Cultura e Arte

La Befana

Ecco che arriva l’Epifania, che tutte le feste porta via. Di tutte le figure simboliche che popolano il nostro immaginario nel periodo di feste più lungo e significativo dell’anno, la Befana è l’ultima ed è anche quella più singolare. Pare che fosse lo scrittore Agnolo da Firenzuola nel 1541 a dare per primo rilievo letterario in lingua italiana alla Befana. Completando anche nel suo caso un percorso culturale le cui origini risalgono alla notte dei tempi.

E’ accertato che la parola Befana deriva dalla corruzione del greco Epifanìa, cioé l’apparizione, la manifestazione della Divinità ai Re Magi. Nella tradizione cristiana dunque non c’era nulla in origine che potesse dar luogo al culto di una vecchina che, volando a dorso di scopa, passava di casa in casa a lasciare doni ai bambini che erano stati buoni e carbone a quelli cattivi.

Ma la Chiesa Cattolica, per motivi di marketing, ha spesso e volentieri innestato la propria dottrina sui miti pagani preesistenti. I Celti prima ed i Romani poi avevano creduto che in coincidenza con il Solstizio d’Inverno, nel momento in cui l’anno ricominciava e la vita si rinnovava, di notte una figura femminile volasse sui campi coltivati per renderli fertili.

Nel mondo pagano, il femminino – soprattutto per il suo legame con la possibilità di generare nuova vita –prevaleva spesso sul principio maschile nel far immaginare all’uomo le divinità a cui doveva la sua esistenza e tributava il suo omaggio. E così, si trattasse di Diana la dea della caccia e dell’agricoltura o di altre ninfe celtiche, era credenza comune che qualcuno, un qualcuno di sesso certamente femminile, la notte del dodicesimo giorno dal solstizio volasse sui campi benedicendoli e permettendo alla razza umana un altro anno di sopravvivenza.

La Chiesa, oltre a proibire déi e riti pagani, pensò bene comunque di inglobarne la sostanza nella propria dottrina. L’Epifania, l’arrivo dei doni, era calcolata per il dodicesimo giorno dal Natale. Nelle campagne, il mito della signora volante sopravvisse a qualunque proibizione. La vicinanza con Halloween, All Hallows Eve, e la sua identificazione a torto o a ragione con la notte delle streghe, fece peraltro della Befana una vecchina dall’aspetto appunto di strega, per quanto benevola e portatrice di doni. E le streghe, si sa da tempo immemorabile, svolazzano di notte a cavallo delle loro scope magiche.

Certi miti sono duri a morire, e alla fine sopravvivono talmente bene da avere la meglio su tutti gli altri. Fino all’immediato dopoguerra ed al boom economico, in Italia i piccoli aspettavano i doni non da Babbo Natale né da Gesù Bambino, ma dalla Befana. Che li lasciava giù per il camino, mostrando la strada al Babbo Natale che l’avrebbe presto soppiantata, e che ripartiva nella notte portandosi via le feste. Il sette si tornava a scuola, e per godersi i doni ricevuti c’era poco tempo.

Fino alla guerra, il regime fascista che non aveva del tutto dimenticato le sue istanze di giustizia sociale delle origini, aveva istituito e celebrava la Befana Fascista, occasione pubblica in cui lo Stato si sostituiva ad un destino che non era stato equo né benevolo provvedendo a elargire doni ai bambini delle famiglie meno abbienti. L’usanza non sopravvisse al regime né all’avvento di una repubblica che pretendeva di essere più giusta di esso. Tuttavia in molte aziende e uffici sopravvisse almeno fino ai primi anni settanta l’usanza dei doni ai figli dei dipendenti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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