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Jalta

Alla fine, quando arrivano a concentrare nelle loro mani un potere così grande, gli uomini si comportano tutti allo stesso modo. Soprattutto, ci tengono ai simboli che possano raffigurare nel modo più suggestivo ed efficace quel loro potere nelle menti e nei cuori degli altri uomini.

Lo Zar rosso Iosif Vissarionovič Džugašvili, per gli amici – ma non ne aveva – Stalin, ospitò i suoi Alleati per la conferenza che avrebbe posto fine alla Seconda Guerra Mondiale nella stessa villa in cui l’ultimo Zar di tutte le Russie, Nicola II Romanov, aveva trascorso le sue vacanze estive, e aveva preso decisioni importanti se non addirittura letali, come l’entrata in quella Prima Guerra Mondiale alla quale non sarebbe sopravvissuto, né lui né il potere che la sua famiglia incarnava da secoli.

Quella che si aprì il 4 febbraio 1945 nel Palazzo di Livadija a Jalta, in Crimea, fu la riunione più importante tra le Potenze che di lì a poco avrebbero vinto la più tragica e devastante delle guerre, e che avevano stabilito da tempo di ritrovarsi per definire il futuro assetto di quel mondo sottratto al dominio delle potenze dell’Asse, la Germania di Hitler, il Giappone di Hirohito, l’Italia di Mussolini ed i loro satelliti.

La decisione di vedersi a Jalta risaliva alla precedente conferenza di Teheran del novembre 1943. Con la Germania nazista ed il Giappone imperiale ancora in possesso di tutta l’Europa e buona parte dell’Asia, gli Alleati avevano rinviato le decisioni sul dopo a tempi migliori, quali nei loro auspici sarebbero seguiti all’apertura del secondo fronte europeo in Normandia ed alla riconquista dell’Oceania e dell’Indonesia da parte degli angloamericani.

Stalin190204-001La decisione assecondava anche una delle più celebri paranoie del dittatore sovietico, che non si fidava a recarsi in territori non controllati dall’Armata Rossa e soprattutto dal servizio segreto sovietico, l’NKVD guidata dal fido Lavrentji Berja. L’uomo che aveva eliminato totalmente nemici ed amici dal panorama della politica del suo paese vedeva – probabilmente dal suo punto di vista a ragione – nemici dappertutto. Gli Alleati, per incontrarlo, dovevano accettare le sedi da lui proposte. Stalin aveva già concesso molto accettando in precedenza di recarsi a Teheran, ritenendo l’Iran confinante con l’URSS abbastanza sicuro.

Per l’incontro decisivo, un Winston Churchill a cui premeva essere intransigente su ben altre questioni che non la sede ed un Franklin Delano Roosevelt che aveva i suoi motivi, anche di salute, per non disdegnare l’invito in una località termale accettarono Jalta senza grosse difficoltà.

A Palazzo Livadija i Tre Grandi stabilirono le sorti del mondo, mentre Charles De Gaulle schiumava di rabbia per non essere stato invitato come quarto, in segno di riconoscimento alla Francia dello status di potenza vincitrice. Nella prima settimana di febbraio in quel luogo furono prese decisioni fatali e forse inevitabili, che avrebbero determinato la geografia politica del pianeta per i decenni a venire.

Charles De Gaulle a Radio Londra

Charles De Gaulle a Radio Londra

I leader politici applicarono la realpolitik per tenere dietro alle varie situazioni sugli scacchieri militari dove l’equilibrio delle forze in campo si stava evolvendo con grande drammaticità e rapidità. In quei giorni infatti l’Armata Rossa, dopo aver liberato Auschwitz, si affacciava sul confine orientale del Reich, mentre gli Alleati si avvicinavano a quello occidentale, il Reno, cominciando a rendersi conto per la prima volta che la lunga preparazione del secondo fronte in Normandia stava determinando a posteriori un loro ritardo che rischiava di essere fatale, nella corsa verso Berlino.

Tutti coloro che dopo la guerra – in previsione di combatterne subito un’altra, tra ex Alleati divenuti in breve tempo nemici mortali – si sarebbero rammaricati delle decisioni prese in Crimea (a cominciare da quello stesso Churchill che aveva contribuito a prenderle, benché relegato ormai ad un ruolo di secondo piano, appena un gradino sopra a quello di de Gaulle), avrebbero definito Jalta la conferenza in cui USA ed URSS si erano spartiti il mondo, creando loro stessi le condizioni della Guerra Fredda che lo avrebbe congelato per i successivi quarant’anni.

In realtà, costoro ragionavano con il senno di poi. A Jalta furono discusse questioni inevitabili aperte dal conflitto che ancora non si cessava di combattere. Le conseguenze semmai vennero dopo, determinate dai rapporti di forza tra i soggetti politici e militari rimasti in piedi alla fine della catastrofe, all’indomani dell’8 maggio 1945.

12 aprile 1945

12 aprile 1945

E’ indubbio che Winston Churchill e Charles De Gaulle erano i leader occidentali dalla vista più lunga. L’Europa Orientale era a quel punto sotto il totale controllo dell’Armata Rossa (che sarebbe arrivata fin sotto le mura di Vienna come già una volta i Turchi Ottomani, prima che le ostilità fossero cessate e gli accordi presi applicati) ed era un dato di fatto decisamente incontrovertibile. Così come l’appoggio ai partigiani cetnici e comunisti guidati in Jugoslavia dal maresciallo Tito, inizialmente uomo degli inglesi e poi capo carismatico degli Slavi del Sud, creava uno stato di fatto sul confine orientale italiano che sarebbe stato difficile se non impossibile rimettere in discussione. Quella che di lì a poco Churchill avrebbe battezzato come la Cortina di Ferro si stava estendendo molto a ovest, in una misura che a Teheran sarebbe stato ancora impossibile prevedere.

Contro una Wehrmacht che ormai richiamava al fronte gli adolescenti per protrarre l’inevitabile resistenza e ritardare la tragica ritirata verso la patria ed il bunker del Fuhrer, l’Armata Rossa era avvantaggiata dalle pianure polacche su cui i suoi carri armati T34 potevano ormai volare senza quasi incontrare ostacoli, mentre gli Alleati erano stati rallentati una volta di più da quelle Ardenne sulle quali la Prussia prima e la Germania nazista poi avevano costruito le loro effimere fortune militari.

La sensazione era che Stalin ricevesse ormai i suoi ospiti Alleati da una incontestabile posizione di forza conquistata e consolidata dal ferro e dal fuoco. Il fatto che il suo stesso esercito fosse stato messo a dura prova da quattro anni di guerra senza quartiere sul fronte orientale aperto dall’Operazione Barbarossa era più rilevante per storici ed analisti del tempo a venire che per chi doveva prendere le decisioni operative in quell’inverno del 1944-45.

WinstonChurchill190124-001FDR era un uomo ormai agli sgoccioli della propria esistenza, che avrebbe avuto fine due mesi più tardi, il 12 aprile, 8 giorni prima dell’ultimo compleanno di Adolf Hitler. Le residue energie di colui che aveva sconfitto la Grande Depressione con il New Deal e gli Imperi del Male con uno spiegamento della superpotenza americana che non aveva precedenti nella storia, lo portavano forse a cercare più gli accordi che le soluzioni drastiche e gli antagonismi. La facilità con cui si intese a Jalta con lo Zio Joe, quello Stalin che incarnava per gli Americani quel Comunismo che era il male del secolo, probabilmente era frutto anche di questo, a maggiore frustrazione della Cassandra Churchill.

Ma soprattutto, con le cannonate che risuonavano ancora per le strade delle città europee e con i giapponesi tutt’altro che sconfitti dalle vittorie della US Navy che da un’isola all’altra si avvicinava alla loro madrepatria seppur troppo lentamente, a Jalta non si poteva non pensare a come finire di vincere la guerra piuttosto che a come impedire che ce ne fosse a breve un’altra.

Quanto al futuro, il presidente americano nutriva le stesse buone intenzioni del suo predecessore Woodrow Wilson, e la sua proposta di convocare le nuove Nazioni Unite a San Francisco nell’aprile successivo (riunione a cui avrebbe partecipato al suo posto, per il motivo sopra detto, il suo vicepresidente e successore Harry Truman) riproponeva con analoga ingenuità l’esperimento a suo tempo fallimentare della Società delle Nazioni.

La proposta di smembrare la Germania e di disarmarla era nell’ordine delle cose e delle idee in quel momento, così come quella di richiederle nuovamente delle ingenti riparazioni di guerra. Erano soluzioni invocate a gran voce da chiunque avesse sofferto per la seconda volta in vent’anni a causa delle armi tedesche, e che tuttavia si sarebbero in breve tempo dimostrate impraticabili. Perché attraverso la Germania sconfitta sarebbe passato il confine tra due mondi nuovamente in armi l’un contro l’altro.

La bandiera rossa svenola su Berlino

La bandiera rossa sventola su Berlino

Allo stesso modo, l’idea delle sfere di influenza nelle quali suddividere il globo terrestre nasceva ancora dalla coscienza del passato e dalla realtà del presente: due volte la Germania aveva scatenato l’Apocalisse, alla fine erano rimasti solo l’esercito americano e quello russo ad impedirle di portarla fino alle estreme conseguenze. Era inevitabile che Roosevelt e Stalin si trovassero d’accordo sulla necessità di prendere l’Europa ed il mondo sotto tutela. Era altrettanto inevitabile che Stati Uniti e Unione Sovietica, le due superpotenze che nel giro di poco si sarebbero fronteggiate in un nuovo conflitto, finissero per beneficiare a fini bellici di quel loro intento pacificatorio originario, in buona o cattiva fede che fosse.

Ma Stalin, mentre discuteva con Roosevelt, guardava negli occhi Churchill. Con l’americano Zio Joe si accordava facilmente a proposito del passato. Con l’inglese si capiva a meraviglia, e senza bisogno di parole, circa il futuro. Churchill sapeva come sarebbero andate le cose, lo sapeva fin da quando era stato, nel 1919, uno dei più convinti assertori della reazione bianca alla rivoluzione rossa il cui erede e capo superstite gli sedeva adesso davanti.

I marines a Iwo Jima

I marines a Iwo Jima

Anche Stalin sapeva come sarebbero andate le cose. Il confine su cui un nuovo leader occidentale avrebbe potuto attaccarlo in futuro doveva restare dove sarebbe stato posto di lì a poco: a Berlino, sull’Elba o dove si sarebbero fermati gli eserciti. La Russia non avrebbe più subito altre Operazioni Barbarossa. E se sì, sarebbero partite da molto più lontano, mentre nel frattempo la sua Armata Rossa avrebbe trascorso al sicuro gli anni necessari a ricostituire la propria forza logorata dalla Grande Guerra Patriottica.

Diane Shever Clemens, la più autorevole storica statunitense a proposito della conferenza, afferma che in realtà il cosiddetto spirito di Jalta, messo rapidamente da parte dai politici anglosassoni, avrebbe potuto assicurare un periodo di pace e collaborazione amichevole tra le grandi potenze vincitrici della seconda guerra mondiale.

Il fatto era che la seconda guerra non era ancora finita, e già incombeva la terza.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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