«La scena è il solo posto dove sono consapevole di quello che sto facendo». Con queste parole emblematiche aveva definito se stesso e la propria breve ma intensa vita John Adam Belushi, nato a Chicago il 24 gennaio 1949 da immigrati albanesi (il cognome originario era Bellios) che si erano specializzati nella ristorazione. E avevano avuto successo, tanto che il giovane John Adam era potuto andare al college.
Alla Wheaton Central High School mise subito in mostra le sue doti istrioniche, divenendo ben presto popolare come il simpaticone della scuola, e scoprì anche quelle che sarebbero rimaste le sue grandi passioni per tutta la vita: il football americano, la batteria e la recitazione in teatro.
Capitano della squadra del college, batterista ricercato da tutti i complessini giovanili, attore comico che faceva furore nelle recite scolastiche, fu in quest’ultima delle sue attività predilette che decise di provare a sfondare. Dopo il diploma, dovette scegliere tra due borse di studio, una per il football e una per il teatro. Scelse la seconda, e si consegnò alla leggenda.
La prima volta che salì agli onori della cronaca fu nel 1968, quando partecipò a quelle manifestazioni a Chicago contro la Guerra del Vietnam che furono brutalmente represse dalla polizia. John fu tra i manifestanti travolti dai gas lacrimogeni e dalle manganellate, e pare che fosse ben riconoscibile in alcuni filmati d’epoca. A vent’anni, oltre a maturare un pacifismo convinto, aveva già acquisito tutte le esperienze fondamentali che avrebbe trasferito nei film che lo avrebbero reso immortale.
Nella prima metà degli anni settanta, il maggiore dei fratelli Belushi (nel frattempo erano nati anche i fratelli James – che sarebbe diventato famoso seguendo le sue orme – e William) si fece un nome ed ossa sempre più robuste nell’ambiente teatrale americano, fino a quello che sarebbe risultato l’incontro decisivo della sua vita. A Los Angeles incontrò un altro fuoriclasse emergente della comicità, quel Dan Aykroid con il quale di lì a poco avrebbe messo a punto lo spettacolo di successo che gli avrebbe dato la vera notorietà, nonché il lancio nel firmamento delle stelle di Hollywood.
Il Blues Brothers Show nacque come una delle tante parodie in cui i due ragazzi terribili si cimentavano ai margini del Saturday Night Show della NBC. In realtà, la vicenda dei fratelli Blues vestiti di nero che cercano di «rimettere in piedi la Banda» attingeva direttamente ai ricordi di John Belushi circa la vita di quartiere a Chicago nella sua giovinezza. Fu un successo talmente clamoroso da spingere un regista (anch’egli emergente) come John Landis a farne un film, che a sua volta divenne una pietra miliare nella storia del cinema e della comicità mondiale, oltre che uno splendido musical impreziosito dalla voce dei mostri sacri della musica dell’epoca, da Ray Charles ad Aretha Franklin.
Per John Belushi si aprirono le porte di Hollywood. Poco dopo il successo fu doppiato da Animal House, dove Joliet Jake Blues diventava Bluto Blutarsky e raccontava da par suo la vita di college nell’America degli anni sessanta. Seguirono alcune comparsate, tra cui il flop Verso il sud in cui interpretava il ruolo a lui evidentemente poco congeniale di vicesceriffo messicano a fianco del già consacrato Jack Nicholson. Il successo ritornò ad arridergli con 1941 Allarme a Hollywood, in cui la necessità da lui particolarmente sentita di mettere in ridicolo la stupidità della guerra evidentemente gli toccava di nuovo le corde giuste. Seguirono il gioiellino Chiamami Aquila, film che secondo suo fratello James (e anche secondo molti critici) fu il migliore da lui interpretato, e la commedia nera I vicini di casa, in cui ritrovava il suo partner preferito, Dan Aykroid.
Quando uscì I vicini di casa, a John restavano tre mesi di vita. Già da prima di varcare i confini del regno dorato di Hollywood, il giovane figlio di immigrati albanesi aveva conosciuto il lato oscuro del mondo dello spettacolo, cadendo vittima dei suoi due flagelli più ricorrenti: la droga e l’alcool. La dipendenza da questi due vizi rese invivibile il suo matrimonio con la moglie Judy e molto faticoso lavorare. Bob Woodward, nella sua biografia dell’attore intitolata Wired – The short life and fast times of John Belushi, racconta efficacemente il suo ultimo anno di vita, il suo carattere rovinato dalla dipendenza da cocaina ed alcoolici, le sue spese folli per procurarseli, i suoi rifiuti ostinati ad affrontare una seria disintossicazione, come gli amici – a cominciare da Dan Aykroid – gli consigliavano continuamente.
La sera del 4 marzo 1982 l’attore andò a una festa presso l’Hotel Chateau Marmont ad Hollywood. Al party, a cui erano presenti tra glia altri anche Robert De Niro e Robin Williams si presentò con una dose di droga. Appartatosi con la sua amica la cantante Cathy Evelyn Smith, notoria spacciatrice e come lui ad un certo punto completamente ubriaca, pare che le chiedesse di preparare una dose. Come affermato dalla stessa Smith, lei tagliò male la droga e con una siringa la iniettò a John, il quale subito dopo si mise a letto. La mattina dopo fu trovato privo di vita. Inutili i tentativi di rianimarlo. La voce della sua morte si sparse subito, e una grande folla si radunò fuori dell’Hotel dove John Adam Belushi si era addormentato per l’ultima volta.
John Belushi riposa oggi all’Abel’s Hill Cemetery a Martha’s Vineyard, Massachussetts. Ai suoi funerali, tenutisi con rito ortodosso, furono presenti il suo grande amico Dan Aykroyd sulla sua moto, seguito dal fratello Jim, dai genitori Adam e Agnes, dai fratelli Billy e Marian e da tutti i suoi amici e conoscenti che avevano lavorato con lui, da Bill Murray a Chevy Chase a tanti altri. Pochi mesi prima di morire, John aveva chiesto a Dan scherzando se al suo funerale gli avrebbe suonato la canzone The 2000 Pound Bee (in italiano: L’ape da una tonnellata) dei The Ventures. L’amico mantenne la promessa.
Si sa che dopo la morte di John, Dan ebbe una crisi depressiva che lo portò a ritardare i suoi impegni cinematografici, ai quali lo stesso Belushi avrebbe dovuto prender parte. A breve avrebbero dovuto cominciare le riprese di un nuovo film, Ghostbusters – Acchiappafantasmi (la prima versione della sceneggiatura, scritta da Dan Aykroyd insieme a Harold Ramis, vedeva infatti come interpreti principali Belushi, Aykroyd e Eddie Murphy, tre membri del cast originale del Saturday Night Live). L’improvvisa morte di Belushi fece ritardare di due anni il progetto, che venne realizzato solo nel 1984. Quello che doveva essere il suo ruolo fu ricoperto poi da Bill Murray. Oltre a Ghostbusters, Belushi avrebbe dovuto riaffiancare il suo amico Dan Aykroyd anche nel film Una poltrona per due nel quale fu sostituito da Eddie Murphy.
E chissà quanti altri capolavori avrebbero potuto essere associati al suo nome, se il genio e la sregolatezza che gli scorrevano nelle vene come un fiume in piena non se lo fossero portato via così presto. Come già successo per James Dean, il mito della giovane star troppo presto andata a divertire quegli dei a cui doveva esser particolarmente grato continua comunque indistruttibile da una generazione all’altra.
Lascia un commento