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La battaglia di Hitler e quella contro il cervello

Il 18 luglio del 1925 fece la sua prima comparsa nelle librerie tedesche il primo volume di un’opera redatta da Adolf Hitler, allora semisconosciuto leader di uno dei tanti movimenti revanchisti che non accettavano la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale, il Partito Nazionalsocialista Tedesco.

Hitler era assurto ad improvvisa notorietà il 9 novembre dell’anno precedente, allorché si era messo alla testa di un tentativo di insurrezione contro la Repubblica di Weimar che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto radunare in una irresistibile armata tutte le destre tedesche, militariste, antisemite, totalitariste o semplicemente scontente della situazione economica determinata dall’obbligo di pagamento delle riparazioni di guerra posto in capo alla loro patria dal trattato di pace.

Il putsch di Monaco si risolse in una ridicola farsa, Hitler venne arrestato e condannato a circa nove mesi di prigione (la condanna lieve la dice lunga sulla considerazione che l’insurrezione ed i suoi capi riscuotevano da parte delle autorità, colpevolmente con il senno di poi), che scontò nel carcere di Landsberg am Lech. Li mise a frutto dettando la sua weltanschauung, le sue idee politiche, il programma del nuovo partito nazista, in parte al suo compagno di cella Rudolf Hess (destinato a diventare il numero due del Terzo Reich fino alla sua clamorosa fuga in Inghilterra nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale), ed in parte al cappellano del carcere Bernhard Stempfle (destinato a fare una brutta fine nella Notte dei Lunghi Coltelli, qualcuno disse perché conosceva troppi segreti di Hitler, quelli che risultavano appunto dalla prima stesura dell’opera e che a quanto pare avrebbero potuto ridimensionare la figura del futuro Fuhrer).

Hitler completò l’opera al Berghof di Obersaltzberg, sulle alpi salisburghesi dove si recava in vacanza estiva appena possibile (inizialmente in affitto dalla vedova del costruttore, e da 1933 – grazie ai proventi del libro – come proprietario di quello che il mondo avrebbe conosciuto con terrore con il nome di Kehlsteinhaus, Nido dell’Aquila).

Il libro, la cui seconda parte uscì l’11 dicembre 1926, inizialmente aveva un titolo molto didascalico e poco accattivante. Diversamente dal suo mentore riconosciuto Benito Mussolini, Adolf Hitler non nasceva giornalista e non aveva fiuto per i gusti editoriali del pubblico. ‘Quattro anni e mezzo di lotta contro menzogna, stupidità e codardia’ era decisamente un titolo che non invogliava il lettore, neanche il meglio prevenuto nei confronti del nuovo partito nazista e della sua ideologia. Max Amann, direttore della casa editrice Eher Verlag, riuscì a convincere il riottoso e solitamente poco ragionevole Hitler a dare alla sua opera un titolo molto più impattante: Mein Kampf, La mia battaglia.

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La storia è tragicamente nota. Complici anche le vicende di politica interna ed internazionale, il pubblico tedesco si gettò sull’opera con un crescendo di interesse inimmaginabile solo pochi anni prima. Nel 1930 il libro era venduto al prezzo di 12 reichsmark e veniva stampato nel formato 12 × 18,9 centimetri, lo stesso normalmente adoperato per la Bibbia. Tre anni dopo, il Fuhrer del Terzo Reich poteva dirsi un uomo benestante anche soltanto grazie ai proventi del Mein Kampf.

La battaglia di Hitler portò il mondo sull’orlo dell’Armageddon. Nel 1945, superata quella apocalisse a prezzo di una tragedia senza pari nella storia umana, i paesi vincitori prima e la nuova Repubblica Federale Tedesca sorta sulle ceneri del Reich poi decisero di far ereditare allo stato tutti i beni di Hitler e dei nazisti senza eredi diretti, ivi compreso quel libro che aveva affascinato le folle di Weimar e che adesso si cercava in tutti i modi di dimenticare e far dimenticare, assieme a tutto quello che aveva provocato.

I diritti d’autore così stabiliti scaddero infine il 31.12.2015. A quel punto chiunque al mondo era libero di ripubblicare il Mein Kampf di Adolf Hitler senza limiti né vincoli. In tempi divenuti nuovamente difficili, si scatenò un po’ ovunque uno psicodramma che avrebbe avuto del farsesco, se non avesse in sostanza rincarato la dose a proposito di sottintesi tragici e mai peraltro appieno compresi.

In Italia si assunse l’onere di fare storia e giornalismo il Giornale diretto da Alessandro Sallusti. Una parte dell’opinione pubblica, già peraltro orientata nel senso che si può facilmente immaginare, gli si avventò contro. Chi scrive ebbe difficoltà ad acquistare la copia del ‘libro maledetto’ dal giornalaio del suo paese di residenza, in quei minuti trascorsi nell’edicola si respirò un’aria decisamente pesante, il libro fu cercato con grande enfasi e malcelato fastidio in un sottoscaffale ed alla fine sbattuto senza tante cerimonie sul banco dall’edicolante. Sempre a chi scrive, vennero in mente tutte insieme in quella circostanza le contraddizioni accumulate nel tempo dal sistema che era nato a suo tempo per affermare la libertà di pensiero, oltre che dare a tutti indistintamente facoltà di istruirsi a dovere su ciò che era veramente successo pochi anni prima che noi nascessimo.

Pochi minuti trascorsi da un giornalaio di paese valevano dunque un articolo. Questo che segue, dunque, è il resoconto di quei momenti a livello più generale. Crediamo che in un’epoca in cui i diritti individuali e collettivi vengono messi pesantemente in discussione e si cercano nuovamente capri espiatori per vittorie e sconfitte politiche (nonché giustificazioni per campagne sanitarie che di scientifico non hanno nulla ma hanno anch’esse molto di politico, basti pensare che per giustificare una discutibile ed assolutamente dottrinale campagna vaccinale si è andati a rispolverare le 11 tesi di Joseph Goebbels sulla manipolazione del consenso), le parole che seguono possono essere anch’esse, nel loro piccolo, acqua fresca portata al mulino della libertà.

Per coloro i quali alla libertà ancora ci tengono, volentieri ripubblichiamo. Agli altri faranno sicuramente meno male di certi ritrovati farmacologici attualmente in voga.

Alessandro Sallusti, all'epoca direttore del Giornale

Alessandro Sallusti, all’epoca direttore del Giornale

sabato 11 giugno 2016

Esce insieme al Giornale di Alessandro Sallusti il primo volume della Storia del Terzo Reich di William Shirer. Un’opera fondamentale per lo studio del Nazismo. Per chi non lo sapesse, il giornalista americano, corrispondente del Chicago Tribune e del network radiofonico Columbia Broadcasting System (C.B.S.), fu l’ultimo corrispondente occidentale a lasciare Berlino nel 1940 dopo aver raccontato la crisi dell’Europa sotto il tallone di ferro nazista, dall’anschluss austriaco fino alla caduta della Francia, al principio della seconda guerra mondiale. Il suo Diario di Berlino è a tutt’oggi l’opera imprescindibile per lo studio degli anni terribili della svastica sull’Europa.

Fin qui, tutto bene. Ma il genio giornalistico di Alessandro Sallusti, degno erede in questo senso di quell’Indro Montanelli storico fondatore del Giornale che oggi lui dirige, non si ferma qui, ed alla pubblicazione dei diari di Shirer associa un’altra operazione clamorosa, anche se altrettanto imprescindibile per chi si accinge a coltivare studi storici. Con il numero di oggi in edicola c’è nientemeno che Mein Kampf, La mia battaglia, scritto nel 1925 da un ex caporale dell’esercito Austro-Ungarico poi trasferitosi in Germania dopo la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e determinato a fare del nuovo paese adottivo lo strumento della rivincita. Adolf Hitler, fondatore del Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, il Partito Nazista tedesco che otto anni dopo avrebbe conquistato la Germania e due anni dopo ancora sarebbe andato vicino a conquistare il mondo.

Apriti cielo. Ha un bel mettere le mani avanti lo stesso Sallusti: «La sola notizia di questa pubblicazione ha già suscitato polemiche, la maggior parte delle quali legittime e comprensibili, e le preoccupazioni degli amici della comunità ebraica italiana, che ci ha sempre visto e sempre ci vedrà al suo fianco, senza se e senza ma, meritano tutto il nostro rispetto. Escludo però che ad alcuno possa anche solo sfiorare l’idea che si tratti di un’operazione apologetica o anche solo furba. Non si gioca su una simile tragedia. Semmai il contrario. Perché, con certi venticelli che soffiano qua e là per l’Europa e in Medioriente, serve capire dove si può annidare il male e non ripetere un errore fatale».

L’ambasciata di Israele a Roma si era già fatta sentire, e non le aveva mandate a dire, definendo l’operazione del Giornale «un fatto squallido, lontano anni luce da qualsiasi logica di studio e approfondimento della Shoah (…) è indecente, e bisogna soprattutto che a dirlo sia chi è chiamato a vigilare e a intervenire sul comportamento deontologico dei giornalisti». Dopo l’invocazione neanche tanto velata all’intervento di una censura che cozza evidentemente con l’intento antinazista dichiarato della nota dell’ambasciata, arriva il Centro Wiesenthal di Gerusalemme a rincarare la dose: «L’operazione di smerciare in edicola e di disseminare nelle case di milioni di italiani disinformati, impreparati e inconsapevoli migliaia di copie del Mein Kampf non è solo una azione becera e volgare. Rappresenta anche un gesto cinico e irresponsabile».

Siccome viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti e di manifestazioni di fenomeni prodigiosi (in altre epoche nemmeno concepibili), le autorità israeliane si ritrovano come improbabile ma convinta alleata quella sinistra ufficiale italiana da cui sono sempre state viste come il fumo negli occhi. Da Erri De Luca, «atti osceni in luogo pubblico», a Stefano Fassina, «promuovere la lettura del Mein Kampf è grave», a Paolo Ferrero (PRC), «scelta vergognosa perché rappresenta il negazionismo di chi nega appunto l’unicità del male assoluto del nazismo e dell’Olocausto, le parole del direttore Sallusti, che dice che pubblicherebbe anche il Libretto rosso di Mao, non fanno che dimostrare ed aggravare questa tesi», agli immancabili partigiani dell’Anpi, «sbigottiti ed indignati».

paperino in un celebre cartone animato del tempo di guerra

Paperino in un celebre cartone animato del tempo di guerra

Il campionario delle critiche, o per meglio dire delle contumelie, o come verrebbe voglia di definirle semplicemente: delle sciocchezze è – come si vede – variegato e variopinto. Con il dovuto rispetto per i veri partigiani superstiti dell’Anpi, gli unici forse a cui il coraggio dimostrato a suo tempo consente adesso di parlare con qualche cognizione di causa (malgrado il vizio inquinante dell’egemonia culturale e politica che tra di essi ha sempre avuto l’ideologia comunista e post-comunista) forse converrebbe stendere un velo pietoso sulle argomentazioni di questo fronte popolare di ultima generazione che va dai seguaci ortodossi della Torah (che si sentono tra l’altro culturalmente superiori ai nostri connazionali disinformati, impreparati e inconsapevoli, e non ne fanno mistero) ai post comunisti. E su tutto lo sciocchezzario che stamani affolla i social network ad opera di bloggers nel frattempo assurti ad opinion leaders di un cyberpopolo che si sente depositario di verità a maneggiare le quali nessuno l’ha – in questo caso veramente – preparato, fin dai tempi della scuola elementare.

Ci limitiamo a ricordare che chi ha preteso nella storia di orientare le coscienze verso gli opportuni strumenti di studio e le opportune sedi, ha sempre fatto dei gran disastri. Proprio come l’autore del libro che stamattina il Giornale ha reso disponibile. Dopo settant’anni di cancellazione, ufficialmente dovuti ai diritti d’autore che il Land bavarese avrebbe ereditato per legge dallo scomparso Adolf Hitler, e che sono appunto scaduti il 31.12.2015. Più facilmente dovuti all’atteggiamento di ipocrita rimozione che non solo in Germania le intellighenzie dominanti hanno sempre avuto nel dopoguerra.

Alla Comunità Ebraica italiana e mondiale bisognerebbe che qualcuno ricordasse che gli italiani degli anni 40 del secolo scorso, forse allora realmente e per forza di cose più disinformati, impreparati e inconsapevoli di quegli attuali, avevano istintivamente scelto da che parte stare mettendo in salvo un numero incalcolabile di membri del popolo ebraico perseguitato ferocemente dai Nazisti. Che si fidassero quindi un po’ di più di cosa circola, di solito, nelle case degli italiani.

Bisognerebbe inoltre che qualcuno spiegasse sempre alla stessa Comunità che se passa la logica delle opportune sedi, c’è il rischio che qualcuno – di loro, in primis – prima o dopo torni a farsi male. Se avesse vinto l’autore del Mein Kampf, in questi ultimi decenni le opportune sedi sarebbero state posti tipo Wansee, dove il mondo si stava organizzando per far sparire completamente qualsiasi traccia di ebraismo. Quanto agli opportuni strumenti, sono ancora ben visibili in località tipo Auschwitz –Birkenau.

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Non è passato molto tempo da quando qui in Italia la Chiesa Cattolica teneva un Indice dei libri (e delle opere d’arte in generale, film compresi) che secondo la dottrina ortodossa non era permesso leggere. E siccome all’epoca lo Stato italiano era poco più del braccio secolare di quella Chiesa, quei libri erano di fatto introvabili, o non leggibili in pubblico. A quei tempi, perfino un libro come Il Conte di Montecristo era bandito, in quanto apologetico del sentimento di vendetta (!).

Le Chiese e le religioni organizzate, così come certi grandi movimenti politici finiscono sempre per trovare il loro limite, se non il lago putrido in cui annegare, nel ridicolo di cui sono intrise molte delle loro proposizioni dogmatiche. Ma per arrivare a quel mondo di cui cantava John Lennon servono tempi lunghi, e nel frattempo chissà quante altre vittime dell’ortodossia. Nel frattempo, non c’è modo migliore per spingere un giovane che si affaccia adesso al mondo degli adulti consapevoli, informati e preparati, a leggere avidamente un testo abominevole come il Mein Kampf che proibirglielo. Il modo migliore perché arrivi addirittura a piacergli, e a desiderare di aggiungervi nuovi, efferati, capitoli.

Dio ci conservi in salute Alessandro Sallusti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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