Il 28 novembre 1520 Fernando de Magallanes (in italiano Ferdinando Magellano) portò a termine l’attraversamento dello stretto che da quel momento avrebbe portato il suo nome, all’estremità meridionale dell’odierno Cile.
L’ammiraglio spagnolo era partito quattordici mesi prima da Sanlucar de Barrameda, un porticciolo sulla costa atlantica dell’Andalusia a poca distanza da quella Palos de la Frontera da cui Cristoforo Colombo era partito quasi trent’anni prima per cambiare la storia del mondo.
Magallanes aveva convinto il giovane re Carlo V a finanziargli una spedizione di cinque caravelle con a bordo 237 uomini ed avente per obbiettivo proprio ciò che la spedizione di Colombo non era riuscita a conseguire: il passaggio a ovest verso le Indie. Ormai era chiaro che la terra che si frapponeva tra esse e i navigatori europei era un nuovo continente a cui era stato già dato il nome America in onore dell’italiano Vespucci. Per raggiungere le ricchezze di Katai e Cipango descritte da Marco Polo era necessario trovare un passaggio alla fine di quella terra immensa, nei Mari del Sud.
Magallanes arrivò sulle coste di quella che oggi si chiama Tierra del Fuego, una distesa di ghiaccio con cui termina il continente sudamericano e che anticipa clima e paesaggio di un altro continente immenso che si distende più a sud e di cui a quel tempo si favoleggiava soltanto l’esistenza (la Terra Australis, o Antartide, sarebbe stata avvistata esattamente tre secoli dopo, nel 1820).
Le cinque caravelle erano già ridotte a tre, e davanti a Magallanes e ai suoi uomini esausti si prospettava una sfida mortale. Il Capo attorno a cui le acque dell’Atlantico ruotavano per diventare qualcos’altro e cambiare nome gli era apparso proibitivo da doppiare. Soltanto nel 1616 due ardimentosi olandesi avrebbero compiuto quell’impresa, che non sembrava alla portata delle fragili caravelle spagnole, mettendo un nome ad un terrore plurisecolare: Capo Horn, Cabo de los Hornos. Gli indigeni del luogo confermarono, l’Horn non si poteva passare. Tuttavia gli indicarono una alternativa.
Magallanes entrò nello stretto che da quel momento avrebbe portato il suo nome il primo novembre, e ne uscì il 28, dopo quasi un mese di navigazione difficilissima attraverso pareti di roccia impressionanti che stringevano le navi in un cunicolo senza fine. Il sollievo fu enorme, insieme alla sorpresa. Le acque del nuovo oceano che si stendeva a perdita d’occhio davanti agli spagnoli erano tranquille, nessuna traccia delle tempeste che sconvolgevano l’Horn più a sud. Magallanes battezzò quelle acque Oceano Pacifico.
L’ammiraglio non era destinato a raccontare in prima persona quella ed altre imprese. Il suo viaggio terminò a Mactan, una delle isole centrali dell’arcipelago delle Filippine, dove stava cercando di sedare una rivolta degli indios locali, prontamente sottomessi al cristianesimo giunto loro a bordo delle caravelle. Il 27 aprile 1521 il navigatore semplicemente sparì dalla faccia della terra, e nemmeno delle sue spoglie mortali rimase traccia.
La spedizione proseguì sotto la guida del vice Juan Sebastiàn Elcano e dello studioso italiano Antonio Pigafetta, che scrisse una minuziosa relazione su quella che sarebbe passata alla storia come la prima circumnavigazione del globo terracqueo. A Sanlucar, per la via del Capo di Buona Speranza, il 6 settembre 1522 delle cinque navi partite 2 anni 11 mesi e 17 giorni prima se ne ripresentò solo una, la Victoria, con a bordo soltanto 18 dei 237 uomini imbarcati.
L’uomo più importante tra quanti non avevano fatto ritorno passava alla storia per aver trovato la mitica rotta verso le Indie e per aver praticamente dimostrato ciò che gli astronomi più avveduti ormai sostenevano apertamente, in barba ai dogmi della Chiesa Cattolica: la terra era una sfera ed era circumnavigabile da ovest ad est, da nord a sud, sui mari che la ricoprivano attorno ai quattro continenti fino ad allora scoperti.
La più celebre emulazione dell’impresa di Magallanes sarebbe stata quella di Francis Drake, che nel 1577 come corsaro per conto della Regina Elisabetta avrebbe attraversato lo stretto di Magellano per andare a saccheggiare i porti spagnoli sul Pacifico, da Valparaiso a San Francisco. All’uomo che avrebbe messo in ginocchio l’Invencible Armada sarebbe toccato l’onore di dare il nome al canale che separa il Capo Horn da quella terra favolosa ricoperta di ghiaccio che si stendeva all’estremo sud.
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