Feuilleton. Dal francese feuillet, foglio (di giornale), era il diminutivo che ne indicava la parte bassa, il pié di pagina. Fu in esso che nei primi decenni dell’Ottocento andò affermandosi l’usanza di ospitare articoli di critica letteraria, e poi veri e propri brani di letteratura. L’idea la ebbe Louis-François Bertin, direttore del parigino Journal des Débats, che nel 1831 invitò Honoré de Balzac a pubblicare in anteprima, a puntate, i capitoli dei suoi nuovi romanzi.
Era nato il romanzo d’appendice, che avrebbe dovuto tuttavia attendere il 28 agosto del 1844 affinché il padre di tutti i romanzieri desse alle rotative il suo capolavoro, destinato a diventare il successo editoriale più clamoroso non solo nel suo paese e nel suo secolo. Quel giorno, il Journal des Dèbats pubblicò la prima puntata de Il Conte di Montecristo, frutto della fantasia e del talento letterario di un giovane scrittore che si era fino ad allora guadagnato da vivere come segretario del Duca Luigi Filippo d’Orleans – destinato a passare alla storia come il Re borghese dopo la rivoluzione liberale del 1830 che rovesciò definitivamente i Borbone detronizzando il loro ultimo discendente Carlo X – e come scrittore di pièces teatrali di un certo successo.
Alexandre Dumas era nipote di un nobile e figlio di un militare che si era guadagnato i gradi di generale in un’altra rivoluzione, quella che nel 1789 aveva cambiato il mondo per sempre. Il marchese de la Pailleterie si era congiunto carnalmente con una schiava creola della colonia di Haiti, come usava allora, ma aveva poi riconosciuto il figlio Thomas, il futuro generale appunto, che tuttavia non gli avrebbe portato gratitudine.
La Grande Rivoluzione incombeva, e un titolo nobiliare era diventato improvvisamente ingombrante. Thomas de la Pailleterie aveva ripudiato il suo lignaggio assumendo un cognome che richiamava l’epiteto con cui era stata apostrofata la madre, la schiava haitiana soprannominata la femme du mas, la donna della masseria. Il figlio si cambiò il cognome in Dumas, e con esso si gettò a capofitto nella Rivoluzione Francese nella quale si sarebbe guadagnato un altro soprannome, in parte allusivo della sua condizione di mezzosangue ed in parte del suo coraggio in battaglia: il diavolo nero.
Il primo dei Dumas di coraggio ne aveva certamente da vendere, se è vero che si ribellò addirittura a Napoleone, nel frattempo diventato imperatore a scapito delle liberté, egalité e fraternité rivoluzionarie. Ciò gli costò un periodo di detenzione in carcere e probabilmente la malattia che lo condusse alla tomba nel 1805, lasciando il piccolo Alexandre orfano all’età di appena tre anni. Costui fu allevato dunque dalla madre, Marie-Louise Elisabeth Labouret, che gestiva una rivendita di tabacchi. Con pochi soldi per campare e un quarto di discendenza africana, Alexandre Dumas non ebbe un’esordio facile in questo mondo e soprattutto nella società francese della Restaurazione. Ma era assai dotato nel maneggiare la penna. Ciò gli valse l’impiego presso Luigi Filippo d’Orleans e nello stesso tempo il successo nella scrittura di drammi teatrali di impronta romantica, che ebbero da subito un grande successo.
Nel 1824 dalla sua relazione con la sarta Catherine Labay gli era nato un bambino, destinato un giorno ad una sua gloria personale e ad essere conosciuto come Alexandre Dumas figlio. Il padre in compenso sarebbe passato alla storia come il creatore del romanzo storico.
Dumas padre aveva a tal punto l’avventura nel sangue da viverla non solo sulle pagine che vergava con la sua bella calligrafia, ma nella vita reale. Nel 1844 Il Conte di Montecristo aveva conquistato il pubblico dei lettori francesi. Nel 1850 il suo autore aveva già dissipato i suoi proventi ricoprendosi di debiti. La sua pretesa di ricreare a Marly-le-roi il favoloso castello del protagonista del suo primo romanzo gli costò tutta la sua fortuna, ed anche quella accumulata con gli altri romanzi, soprattutto quelli del ciclo dei Tre Moschettieri. Nei due decenni successivi all’esordio sul Journal des Dèbats con la storia della avvincente vendetta di Edmond Dantes si calcola che abbia scritto ben 257 romanzi d’avventura.
Costretto a viaggiare molto, perlopiù per sfuggire ai creditori, accanto alla passione per il romanzo storico Dumas coltivò quella del racconto di viaggio. Nel 1860 si accingeva a ripetere e a narrare il viaggio di Ulisse nel Mediterraneo, quando gli giunse la notizia dell’avventura più romantica del suo tempo: la spedizione dei Mille che stava salpando da Quarto per andare a conquistare al nascente Regno d’Italia quello delle Due Sicilie. Alexandre Dumas si gettò a capofitto nell’avventura di Garibaldi, finanziandolo e seguendolo in tutta la sua epopea da Marsala fino a Napoli. A Calatafimi le Camicie Rosse ebbero dunque un testimone d’eccezione, che dalla più celebre delle battaglie garibaldine tirò fuori un romanzo nello stile di cappa e spada che gli era proprio.
Conclusasi l’impresa, Garibaldi in persona lo volle come direttore dei Musei e degli Scavi napoletani, carica che durò poco per i malumori della popolazione locale che non digeriva un funzionario francese che non fosse armato come lo era stato per esempio Gioacchino Murat. Ancora il Generale lo volle alla direzione dell’Indipendente, quotidiano di ispirazione garibaldina, presso cui fu affiancato da Eugenio Torelli Viollier, futuro fondatore del Corriere della Sera. Quest’ultimo incarico era destinato ad interrompersi nel 1870, allorché un colpo apoplettico lo lasciò semiparalizzato costringendolo a ritirarsi a vivere presso il figlio, che nel frattempo aveva acquisito la sua personale notorietà dando alle stampe La signora delle Camelie.
Alexandre Dumas padre morì il 5 dicembre 1870. Le sue ultime volontà erano state quelle di «rientrare nella notte dell’avvenire nello stesso luogo dal quale sono uscito dalla vita del passato, in quell’affascinante cimitero (di Villers-Cotterêts, citato nel Conte di Montecristo, ndr.) che ha più l’aria di un’aiuola fiorita dove fare giocare i bambini che di un posto per far dormire i cadaveri». La famiglia lo accontentò, finché la Francia, grata al suo letterato più famoso insieme a Victor Hugo, nel 2002 decise di traslare le sue spoglie mortali nel Pantheon a Parigi.
Degli oltre 250 romanzi lasciati da Dumas padre alla posterità se ne ricordano diversi, tra cui la Regina Margot, Les Compagnons de Jehu (conosciuto in Italia attraverso la riduzione televisiva intitolata I banditi del Re), la versione francese di Robin Hood (Il Principe dei Ladri), ed il romanzo storico che racconta del primo caso di spionaggio industriale, Il Tulipano Nero. Ma soprattutto, non esiste bambino o ragazzo degli anni sessanta che non abbia letto e non ricordi il ciclo dei Tre Moschettieri, Vent’anni dopo, Il Visconte di Bragelonne (altrimenti conosciuto come la Maschera di ferro). Di esso esistono periodiche trasposizioni cinematografiche tutte più o meno riuscite, ed una riduzione televisiva del 1969, una coproduzione italo-franco-tedesca di cui vi offriamo la colonna sonora.
E poi c’è il Conte. L’ex marinaio Edmond Dantes condannato a morire rinchiuso nel Castello d’If a Marsiglia, che riesce a scappare e torna a vendicarsi in maniera raffinata e diabolica di coloro che l’hanno rovinato. Un libro che a lungo la Chiesa Cattolica ha proibito di leggere ai suoi fedeli, in quanto a suo dire conteneva una inaccettabile apologia del sentimento di vendetta proibito dal Vangelo.
Una storia che tuttavia non cessa di affascinare. Soprattutto se nei panni del Conte troviamo sul grande schermo un mostro sacro come Gerard Depardieu, o sul piccolo schermo di quei nostri favolosi anni sessanta un mostro altrettanto sacro come l’indimenticabile Andrea Giordana.
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