Calcio

Il più forte di tutti i tempi

Succede in media ogni dieci anni.  Arriva il giorno in cui si è vista giocare la partita del secolo, la squadra più forte di tutti i tempi, il più grande giocatore di sempre. Aggettivi e iperboli si sprecano, numeri si accavallano su numeri.

E’ la legge dello sport, non solo del calcio. Ogni record è fatto di per sé per essere superato, o forse soltanto dimenticato, sotto l’incalzare di nuove prodezze. L’ultima partita, l’ultima squadra, l’ultimo campione visti all’opera sono sempre i più brillanti. Del resto, è un fenomeno comune a tutti i settori della vita. Quando si sposarono William & Kate, fu il matrimonio del secolo, Tre o quattro anni prima un altro matrimonio del secolo era stato celebrato a Madrid, tra un po’ toccherà ad un altro, chissà dove…. Tempo fa hanno fatto santo Papa Woityla. Nessuno ricorda più Papa Giovanni XXIII. Tra vent’anni magari stessa sorte toccherà a Giovanni Paolo II. Ci saranno nuovi eroi da idolatrare. E così via, fino alla fine dei tempi.

Valentino Mazzola

Valentino Mazzola

Nel calcio, in particolare, c’è sempre stata la squadra più forte di tutti i tempi. Sono rimasti in pochi quelli che si ricordano di quando il Grande Torino dominava sui campi di tutta Europa. I nostri vecchi, quelli che sono ancora vivi, possono testimoniare l’orgoglio italiano di quegli anni, a cavallo tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la ricostruzione, un paese in ginocchio e umiliato che si poteva vantare di avere nel proprio campionato uno squadrone leggendario. Chi lo vide giocare, dice che un fuoriclasse come Valentino Mazzola, padre di Sandro, deve ancora rinascere. Mio padre mi raccontava che alla fine degli anni quaranta in Italia non c’era ragazzino, dovunque fosse nato, che non fosse tifoso del Grande Torino. Ovviamente, la tragica conclusione a Superga, fece di questa leggenda un poema epico, quale neppure Omero avrebbe saputo scrivere.

Ferenc Puskas

Ferenc Puskas

Passarono pochi anni, e un’altra squadra più forte di tutti i tempi arrivò a calcare le scene. E’ strano come a volte il destino presceglie un paese a caso per concentrarvi tutti i campioni che servono a fare uno squadrone. O forse no, non è il destino, sono altri fattori. L’Ungheria dei primi anni cinquanta era anch’essa un paese che voleva fortemente la propria rinascita, ribellandosi al giogo sovietico (come si diceva allora e si sarebbe detto dopo). E per qualche tempo ci riuscì. Prima della tragica conclusione nel novembre 1956 sotto i carri armati con la stella rossa, Budapest e tutta l’Ungheria vissero una primavera incredibile. Nel calcio, un gruppo leggendario di fuoriclasse portò a successi e gioco spettacolari prima la Honved, squadra della capitale e dell’esercito, poi la nazionale magiara. Nessuno ha mai capito come fece l’Ungheria di Puskàs, Czibor, Kocsis & C. a non vincere il Mondiale in Svizzera nel 1954. Perse la finale contro la Germania per 3-2, dopo aver sconfitto la stessa Germania per 8-3 (!) nelle eliminatorie ed essere stata in vantaggio per 2-0 nella stessa finale. Ci fu chi parlò di doping tedesco, insabbiato da una Federazione internazionale già allora compiacente.

La fine della Rivoluzione Ungherese fu anche la fine della Grande Ungheria, che fece a tempo a rifilare un 6-3 all’Inghilterra in casa sua nel nuovo stadio di Wembley inaugurato per l’occasione, e poi si sciolse per la fuga all’estero dei suoi campioni.

Alfredo Di Stefano

Alfredo Di Stefano

Il 1956 fu anche l’anno dell’istituzione della Coppa dei Campioni, che coincise con l’inizio di un’altra leggenda, quella del Real Madrid. Il Real era la squadra di Francisco Franco, El Caudillo di Spagna. Il dittatore spagnolo era stato abile a sopravvivere al potere dopo la fine della guerra, e anzi nel nuovo quadro di guerra fredda internazionale si era ritagliato un ruolo di baluardo anticomunista ad occidente. Era appassionato di due cose: la grandeur spagnola ed il calcio, e siccome la sua squadra era il Real, ne fece uno squadrone favorendolo in tutti i modi. Il Real accolse i campioni ungheresi in fuga, ve ne aggiunse altri, a cominciare da Alfredo Di Stefano, argentino naturalizzato spagnolo che all’epoca era ritenuto il più grande di tutti i tempi, e cominciò a vincere Coppe dei Campioni, una a spese della Fiorentina nel 1957, che con Montuori e Julinho peraltro non sfigurò affatto. Essendo il Real una legione straniera, ne beneficiò poco la nazionale iberica, che vinse in quegli anni solo un europeo, nel 1964.

Pelé

Pelé

Con la Coppa dei Campioni cominciò anche la Coppa Intercontinentale, e l’incontro-scontro con il calcio sudamericano. Negli anni 60 in Europa ci furono molte grandi squadre ma forse nessuno squadrone. In Sudamerica invece esplose il Santos, di cui era il profeta la Perla Nera, Edson Arantes do Nascimiento, altrimenti conosciuto come Pelé. Se si guarda ai numeri, oltre che alla classe immensa che può testimoniare chi l’ha visto giocare, uno che può legittimamente aspirare al titolo di più grande di tutti i tempi, se questo titolo avesse un senso: tre mondiali vinti, più di mille gol segnati, una serie infinita di. E quegli interminabili secondi sospeso in aria per segnare di testa il primo gol all’Italia nella finale dell’Azteca al Mundial ’70.

Johann Cruyff

Johann Cruyff

Nello stesso anno in cui la leggenda del Pelé nero raggiungeva l’apoteosi, cominciava nel Vecchio Continente la leggenda del Pelé bianco. Come già venti anni prima in Ungheria, in Olanda alla fine degli anni sessanta si verificò un miracolo. Undici fuoriclasse a comporre uno squadrone che alla prima uscita perse sì dal Milan di Rivera la finale di Coppa Campioni, ma dopo non si fermò più. Quella formazione, travasata integralmente nella nazionale orange, i ragazzi della mia generazione la sapevano a memoria…..su tutti, lui, il Pelé bianco, il Profeta del Gol (come lo chiamò Sandro Ciotti), la mitica maglia numero 14. Johann Cruyff.

Come già vent’anni prima la Grande Ungheria, nessuno saprà mai come fece la Grande Olanda del 1974 a perdere la finale del Mondiale di Germania, sempre contro la Germania. Anche stavolta, forse, contò la politica, e anche l’emozione e l’incoscienza degli Orange… gli stessi sentimenti che stavano per complicare la vita al Brasile contro una grande Italia quattro anni prima in Messico. Fatto sta, la Coppa del Mondo l’alzò Beckenbauer, non Cruyff. E l’Olanda si sfasciò. I suoi campioni emigrarono un po’ ovunque, per la gioia di mezza Europa. Cruyff andò a rinforzare il primo grande Barcellona che si ricordi, Krol fu il primo straniero del Napoli a frontiere italiane riaperte, e così via.

Diego Maradona

Diego Maradona

Cominciò il periodo degli squadroni inglesi, Liverpool, Aston Villa, contrastati a volte dal Borussia Moenchengladbach e dal Bayern Munchen tedeschi e da Real e Barcellona spagnoli. Poca Juventus, niente Milan o Inter. Fino all’Heysel, la situazione fu questa. A livello di singoli campioni, era cominciata l’epoca di Diego Armando Maradona, che portò quasi da solo l’Argentina a vincere il suo secondo mondiale a Mexico 1986 e vicina a fare il tris a Italia 90, ma che a livello di club né con il Barcellona né con il Napoli ebbe successi clamorosi, a livello internazionale almeno. Dieguito era già un giocatore moderno, secondo gli standard di adesso, classe immensa e velocità strabiliante. Ma non ebbe la fortuna di militare nello squadrone, né forse lo cercò.

Roberto Baggio

Roberto Baggio

Lo squadrone a quell’epoca era a Milano. Il Milan a cavallo tra la gestione Sacchi e quella di Capello se non era uno squadrone ditemi voi cos’era. La difesa dei fuoriclasse italiani, il centrocampo e l’attacco dei fuoriclasse olandesi dettero vita ad un ciclo che ha fatto del Milan per lungo tempo la squadra più titolata al mondo. Il Real Madrid ridicolizzato al Santiago Bernabeu e a Milano (5-1), il Barcellona travolto nel 1994 (4-0) sono solo i più eclatanti tra i molti risultati di quel ciclo. Che vide anche la nazionale italiana ottenere brillanti risultati, essendo fermata sia nel ’90 che nel ’94 in prossimità di un’altra vittoria mondiale solo dai calci di rigore. Credo che se sia la nazionale prima che il Milan poi avessero saputo gestire un talento immenso come Roberto Baggio, il ciclo sarebbe stato più ancora vttorioso e duraturo.

Lionel Messi

Lionel Messi

Alla fine degli anni 90, il baricentro cominciò a spostarsi lentamente verso Spagna e Inghilterra. A Barcellona esplodeva la stella di Ronaldo, il Fenomeno brasiliano, che poi non ebbe fortuna all’Inter e ne ebbe molto poca a Madrid, ma che riuscì a vincere un mondiale con gli altri giocolieri brasiliani e a diventare il top scorer dei mondiali con 15 gol complessivi, superando quel Gerd Muller che aveva posto fine ai sogni di Cruyff e degli Orange. Il record di Ronaldo ha resistito fino al mundial brasiliano del 2014, allorché il centravanti della Germania che l’ha vinto, Miroslav Klose, raggiunse quota 16.

Cristiano Ronaldo

Cristiano Ronaldo

Il resto è storia recente. Il nuovo secolo ha visto prima l’esplosione del nuovo calcio inglese e poi di quello spagnolo, capitanato da un Real più galattico che mai e da un Barcellona stratosferico, e finalmente vittorioso anche a livello mondiale dopo tanti anni di corse a vuoto. Sono stati gli anni in cui i Palloni d’Oro se li sono spartiti in due: un altro numero dieci argentino che è sembrato poter eguagliare giocate ed imprese del suo archetipo Maradona, Leo Messi, ed un altro fenomeno che di cognome fa Ronaldo, ma di nazionalità portoghese e di nome Cristiano. Per gli aficionados, CR7.

Quante squadre più forti di tutti i tempi…. quanti giocatori più forti di tutti i tempi….. L’ultima partita è sempre la più bella, quella che si ricorda di più….

Ma il bello di questo gioco, dello sport in generale, è che alla prossima si ricomincia. Palla al centro, zero a zero. E il prossimo giocatore più forte di tutti i tempi sta già palleggiando da solo, da qualche parte…….

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Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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