò la tendenza già emersa all’epoca delle Olimpiadi di Monaco e di Settembre Nero a lasciarsi scappare di mano metodi più drastici che fatalmente rievocavano precedenti che si era cercato di rimuovere dalla coscienza.
Nel novembre del 1974 fu Holger Meins il primo terrorista della RAF ad essere ritrovato morto in cella a seguito di presunto suicidio. Nel 1976 sarebbe toccato ad Ulrike Meinhof, mentre l’anno successivo sarebbe stata la volta del suicidio collettivo nel carcere di Stammheim. Subito dopo il sequestro del capo della Confindustria tedesca Hans-Martin Schleyer – un evento paragonabile a quello del sequestro di Aldo Moro in Italia -, i terroristi Andreas Baader, Gudrun Ensslin e Jan-Carl Raspe furono trovati tutti morti nelle loro celle, mentre l’unica sopravvissuta Irmgard Möller (ferita da alcune coltellate al petto che non poteva essersi autoinferta) avrebbe poi smentito la versione di stato sul suicidio collettivo.
La parabola di sangue del terrorismo rosso tedesco, al pari di quello italiano, sarebbe continuata fino al crollo dell’Unione Sovietica e – presumibilmente – alla fine del flusso finanziario proveniente da est con cui i Russi avevano finanziato e sostenuto il loro fronte nella Guerra Fredda.
Il 9 novembre 1989 la Germania recuperò la libertà e la democrazia perse il 30 gennaio 1933, quando il presidente Hindenburg aveva consegnato il paese a Hitler ed ai nazionalsocialisti sulla scorta del risultato delle elezioni.
Il Nazismo aveva imposto per 12 anni il suo Terzo Reich (il Primo era stato quello di Carlomagno, il Secondo quello dei Kaiser di cui Guglielmo II era stato l’ultimo). Il Comunismo aveva imposto per più di 40 anni la Cortina di Ferro che tagliava in due Berlino e la Germania.
La Germania cessò di pagare le sue riparazioni per le due guerre mondiali da lei scatenate la notte in cui i Vopos della DDR lasciarono che la gente abbattesse il Muro costruito il 13 agosto 1961. Il 3 ottobre 1990 le due Germanie si riunirono ufficialmente.
Il resto è storia, e chissà se la Germania l’ha imparata.
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