Ombre Rosse

It’s Hard Brexit, God save the Europe

Theresa May alla Camera dei Comuni prima del voto sulla Brexit negoziata con Bruxelles

La House of Commons rigetta l’accordo negoziato da Theresa May con l’Unione Europea, e lo fa in maniera clamorosa infliggendo al governo di Sua Maestà la più dura sconfitta di sempre nella lunga storia del Parlamento britannico. Oltre 200 voti di scarto, il che significa che almeno un centinaio di Tories, i conservatori che sostenevano fino a ieri la maggioranza della May, si sono rivoltati contro la disciplina di partito.

La Brexit rimane in piedi, ma non c’é più un accordo bypartisan per una sua gestione negoziata. Stamattina, i media in quota alle varie sinistre europee (almeno quelle superstiti) ostentano una ipocrita ed interessata preoccupazione che dentro di sé non provano, paradossalmente mischiata ad una sicurezza che non può appartenere loro. I commenti sono tutti improntati ad una soddisfazione per il voto di Londra che non si giustifica altro che con una profonda ignoranza delle cose inglesi, unita ad una lettura del futuro dell’Europa che scambia i desideri con la realtà.

Il paradigma è quello dettato da Tajani, presidente del Parlamento Europeo voluto da Forza Italia e da chi aveva interesse a dare un contentino a Berlusconi: «Sono problemi degli inglesi, alla UE di come va a finire non interessa niente». E giù tutti a concionare a proposito di scenari apocalittici per l’Inghilterra, di crisi economiche sul modello di quella irlandese della metà dell’Ottocento (con la gente del posto costretta ad emigrare per non morire di fame), di calpestìo dei diritti dei lavoratori europei nell’isola, di espulsioni di massa, di Ellis Island nel Canale della Manica. O di crisi monetarie che dovrebbero paradossalmente travolgere un paese che non ha mai adottato la moneta unica, tenendosi piuttosto una sterlina che nella sua lunga storia ha affrontato – e vinto – ben altre crisi.

Tutto ciò è semplicemente ridicolo, e dispiace di non avere a portata di mano uno degli aforismi con cui Oscar Wilde avrebbe commentato la stupidità collettiva con cui il mondo delle news – di orientamento lefty, sinistrorso, per dirla all’inglese – stamattina ha scambiato strafalcioni in libertà per analisi elaborate del voto dei Comuni e delle sue conseguenze.

Inglesi in attesa del voto del Parlamento a Westminster

Inglesi in attesa del voto del Parlamento a Westminster

Quando si parla di Inghilterra, bisognerebbe sempre tenere presente, ammesso di conoscerla, la storia di questo paese. Gli inglesi, da quasi un millennio, non amano farsi dettare la linea politica da una qualsiasi entità straniera, sia una nazione o una lobby politica o economica. Il paese che non ha avuto paura dell’Invencible Armada, di Napoleone, di Hitler, figuriamoci se poteva averne di Draghi, Juncker, Tusk, Merkel e compagnia bella. Figuriamoci se poteva accettare un accordo – diktat negoziato da una premier guadagnata all’ultimo secondo alla causa della Brexit voluta dal popolo, e che ha concesso – secondo il sentimento profondo, l’orgoglio e la percezione del proprio interesse da parte della nazione britannica – fin troppo ai burocrati di Bruxelles da cui il paese aveva detto abbastanza nettamente due anni fa di voler separare la propria sorte.

L’accordo non ratificato ieri notte a Westminster da un Parlamento che si è ricordato le ragioni profonde della sua esistenza sarebbe costato alle casse del governo di Sua Maestà svariate decine di miliardi di euro, in aggiunta alla sottomissione a diverse regole imposte dalla UE che di fatto avrebbero mantenuto la giurisdizione di quest’ultima sull’isola. La favola del buongiorno raccontata adesso dai nostri giornali assieme agli altri del fronte di Maastricht vorrebbe che gli inglesi si fossero svegliati stamani terrorizzati dalla mancanza di un futuro, nell’avvicinarsi di quella data del 29 marzo prossimo in cui la Brexit sarà esecutiva, accordo o non accordo.

Antonio Tajani

Antonio Tajani

Ma è così? Vediamoli un po’ questi inglesi terrorizzati. Che si trovano a vivere in un paese che, anche grazie al referendum di due anni fa ed al suo risultato, è sorretto da una economia che tira come una locomotiva. La sterlina non è né più forte né più debole, è la sterlina e basta, da tempo ormai immemorabile una moneta rifugio quando tutte le altre traballano. Lo Stock Exchange, la Borsa di Londra, gestisce ogni giorno come minimo la ricchezza del Commonwealth, cioè di una buona metà della ricchezza della superficie e del sottosuolo di questo pianeta, tra l’altro la metà più wealthy, benestante, ed è forse addirittura più importante, nevralgica di quella di New York.

Quanto ai diritti, crediamo che gli inglesi possano sorridere, e andare con flemma british a recuperare il libro degli aforismi di Oscar Wilde per trovarne uno adatto alla circostanza. I diritti li hanno inventati loro, e tra l’altro a memoria d’uomo chi è voluto andare a lavorare in Gran Bretagna per elevare le proprie condizioni di vita ha sempre potuto farlo senza problemi. Se la Brexit avrà corso nelle condizioni attuali – Hard Brexit -, ricordiamo a tutti che a norma del Trattato di Maastricht si ritorna automaticamente alle condizioni del 1973, anno in cui il Regno Unito entrò nel MEC. All’epoca, si entrava sul suo territorio con una semplice carta di identità, e ci si rimaneva praticamente a proprio piacimento per tutto il tempo che ci pareva, per studio, lavoro, diporto o che altro.

Sono gli inglesi che devono preoccuparsi se il 29 marzo la Brexit sarà Hard? O non rischiamo noialtri europei di fare un’altra volta come quel Napoleone Bonaparte che nel 1803 decise di mettere il blocco navale contro l’Inghilterra, per poi scoprire che era stata la Royal Navy, la Marina di Sua Maestà a mettere il blocco navale al continente in quel momento da lui dominato?

Padroni di credere ai profeti di sventura (britannica) e ai fautori dell’Europa voluta così dalla sinistra affaristica. Quella che ieri ha festeggiato tronfia e autoreferenziata il ventennale di un Euro che molti dei cittadini del continente scambierebbero volentieri con la vituperata sterlina. Quella che vorrebbe vedere Albione nella polvere quanto e più di quanto lo volesse Mussolini al tempo della guerra.

Conoscendo un pochino gli inglesi, crediamo che tra le sciocchezze di Antonio Tajani e dei suoi apologeti e gli aforismi con cui Oscar Wilde sprezzante le avrebbe commentate, sia più azzeccato – oltre che più utile a tutti – credere a queste ultime.

Theresa May, attesa oggi da l voto di fiducia, e Jean-Claude Juncker

Theresa May, attesa oggi dal voto di fiducia in Parlamento, e Jean-Claude Juncker

«L’unica cosa che valga la pena di fare, oggi, è l’essere moderni»

(Oscar Wilde)

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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