Erano gli anni in cui la razza umana cominciava a sospettare di non essere la sola forma di vita intelligente nell’universo. A sentire su di sé, anzi, gli occhi puntati, scrutatori, interessati e non necessariamente benevoli di qualche altra razza, magari tecnologicamente più avanzata della nostra.
L’anno in cui Joe Schuster e Jerry Siegel firmarono il contratto con quella che sarebbe diventata una delle più importanti case editrici di fumetti, la DC Comics, affinché pubblicasse le avventure del personaggio da loro creato cinque anni prima, fu guardacaso lo stesso in cui Orson Welles ebbe buon gioco a far credere ai newyorchesi e a mezza America che gli alieni erano sbarcati e avevano dato il via ad una guerra di conquista del nostro pianeta.
Era il 1938, e la fantascienza stava prendendo piede alla grande come genere letterario, nel Nuovo Mondo e non solo. Era inevitabile che gli yankees attribuissero a quel genere alcune caratteristiche peculiari della loro tradizione letteraria e culturale. L’eroe giustiziere senza macchia e senza paura che da solo affronta e sconfigge qualsiasi cattivo, veniva dal mito della Frontiera da poco raggiunta e superata. Bastava solo mettergli un costume, dargli poteri extraterrestri e lanciarlo in volo nel cielo, ed ecco che Wyatt Earp, Doc Holliday, Pat Garret e Wild Bill Hickock diventavano con immediato e travolgente successo l’uomo dal costume blu, dal mantello rosso e dalla S vistosa sul petto che stava a richiamare il suo nome di battesimo, con cui le generazioni a venire l’avrebbero conosciuto.
Superman. Semplice, essenziale, di grande effetto. Come la storia che Schuster e Siegel cominciarono a raccontare a partire dal 18 aprile 1938 sulle pagine dei DC magazines, che presto avrebbero avuto la testata direttamente intitolata al suo nome. Il bambino lanciato nello spazio dai genitori verso la Terra per salvarlo dalla distruzione del suo pianeta si chiamava Kal El. In lingua ebraica, la religione dei due creatori, significa Voce di Dio. Poetico e inesorabile come un destino a cui non si può rinunciare. Nella navicella di salvataggio i genitori avevano messo dei cristalli da cui un giorno il loro figlio avrebbe tratto la spiegazione delle sue origini e avrebbe recuperato tutta la cultura del pianeta morente che lui non avrebbe conosciuto. Il resto l’avrebbero fatto Madre Natura ed il suo patrimonio genetico.
A differenza della Guerra dei Mondi di Welles, la storia di Superman prende il via dalla provincia americana e non dalla metropoli. La capsula contenente il piccolo Kal El atterra a Smalville, profondo Midwest. I Kent, che adottano il piccolo battezzandolo Clark, sono agricoltori, persone semplici ma di gran cuore, e ben presto si rendono conto che quel loro figliolo adottivo dalle qualità così particolari è destinato a ben altro che crescere e invecchiare come loro in quella cittadina ai confini dell’America. Clark Kent ritrova la navicella su cui era arrivato sul nostro pianeta, scopre i cristalli, scopre di essere Kal El e soprattutto di esser destinato a diventare Superman, l’Uomo d’Acciaio. La gravità terrestre per lui è infinitamente ridotta rispetto a quella del pianeta originario, Krypton. Così può volare, può esercitare una forza sovrumana, può compiere ogni impresa altrimenti preclusa alla razza umana, così apparentemente debole, fragile, soggetta ad una quantità di agenti ostili, nemici naturali e non che vorrebbero sottometterla o farla estinguere.
I sogni e le apprensioni dell’uomo del Ventesimo Secolo trovarono quel 18 aprile 1938 la loro risposta nei fumetti, una delle nuove arti del mondo moderno assieme a quella cinematografica con la quale presto si sarebbe intercambiata i personaggi protagonisti. Ma siccome la fantascienza alla Welles era tutto sommato troppo inquietante perché ci poneva alla periferia di un universo sostanzialmente ostile, nemico, quella di Siegel e Schuster si orientò verso connotati e sviluppi più rassicuranti. Superman avrebbe avuto il potere di distruggere il mondo con uno schioccar di dita, ma per fortuna era dotato di un codice morale positivo ed assoluto. Sarebbe stato lo Spiderman di Stan Lee ad enunciare il principio, trent’anni dopo, ma era stato il ragazzo volante con il mantello rosso e la grande esse sul petto il primo a metterlo in pratica: da un grande potere deriva una grande responsabilità.
I cattivi delle storie di Superman sono a volte veramente malvagi, ma il giustiziere nel metterli fuori gioco non eccede mai. Almeno nelle storie originarie non c’é mai sangue, non c’é mai crudeltà, non ci sono disastri irreparabili. Se serve, Superman può addirittura riportare indietro il tempo volando a velocità superiore alla luce in senso contrario al movimento della rotazione terrestre, e porre rimedio a qualsiasi catastrofe o nefandezza.
Il primo cavaliere dai superpoteri conquistò il mondo a velocità altrettanto supersonica. Dagli States, le sue storie arrivarono al di qua dell’Atlantico in pochi mesi. E come era successo per altri prodotti americani di grande impatto, da Stanlio e Ollio ai personaggi Disney, non ci fu censura fascista che tenesse. In edicola, anche i bambini italiani cercavano il loro eroe preferito, ed era lui. E pazienza se – in ossequio inevitabile alla politica di un regime che nel 1939 si avviava a dichiarare guerra al mondo moderno e a quegli U.S.A. che lo incarnavano più clamorosamente – dalle nostre parti si chiamava Nembo Kid. E non aveva sul petto la mitica esse, pare per un discorso di diritti d’autore che le varie case editrici (fino al 1966 ed all’avvento della Mondadori come esclusivista per il mercato italiano) cercarono di non pagare agli americani.
L’Uomo d’Acciaio fu il primo ed il migliore fino a tutti gli anni cinquanta, almeno finché sulla scena non arrivò Stan Lee con la sua fantasia straripante a dare una nuova dimensione a supereroi e supercattivi. Sul mercato si riversarono una quantità di personaggi in costume e relative improbabili identità segrete, che seguivano tutti la falsariga di Superman, ma proponevano – per quanto sulla carta – nuovi effetti speciali e situazioni sempre più originali, sempr epiù affascinanti per quanto sempre meno verosimili.
Il giornalista impacciato che al bisogno entra nella cabina telefonica con i suoi vestiti e ne esce un attimo dopo con quelli di Superman faceva tenerezza, ormai, anche se c’era stato un tempo in cui i ragazzi erano impazziti per le sue avventure. La sua collega del Daily Planet Lois Lane faceva invece rabbia, unica a non accorgersi e a non aver capito che l’impacciato collega Clark Kent nascondeva molto di più nel suo cuore e sotto i suoi abiti da newyorchese qualsiasi. Spiderman avrebbe riproposto la stessa situazione, vent’anni dopo, ma con una complessità psicologica ed una capacità introspettiva che al Primo Supercavaliere era mancata. Figlio del suo tempo, Superman vedeva scorrersi accanto un tempo nuovo, magari non sempre semplice da affrontare come tutto sommato era stato il suo. Bianco e nero, bene e male. Gli anni sessanta e settanta avrebbero complicato tutto, mettendo il nostro eroe di fronte a sempre più frequenti crisi di coscienza e voglie di prepensionamento.
Quando arrivò il momento del quarantennale, Superman ormai dal giornalaio era sommerso da una miriade di altri comics, della concorrente Marvel e della stessa DC. Per festeggiare degnamente la ricorrenza ci voleva il cinema. Il 1978 era l’anno seguente all’uscita di quel Guerre Stellari che aveva cambiato tutto, grazie alle nuove tecnologie padroneggiate da George Lucas. D’improvviso, il cinema americano si rese conto che c’erano tante altre storie da poter finalmente raccontare unendo i nuovi effetti speciali a copioni che ragazzi ed ex ragazzi conoscevano bene, perché venivano direttamente dalla loro infanzia.
Richard Donner non ebbe paura di cimentarsi con il mito. Per interpretare Jor El, il padre del piccolo kryptoniano mandato a salvarsi sulla Terra, chiese e ottenne nientemeno che Marlon Brando, tra gli attori un mito a sé stante, che dopo il Padrino e Ultimo tango a Parigi poteva permettersi di recitare solo quando gli arrivava qualche proposta che non si poteva proprio rifiutare. Superman era una di queste.
Per la parte di Clark Kent/Superman, Donner lanciò invece il giovane Christopher Reeve che sembrava creato apposta da Madre Natura per dare vita ad entrambe le identità del personaggio di Schuster e Siegel, così come loro le avevano disegnate.
Fu così che l’eroe dal mantello rosso – che poteva essere messo in difficoltà solo da quello strano minerale proveniente dal suo stesso pianeta, la kryptonite – cominciò a volare sui nostri schermi, dopo quarant’anni in cui lo aveva fatto sulle pagine dei nostri giornaletti. E fu subito Premio Oscar, che seguiva quello di Star Wars l’anno precedente. John Williams compose la seconda colonna sonora da nomination nel giro di due anni. Il cinema non sarebbe stato più lo stesso.
Neanche la vita del protagonista era destinata ad essere più la stessa. Dopo aver interpretato l’Uomo d’Acciaio per la quarta volta nel 1987, Reeve conobbe un periodo di appannamento professionale. Purtroppo, era destinato a ritornare agli onori della cronaca per motivi assai meno felici. Come l’eroe che aveva portato sul grande schermo, da qualche parte nell’universo aveva in agguato la sua personale kryptonite. Nel 1995 una caduta da cavallo a Charlottesville (nome che con il senno di poi riecheggiava beffardamente la Smalville dove il suo Clark Kent era cresciuto) lo rese tetraplegico. Nei nove anni successivi il mondo si appassionò al suo tentativo di continuare a vivere e malgrado tutto addirittura a recitare. Riuscì ad essere il protagonista del remake de La finestra sul cortile di Hitchcock e apparve in un cameo nella serie elevisiva Smalville tratta dai fumetti della DC comics e incentrata sulla vita di Superman quando ancora era Superboy.
Finché quel fumetto che a lungo i fans di tutto il mondo avevano paventato, La morte di Superman, uscì davvero, ma non purtroppo nelle edicole. Christopher Reeve morì di infarto il 10 ottobre 2004. Due anni dopo usciva al cinema Superman returns. Ma la magia ormai si era estinta, e nei cristalli di Jor El non restava più niente. L’Uomo d’Acciaio era stato sconfitto. Sopravviveva soltanto in quei vecchi ingialliti fumetti che alcuni di noi ancora conservano in soffitta.
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