Dopo una serie di annate anonime, tra la retrocessione in B, la guerra e il dopoguerra, nonostante fior di calciatori italiani e stranieri, per rivedere del magico futebol sudamericano bisognò aspettare l’epoca d’oro di Befani, Bernardini e del primo scudetto. Tra gli stranieri portati in viola d’oltre oceano dal mitico presidente pratese, il primo a far breccia nel cuore dei tifosi fu un carioca, considerato all’epoca la miglior ala destra dopo il grande Garrincha.
Julio Botelho detto Julinho era originario di San Paolo, e paulista fu la sua carriera fino ai mondiali del 1954 in Svizzera, dove questo interno destro dai movimenti compassati e che assomigliava a Clark Gable per i suoi baffetti si mise in mostra in un Brasile che non andò oltre i quarti di finale solo perché incontrò la Grande Ungheria di Puskàs (a cui peraltro le cronache dell’epoca riportano che segnò un gol capolavoro).
La Fiorentina di Befani se lo assicurò per la cifra record, per l’epoca, di 5.500 dollari, e lo mise a disposizione di Bernardini, che lo fece fruttare al meglio vincendo il favoloso scudetto del 1956, arrivando due volte secondo negli anni successivi e disputando una splendida Coppa dei Campioni fino alla sfortunata finale con un Real Madrid pieno di fuoriclasse ma anche di benevolenza arbitrale (dopo la rivolta di Budapest del 1956, accolse i profughi della Grande Ungheria). Bernardini arrivò a dichiarare: «un’ala può arrivare a Julinho, non oltre».
Nonostante un tentativo maldestro e non andato a buon fine di naturalizzarlo, rifiutò sempre di vestire la maglia azzurra, restando legato al suo paese d’origine. Non disputò i mondiali del 1958, i primi vinti dal Brasile in cui fece il suo esordio un ragazzino di nome Pelé, perchè il selezionatore Feola non convocò giocatori che non giocavano in Brasile. Julinho, che comunque finì per tornare in patria dopo i mondiali colpito dalla saudade, nelle sue tre stagioni in viola segnò 23 reti in 98 partite, di cui 7 in Coppa dei Campioni. Tornato in Brasile, al Palmeiras, continuò a giocare e vincere campionati (tre, oltre quello italiano) fino al 1967.
Alla sua morte, nel 2003, per sua espressa volontà, sulla bara era esposto anche il labaro viola. Si apprese anche che aveva fatto dipingere i muri della sua stanza del colore della sua vecchia maglia fiorentina.
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