BOLOGNA – Non sapremo mai per quale motivo l’autocisterna guidata da Mauro Anzolin ha causato il tamponamento sulla tangenziale di Bologna che invece di un incidente a catena poteva dare luogo ad una ecatombe. O forse sì, se la risposta è contenuta nei tabulati telefonici all’esame delle autorità inquirenti. Ma questo dettaglio servirà più che altro alle assicurazioni, e a chi dovrà ricostruire le sedi stradali e quant’altro danneggiato pesantemente dallo scontro tra il GPL ed i solventi altamente infiammabili che per poco non hanno raso al suolo Borgo Panigale.
Viene davvero da pensare che come ha detto l’Arcivescovo Zuppi sulla città di Bologna si sia stesa la mano di Dio. Il capoluogo emiliano è stato ad un passo dal veder rinnovarsi (su scala ancora maggiore) la tragedia dell’agosto 1980, che abbiamo commemorato pochi giorni fa. Invece, se la cava – ce la caviamo – con 145 feriti dei quali purtroppo 4 ancora gravi, ed un solo morto, il conducente dell’autocisterna GPL.
La tragedia sfiorata a Bologna ne riporta alla mente altre del passato, insieme a considerazioni e a polemiche che in queste circostanze inevitabilmente si rinfocolano. La rapidità peraltro con cui gli operatori addetti all’emergenza hanno reagito, con la prima ambulanza già sul posto dopo 4 minuti dalla prima chiamata al 118, desta francamente ammirazione. Non per nulla lo stesso 118 è nato da queste parti, facendo tesoro dell’esperienza accumulata in occasione della strage alla stazione.
Le considerazioni che possono avere risvolti polemici vertono semmai sulla condizione generale dei trasporti nel nostro paese. L’incidente apocalittico di Borgo Panigale taglia in due la nostra penisola dal punto di vista della viabilità e del trasporto di persone e merci. E dalle prime stime non sarà una situazione da risolvere in tempi brevi.
Si tratterebbe di un inconveniente relativo, in un paese che avesse diversificato da tempo le sue modalità di circolazione. Ma com’é noto, in Italia la scelta a partire dagli anni del boom economico ha privilegiato la gomma rispetto alla rotaia. Il 94% delle merci viaggiano sulle nostre strade lasciando alle ferrovie soltanto il 6%, malgrado le direttive europee che vorrebbero tendenzialmente l’incremento fino al 30% su rotaia entro il 2030.
Il verbo europeista si scontra fatalmente con la vocazione storica di un paese che ha vissuto e probabilmente vive ancora la realtà di un’industria automobilistica e relativo indotto predominanti. La scelta a favore della gomma è stata gioco-forza, nell’ordine delle cose almeno per una politica poco lungimirante che non dirige ma subisce l’economia reale. I poteri economicamente forti.
Mentre si sgombrano le macerie sulla tangenziale di Bologna e si curano i feriti, è su questo che bisogna riflettere oltre che sui tempi di ripristino della viabilità esistente e sul tema parallelo e sovrapposto grandi opere sì – grandi opere no.
In questi giorni la TAV Torino – Lione assorbe tutte le energie e impegna tutti i dibattiti. Varrebbe la pena forse interrogarsi tutti come fa il ministro dei trasporti Toninelli a proposito di una politica ferroviaria diversa, più orientata sul trasporto persone (soprattutto lavoratori pendolari) che sul trasporto superveloce delle merci. Che comunque andrebbe incrementato a velocità normale su tutto il territorio colmando la lacuna determinata nella nostra rete di trasporto da scelte storiche ormai superate e ritenute tali probabilmente dalla stessa industria automobilistica.
La mano di Dio può stendersi sul nostro territorio a proteggerci dalle nostre stesse azioni scellerate in materia di ambiente, ma contro i nostri errori politico-economici strutturali può fare poco, come può fare poco in sottordine l’Europa. L’Italia resterà tagliata in due per un bel po’. Forse è venuta davvero l’ora di aprire strade alternative. E così come dai grandi drammi degli anni 80-90 abbiamo ereditato un sistema di gestione dell’emergenza encomiabile, da quelli attuali – scampati o subiti – possiamo ritrovarci in dotazione un sistema economico, e quindi anche di trasporto, finalmente all’altezza del continente a cui facciamo ogni giorno riferimento per giustificare le nostre azioni.
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