Ombre Rosse

Il paese di Favino

Il corteo “antifascista” di Piacenza

La performance di Pierfrancesco Favino pro-migranti al Festival di Sanremo è probabilmente la cosa più vergognosa mai registrata in televisione con i soldi dei contribuenti. Ma del resto, gli intellettuali di area centrosinistra sono abituati a giocare sporco a sostegno della parte politica di riferimento, tanto più adesso che la campagna elettorale volge al termine e la probabile débacle di quella parte politica – e delle sue scellerate politiche – sta per prendere forma.

Non è tuttavia la performance più ignobile, infame, perché da questo punto di vista la palma d’oro va ai cortei antifascisti che il fine settimana scorso hanno percorso in lungo ed in largo l’Italia, esemplificando – loro malgrado – qual è il vero, reale rischio di ritorno al fascismo che corre questo paese. «Ma che belle son le Foibe da Trieste in giù» è lo slogan che risuona il Giorno del Ricordo in piazze dove gli agenti di una Polizia con le mani sempre più legate sono costretti a farsi malmenare impotenti, restando a terra sanguinanti dopo aver subito un corso accelerato di antifascismo da volenterosi esponenti dei Centri Sociali. A cui, va detto, si mescolano senza ritegno vecchi arnesi dell’armamentario ideologico della sinistra come Gino Strada ed Emma Bonino, due anziani militanti che preferiamo ricordarci nei loro giorni – e nelle loro azioni – migliori.

Probabilmente, un ritorno in vitro alla strategia della tensione, agli opposti estremismi, agli scontri di piazza ed alla mistificazione di regime farebbe gran comodo a tanti di coloro che si apprestano a subire il giudizio del popolo sovrano, il prossimo 4 marzo. Buttarla in caciara è quanto rimane ormai di strategico e di programmatico da tentare per partiti e personaggi che hanno già perso, e le macerie del loro disastro personale e collettivo sono sotto gli occhi di tutti. Ci camminiamo in mezzo a rischio della nostra incolumità personale ogni giorno.

Farebbe gran comodo, ma non sta funzionando. A meno che il botto sia riservato per la vigilia elettorale, per le ultime ore prima del verdetto delle urne. Un botto che dovrebbe valere, nelle intenzioni di un centrosinistra ridotto come le truppe austroungariche il 4 novembre 1918, la ricompattazione del paese sconvolto e indignato dietro un governo di unità nazionale. Così si diceva negli Anni di Piombo, così piacerebbe poter annunciare ai Gentiloni di turno ed ai loro supporters ormai impresentabili al grande pubblico, ancor meno di un Favino sul palco dell’Ariston.

L'attore Pierfrancesco Favino

L’attore Pierfrancesco Favino

Non dovrebbe andare così. Intanto la controparte di centrodestra non abbocca, e poi il vento sta inesorabilmente cambiando anche sul palcoscenico italiano. Perfino la riottosa e conseguenziale magistratura italiana l’ha percepito, e obtorto collo si piega ad incriminare per l’omicidio efferato e lo smembramento della povera Pamela Mastropietro i signori Oseghale & C., che a sentire l’intellighenzia di sinistra fino a poco fa erano oggetto dell’ennesima caccia alle streghe xenofoba, alla semina di odio sistematica, al disegno fascista di Salvini, Meloni & C. Altro che Traini, dopo lo Jus Soli qualcuno pensava di sdoganare anche lo Jus Tribalis. A quando il riconoscimento dell’8 per mille alle sette Woodoo ed ai loro rituali? A quando lo sdoganamento del cannibalismo, in nome dell’integrazione razziale e culturale? E le Bestie di Satana? Le vogliamo discriminare, violando la nostra bella Costituzione?

In sottofondo, il brusio di Matteo Renzi che ormai parla a quell’assemblea condominiale a cui è ridotto il suo auditorium, mentre le altre schegge impazzite di quello che una volta era il partito democratico non parlano nemmeno più. A parte la sig.ra Boldrini, che forse vorrebbe dare la cittadinanza italiana anche ai Tagliatori di Teste Dayachi di salgariana memoria.

E i Cinque Stelle? Sperimentano la cura Di Maio, l’ecumenismo ed il relativismo democristiano applicato al confusionarismo grillino (ma senza più Grillo, che almeno uno yogurth lo sapeva vendere) ed alla tecnocrazia in stile Chernobyl e Fukushima.

Quando i giornalisti si schierano, non è mai bene. Cessano di essere giornalisti e diventano organi di partito. I Travaglio e i Calabresi stanno lì a dimostrarlo (le Gruber e i Mentana giornalisti non lo sono mai stati, per cui esulano dal discorso). Non vorremmo incorrere pertanto nello stesso errore. Continuiamo tuttavia a pensare che, come già nel 1948, settant’anni dopo anche queste sono elezioni cruciali, drammatiche, epocali. Si lotta per il mantenimento della civiltà. E abbiamo, piaccia o no, una chance sola, in mezzo a tanto arruffio.

Se se ne è accorto anche Silvio Berlusconi, e ha accantonato davvero la tentazione all’inciucio con l’alter ego Renzi, forse possiamo farcela a salvarci.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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