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Il patto scellerato, e le stelle stanno a guardare

L’ultima settimana di agosto del 1939 il mondo era con il fiato sospeso. O perlomeno quella parte di mondo, l’Europa, che si preparava a combattere una nuova guerra di supremazia destinata a sfuggirle di mano e a diventare mondiale.

Tutti erano a Mosca, i rappresentanti delle democrazie occidentali Francia e Inghilterra e quelli del Terzo Reich tedesco. Tutti cercavano di allearsi con una Russia che da vent’anni era tenuta volutamente ai margini del mondo cosiddetto civile. Tutti cercavano di leggere negli occhi di Stalin un improbabile messaggio di speranza e di civiltà. Negli occhi di un lupo siberiano che da sempre era abituato a contare solo su se stesso e a diffidare dell’uomo, di qualunque idea e colore fossero il suo cuore e la sua pelle.

Andò come tutti sanno, e il modo ancor stupisce gli storici ed i commentatori. L’Intesa anglo-francese confidava che l’URSS comunista avrebbe alla fine rigettato l’ipotesi di una alleanza – o quantomeno non belligeranza – con il regime che era andato su in Germania con un programma, anzi un mein kampf ben preciso: sterminare i comunisti subito dopo gli ebrei.

Hitler, fatto della stessa pasta umana di Stalin, vedeva più lontano. Nell’agosto del 1939 per sbranare la Polonia e mettere all’angolo le alleate di costei Francia e Inghilterra serviva qualcuno che avesse la stessa fame e la stessa spregiudicatezza dei tedeschi. Per i bolscevichi sovietici la Polonia valeva quanto valeva per i nazisti: niente. Attaccarla, o lasciarla attaccare, significava per Stalin due cose: spostare i confini dell’URSS ad ovest ed evitare una guerra che l’Armata Rossa non era assolutamente pronta a combattere (grazie al suo comandante in capo, ma questo era un altro discorso).

Il Fuhrer da parte sua evitò il secondo fronte che aveva condannato alla sconfitta il Kaiser. Il Piccolo Padre di Santa Madre Russia e del Comunismo mondiale evitò probabilmente una nuova rivoluzione di segno contrario a quella di Ottobre del 1917, e legò probabilmente per sempre (al di là delle apparenze) il destino del regime a quello della patria.

Gli storici sono sempre lì a chiedersi il perché di quello che avrebbero chiamato il patto scellerato. Della Russia non abbiamo mai capito nulla. Abbiamo sempre preteso che ragionasse come noi, e ci siamo sempre indignati perché ovviamente non lo faceva. Nel 1949 gli americani vittoriosi e unici (ancora per poco) detentori della bomba atomica vollero strafare. Sorpresi dalla Cortina di Ferro che Churchill aveva paventato loro da tempo, intesero aprire un secondo fronte ai danni dell’URSS, non ostacolando efficacemente la presa del potere in Cina da parte di Mao Tse Tung e la nascita della Repubblica Popolare comunista Cinese. Credendo che bastasse tenere in vita quella Taiwan che ottant’anni dopo rappresenta orma il più critico dei casus belli dopo l’Ucraina.

Siamo stati a guardare per decenni russi e cinesi che si buttavano da una parte all’altra del lunghissimo confine asiatico tigri dai denti di sciabola sempre più affilati. L’odio reciproco tra le due superpotenze comuniste ha permesso all’occidente di dormire sonni sempre più tranquilli, più di ogni altra cosa. I cosacchi potevano pure venire ad abbeverare i loro cavalli nelle fontane romane, ma i mongoli avrebbero fatto lo stesso nelle fontane di Mosca.

Finché il presidente USA più discreditato di sempre, Richard Nixon, ebbe l’intuizione più geniale di sempre: aprire alla Cina di un Mao al crepuscolo avrebbe paralizzato l’Unione Sovietica di un Breznev ancor più al crepuscolo. Da allora è una partita a tre, con il quarto incomodo, l’Unione Europea, che squittisce come i topolini mangiati dall’osceno Jabba The Hutt in Guerre Stellari, mentre cerca di dire la ridicola sua in un gioco dove i grandi sono talmente grandi da non vederci nemmeno al microscopio.

A leggere le analisi degli esperti in questi giorni viene da ridere. Continuiamo a non capire niente né dei Russi né dei Cinesi. Putin cerca una sponda che sa da tempo di non trovare mai nell’Europa che lo sanziona e adesso lo minaccia anche di arresto (un ridicolo arresto, chi andrà ad eseguirlo? e sulla base di quale diritto?). Xi Jinping vuole che l’Europa la smetta con le ridicole suggestioni di sanzioni anche alla Cina (se le meriterebbe eccome, ma per l’eventualità e l’efficacia vedi sopra a proposito della Russia). E vuole che la Russia bisognosa adesso di appoggio sia nei prossimi anni un partner grato (peraltro come può esserlo un lupo siberiano, in questo Putin vale il suo antenato Stalin) ed al bisogno un alleato efficace. Sono due posti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dei cinque a disposizione, non ce lo dimentichiamo mai.

A Mosca si sta decidendo il nostro futuro come nel 1939. Ma siamo un continente di cretini, che da decenni elegge alle proprie cariche rappresentative ometti e donnette senza arte né parte. Abbiamo mandato a suo tempo la Mogherini a trattare con Putin, mentre la von der Leyen andava a farsi umiliare da Erdogan. L’Europa è femmina, finalmente, ma purtroppo in questa finalmente e faticosamente raggiunta pari opportunità non ha scelto le femmine più in gamba.

Siamo tutti appesi alle notizie di una stampa che nelle sue analisi e nei suoi editoriali scrive quello che i governi vogliono che sia scritto. Eleggiamo rappresentanti che in altri tempi non sarebbero entrati nemmeno in una lista civica comunale, con rispetto parlando. I danni di un Biden li pagheranno le prossime generazioni, i nostri figli costretti a cercare lavoro da padroni cinesi e russi che si saranno mangiati la nostra Europa già all’ora dell’apericena.

Noi europei siamo morti che camminano, più di quanto lo eravamo nel 1939. Stavolta non vengono i G.I. americani di Roosevelt a salvarci. Sono morti anche loro.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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