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Il Regime

Giacomo Matteotti

Giacomo Matteotti

Il passaggio dal regime liberale a quello autoritario in Italia ebbe paradossalmente le sue fasi salienti in Parlamento. Mussolini ed il Fascismo non abolirono mai lo Statuto Albertino, limitandosi ad interpretarlo a modo loro. Il capo del governo aveva avuto l’incarico dal Re d’Italia il 30 ottobre 1922, e da questi se lo sarebbe visto revocare il 25 luglio 1943, come da Statuto. Mussolini passò da Capo del Governo a Duce del Fascismo attraverso gli atti parlamentari che sancirono quanto avveniva di fatto nel paese.

Il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti aveva lamentato alla Camera dei Deputati i brogli elettorali che avevano mandato in Parlamento – complice la legge Acerbo che attribuiva un premio di maggioranza smisurato alla lista vincitrice – una maggioranza di camicie nere. Il coraggioso deputato socialista di Rovigo non aveva usato mezze misure, e aveva dato appuntamento alle sedute successive per ulteriori rivelazioni, concernenti addirittura la corruzione in cui il Capo dello Stato e quello del Governo erano incorsi da parte delle compagnie petrolifere (le Sette Sorelle) interessate al mancato sfruttamento del petrolio libico da parte dell’Italia.

Rimettendosi a sedere, Matteotti aveva detto ai compagni di partito: «Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.» Dieci giorni dopo fu rapito e ucciso da una squadra di fascisti agli ordini di Amerigo Dumini, che intese agire in tal modo interpretando secondo lui un espresso desiderio di Mussolini.

Il quale fu quasi travolto dallo scandalo, quando in agosto il cadavere di Matteotti fu ritrovato nella campagna romana. I partiti antifascisti lasciarono il Parlamento ritirandosi sull’Aventino, come avevano fatto i Plebei dell’Antica Roma. Il Fascismo sembrò per settimane sul punto di perdere il potere conquistato con la Marcia su Roma. Ma l’Aventino stavolta non fruttò al popolo romano e italiano né le Dodici Tavole della Legge né alcuna altra conquista.

Il 30 dicembre, quando Mussolini era chiuso nel suo studio a Palazzo Venezia a meditare sulle dimissioni da Capo del Governo per far cessare la campagna avversa di una stampa non ancora asservita, ricevette la visita dei Gerarchi, da Farinacci a Balbo a Dino Grandi, che gli intimarono letteralmente di non tradire la rivoluzione fascista e di completarla, dando il giro di vite che i suoi sostenitori si aspettavano.

Il discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera dei Deputati

Il discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera dei Deputati

Il 3 gennaio 1925, Mussolini si recò alla Camera dei Deputati per il più celebre e importante dei suoi discorsi, almeno fino al maggio del 1936 o al giugno del 1940. Vi entrò da Capo del Governo statutario e ne uscì da Duce del Regime Fascista.

In quel discorso, liquidò definitivamente l’affaire Matteotti e la secessione dell’Aventino, riaffermò con vigore la supremazia del Fascismo e mosse i primi passi – a detta di tutti gli storici – verso l’istituzione di un vero e proprio regime dittatoriale, in rottura con lo Stato liberale.

«Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere! Se tutte le violenze sono state il risultato di un determinato clima storico, politico e morale, ebbene a me la responsabilità di questo, perché questo clima storico, politico e morale io l’ho creato con una propaganda che va dall’intervento ad oggi».

BenitoMussolini180103-001Le parole di Mussolini alla Camera non intendevano lasciare dubbi. «Dichiaro qui, al cospetto di questa Assemblea e al cospetto di tutto il popolo italiano, che io assumo, io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto».

Sepolto definitivamente il cadavere di Giacomo Matteotti, il regime fascista in Italia cominciò ufficialmente il 3 gennaio 1925 e fu perfezionato nella sua essenza e nel suo funzionamento dalle cosiddette Leggi Fascistissime, emanate entro il 1926 e destinate a togliere l’Italia dal novero delle nazioni democratiche fino al 25 luglio 1943.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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