Cultura e Arte

Il principe dei ladri

Lo sfondo è quello dell’Inghilterra dopo la conquista normanna, e di quella guerra civile latente che per due secoli circa perdurò tra l’aristocrazia normanna e la popolazione sassone originaria. Espropriati della loro terra e vessati per sostenere il costo delle guerre combattute dai re Plantageneti Enrico II e Riccardo Cuor di Leone sul continente europeo (l’interminabile e plurisecolare guerra con la Francia) ed in Terrasanta (Riccardo andò vicino alla riconquista di Gerusalemme durante la Terza Crociata), probabilmente furono più di uno i sassoni che si dettero alla macchia per vivere come fuorilegge o anche semplicemente sopravvivere al fisco ed ai soprusi di re e sceriffi visti come usurpatori.

Errol Flynn, La leggenda di Robin Hood (1938)

Errol Flynn, La leggenda di Robin Hood (1938)

Quando i Baroni riuscirono a piegare il re Giovanni Senzaterra alla concessione della Magna Charta ed ai primi diritti riconosciuti da un sovrano ad un popolo nella nostra storia moderna, quel popolo non comprendeva ancora le classi meno abbienti, che ebbero bisogno ancora di lottare con le armi per la sussistenza.

Nella tradizione inglese, prima celtica e poi sassone, nei momenti più difficili a difendere il popolo era sempre sorto un eroe. Boadicea aveva incitato i Britanni a combattere gli invasori Romani. Artù aveva levato il braccio per impugnare la spada magica Excalibur e combattere i barbari Sassoni. Alfredo aveva chiamato a raccolta i Sassoni non più barbari a combattere i terribili Vichinghi. Era destino che anche contro i Normanni si levasse un eroe capace di eccitare la fantasia popolare.

Il Robin Hood a cartoni di Wolfgang Reithermann - Walt Disney

Il Robin Hood a cartoni di Wolfgang Reithermann – Walt Disney

La letteratura, come sempre, si sarebbe impadronita volentieri del personaggio. Ma in questo caso lo fece con notevole ritardo. Il primo poema in cui un fuorilegge chiamato Robin Hood fa la sua comparsa risale infatti al 1377: si tratta di Piers Plowman, un’opera del chierico William Langland, in cui troviamo scritto: «Non conosco bene le preghiere del Signore, ma conosco le ballate di Robin Hood».

Brevi citazioni di questo tipo sono state ritrovate anche in molti altri racconti dello stesso periodo: pur dimostrando come la sua figura fosse ampiamente conosciuta e affermata già al tempo, nessuna di esse però ci fornisce informazioni dettagliate su chi fosse Robin, tantomeno ci aiuta a comprendere come un tale personaggio sia potuto divenire il soggetto di così tante ballate popolari.

Le prime testimonianze letterarie dedicate alle sue avventure sono alcuni componimenti contenuti all’interno delle cosiddette Child Ballads: in tutti questi racconti, si parla di Robin come di uno yeoman, ovvero di un aristocratico di basso lignaggio, devoto alla Vergine Maria ma nemico degli ecclesiastici corrotti e delle autorità, abilissimo nel tiro con l’arco e dotato di una scaltrezza fuori dal comune.

Robin e Marian, 1976, Richard Lester

Robin e Marian, 1976, Richard Lester

La cosa è quantomai verosimile. Gli yeomen inglesi si distinguevano a quel tempo per l’abilità con quell’arma che avrebbe fatto per lungo tempo la differenza nelle guerre con la Francia. Da Crecy ad Azincourt, gli arcieri inglesi avrebbero dominato i campi di battaglia europei, riportando poi in patria questa loro supremazia che avrebbe fatto di loro clienti assai difficili da addomesticare anche per i loro stessi signori. Robin Hood era uno di questi, e quando incoccava la freccia nel suo arco non faceva molta differenza tra i Normanni di Francia e quelli di Inghilterra. A Runnymede, a raccogliere la resa del re Senzaterra ci andarono i nobili, ma erano stati gli archi magistralmente impugnati dai popolani e l’astuzia e la tenacia di condottieri come l’ex signore di Locksley a costringervelo.

Le avventure di Robin Hood si ispirano dunque a quelle occorse a personaggi storici del tempo, rispecchiando la quotidianità dell’epoca e affrontando temi sociali (come i soprusi da parte dell’aristocrazia) che erano sicuramente cari al pubblico a cui erano rivolte queste ballate. Perché riprendevano e tramandavano qualcosa di molto inglese.

Fu poi il Romanticismo e l’età del grande romanzo storico a consegnarci la versione del mito definitiva, se non quella più fedele e comunque maggiormente diffusa. Walter Scott, che inserisce nel suo romanzo Ivanhoe il personaggio Robert Locksley.

Robin Hood, 2010, Ridley Scott

Robin Hood, 2010, Ridley Scott

In seguito, sarebbe stato Alexandre Dumas padre a farne un protagonista assoluto. Nell’opera postuma Robin Hood: il Principe dei Ladri consacrerà alla storia quelle caratteristiche divenute ormai iconiche: la foresta di Sherwood, usata come rifugio per i compagni di scorribande, tra cui Fra’ Tuck e il fedele Little John; lo scontro con lo sceriffo di Nottingham e i suoi sgherri; la storia d’amore ostacolata con Lady Marian, l’amica d’infanzia ritrovata dopo il rientro dalle Crociate; lo sfondo della disputa tra re Riccardo Cuor di Leone e suo fratello Giovanni.

La statua di Robin Hood a Nottingham

Nel ventesimo secolo, sarebbe infine arrivata la Decima Musa, il Cinema, a riprendere e declinare tutti questi elementi in varie modalità, affiancata dal teatro e soprattutto dalla TV. E’ interessante notare come la trama generale di queste storie e la caratterizzazione del personaggio non subiscano mai grandi variazioni e difficilmente riusciamo a trovare differenze significative tra una versione e l’altra.

Sul grande schermo l’eroe è stato rappresentato almeno una trentina di volte, a partire dai film muti dei primi anni del ‘900, poi con l’adattamento cinematografico di Ivanhoe del 1913, il Robin Hood leggendario di Errol Flynn e Olivia de Havilland del 1938, fino ai tempi più recenti, con il classico Disney Robin Hood del 1973, in cui i personaggi sono animali antropomorfi e il nostro eroe è raffigurato come una volpe, il crepuscolare Robin e Marian di Richard Lester del 1976 con Sean Connery e Audrey Hepburn, ed il Robin Hood forse più fedele sia alla tradizione storica che a quella letteraria degli Scott e dei Dumas, interpretato nel 2010 da Russell Crowe e Cate Blanchett per la regia di Ridley Scott.

«Alzatevi, Locksley, sono io che devo ringraziarvi, se ho ancora un regno!»

«Alzatevi, Locksley, sono io che devo ringraziarvi, se ho ancora un regno!»

E’ opinione comune del pubblico se non degli addetti ai lavori che la trasposizione più conosciuta e più amata sia tuttavia quella del 1991 con Kevin Costner nei panni dell’arciere in Robin Hood principe dei ladri. Costner in quel momento era su quella cresta dell’onda su cui era salito con Gli Intoccabili e che sarebbe durata per lui almeno fino a Guardia del corpo, passando per Balla coi lupi, JFK e appunto questo tuffo nel passato avventuroso anglosassone sotto la regia di Kevin Reynolds, con la colonna sonora impreziosita da Michael Kamen e dalla hit di Bryan Adams, Everything I do (I do it for you).

Il film uscì nelle sale americane il 14 giugno 1991, e da allora fa discutere. Sicuramente gli addetti ai lavori della critica, che lo stroncarono liquidandolo come un flop. Non il pubblico, che gli ha sempre tributato immutato e giustificato affetto. Il cameo e le battute finali di Sean Connery nei panni di re Riccardo valgono il prezzo del biglietto e chiudono il cerchio di una tradizione artistica che ha fatto di Robin Hood  uno dei nostri più significativi archetipi.

L’eroe senza macchia e senza paura che si batte per il popolo infatti, come abbiamo visto, raccoglieva il testimone di una lunga tradizione anglosassone, e l’ha trasmesso a sua volta a tanti più o meno degni successori. Da Zorro, alla Primula Rossa, fino al nostro Tex Willer, passando per gli eroi di cartone dei nostri fumetti, Batman, Spiderman e compagnia bella. Cambiano i costumi, si aggiungono maschere a celare una identità segreta che lo yeoman sassone che combatteva lo sceriffo di Nottingham a viso aperto rivendicava orgogliosamente. Ma la sostanza resta la stessa.

La leggenda di Robin Hood principe dei ladri ci affascina irresistibilmente da circa ottocento anni. Ed è alla base della nostra storia, di uomini che a partire da Sherwood hanno voluto professarsi liberi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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