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Juneteenth

Robert Lee firmò la resa incondizionata della Confederazione davanti al suo avversario nordista, il generale Ulysses Grant, il 9 aprile 1865 ad Appomattox in Virginia, dopo aver perso l’ultima disperata battaglia.

Da quel momento, con la sconfitta definitiva del Sud schiavista, entrava in vigore in tutto il territorio degli Stati d’America l’ordine esecutivo del presidente Lincoln che aveva abolito – in piena guerra civile – dal 1° gennaio 1863 ogni forma di schiavitù sul territorio nordamericano, e che sarebbe diventato nei due anni successivi il XIII° emendamento di quella Costituzione che Thomas Jefferson aveva scritto quasi un secolo prima a Philadelphia, ma che fino a quel momento aveva riguardato nei suoi effetti soltanto gli americani di razza bianca.

Lincoln, com’è noto, non sopravvisse a quella vittoria che rendeva appunto effettiva per tutti la Costituzione americana eliminando – seppure a prezzo di un immane bagno di sangue – la più clamorosa delle sperequazioni a danno di essa e dei suoi cittadini. Ma l’emancipazione degli afroamericani era ormai cosa fatta, almeno sul piano giuridico. Su quello pratico ci sarebbero tuttavia voluti i cento anni successivi, almeno fino alla presidenza Kennedy, perché i diritti degli afroamericani potessero essere reclamati ed esercitati appieno.

Dopo quel nove aprile 1865, uno dopo l’altro gli ex stati confederati che si erano ribellati a Lincoln dovettero togliere dai propri ordinamenti ogni norma di legge che giustificava l’istituto della schiavitù. Ultimo fu il Texas, lo stato della stella solitaria che si era unito all’Unione dopo aver combattuto a sua volta la schiavitù messicana – Ricordatevi di Alamo! – e che tuttavia aveva partecipato alla Guerra Civile a fianco degli stati confinanti schiavisti.

Fu il generale nordista Gordon Granger ad imporre a Galveston ai texani sconfitti l’obbligo di liberare tutti gli afroamericani ancora tenuti in schiavitu, gli ultimi di fatto e di diritto sul suolo nordamericano. Accadde il 19 giugno del 1865, e quella data è rimasta nell’immaginario collettivo degli americani, tanto da essere stata festeggiata fin da subito in buona parte del paese, ed infine scelta dal Presidente Joe Biden come la più adatta a celebrare una ricorrenza che nell’intento dell’amministrazione dovrebbe tra l’altro contribuire a far superare al paese stesso l’ultimo rigurgito di disagio interrazziale e a chiudere la lunga e mai del tutto risolta stagione dei diritti civili negli Stati Uniti d’America.

Da due anni infatti il Juneteenth (neologismo storico giuridico che nasce dalla fusione appunto delle parole June, giugno, e nineteenth, diciannove) è festa federale e viene ufficialmente identificata con il nome di Juneteenth National Independence Day, Giornata Nazionale dell’Indipendenza del Juneteenth, o più brevemente e semplicemente Giornata dell’Emancipazione.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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