Harry Truman annuncia alla nazione il nuovo corso di politica estera il 12 marzo 1947
Fino a quel momento, gli Stati Uniti d’America avevano orientato la loro azione politica internazionale sulla base di una bussola regolata rigidamente su di un solo principio. Talmente immodificabile da essere definito non a caso dottrina.
La dottrina era quella resa pubblica nel 1823 da James Monroe, quinto presidente degli U.S.A. e sarebbe stata consegnata alla storia ed alla cronaca politica chiara e semplice come il suo sintetico enunciato: l’America agli Americani.
Nel momento in cui le ex colonie spagnole del Centro e Sud America si rivoltavano più o meno tutte contro la Madrepatria, seguendo a distanza di tempo l’esempio degli stessi U.S.A. che erano nati da una analoga ribellione contro l’Inghilterra, il presidente Monroe colse l’occasione per stabilire che la giovane nazione nordamericana non avrebbe tollerato ingerenze europee nel territorio del continente complessivamente definito come Nuovo Mondo da parte di alcuna potenza del Vecchio. L’Europa che veniva scacciata dalle terre scoperte da Colombo e dai Conquistadores ne sarebbe rimasta da quel momento al di fuori. Unica eccezione, giustificata dalla realpolitik, il Canada controllato dalle Giubbe Rosse di Sua Maestà britannica, all’epoca ancora un avversario formidabile a dispetto di qualsiasi dottrina.
Per tutti gli altri, valse da allora il principio che in America si entrava solo, a qualunque titolo, con il permesso degli U.S.A. Il corollario di questa dottrina sostenuta dalle armi dei Marines e dalla U.S. Navy era – e sarebbe rimasta sostanzialmente immutata per quasi un secolo – che gli U.S.A. avrebbero ricambiato la cortesia evitando di impelagarsi in qualsiasi contesa politica al di fuori del loro territorio di competenza. Il continente americano, appunto, da Anchorage alla Terra del Fuoco.
Pur con eccezioni che avrebbero reso la dottrina più facile ad enunciarsi che ad osservarsi rigidamente (il caso delle Filippine fu emblematico, alla fine dell’Ottocento), gli Stati Uniti d’America si sarebbero concentrati su se stessi e sullo sviluppo impetuoso della propria economia e della propria potenza almeno fino alla Prima Guerra Mondiale. Il coinvolgimento accettato dal presidente Woodrow Wilson nelle beghe europee scatenate dal Kaiser e che rischiavano di mandare in malora un Occidente e una Gran Bretagna a cui gli ex sudditi erano rimasti per più di un aspetto più legati di quanto piacesse loro ammettere, fu quasi una sospensione della dottrina Monroe per cause di forza maggiore. Il corso normale della politica americana, dopo il trattato di Versailles e la fine della presidenza idealista di Wilson, riprese negli anni venti con la stessa facilità con cui era stato interrotto nel 1917, dopo l’affondamento del Lusitania da parte dei tedeschi.
L’isolazionismo sembrava ormai un atteggiamento troppo connaturato ai governi ed al popolo americano perché potesse mai essere accantonato in favore di una politica estera più interventista. Negli anni trenta, mentre l’Europa ed il Giappone preparavano il mondo a nuove catastrofi, gli U.S.A. erano troppo presi dalla Grande Depressione e dal New Deal messo a punto per limitarne gli effetti per potersi anche solo preoccupare di ciò che succedeva di là dagli Oceani che la circondavano.
Tuto questo cambiò per sempre con la Seconda Guerra Mondiale. Ancora nel 1941, c’é da chiedersi se in mancanza dell’attacco nipponico a tradimento a Pearl Harbor l’amministrazione Roosevelt sarebbe riuscita a far schierare la potenza americana contro l’Asse, malgrado la simpatia che la causa anglofrancese suscitava nel popolo americano. Sei anni dopo, due anni dopo la fine della guerra combattuta al fianco anche dell’Unione Sovietica, non c’era americano che non vedesse l’ex alleato come un nuovo ancor più temibile nemico e non avesse ben chiaro che se voleva avere la meglio su di esso, stavolta non avrebbe potuto tenersi in disparte.
Un anno dopo il celebre discorso di Winston Churchill che a Fulton in Missouri aveva battezzato l’inizio della Guerra Fredda tra le superpotenze U.S.A. e U.R.S.S., toccò al presidente Harry Truman, succeduto a un Roosevelt a cui il destino aveva impedito di vedere la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio virtuale della terza, tenere il proprio che sarebbe passato alla storia perché sanciva una svolta epocale per il suo paese, la ridefinizione del destino americano, della sua vocazione, della percezione del suo posto nel mondo.
Il 12 marzo 1947 la dottrina Truman mandò definitivamente in archivio quella di Monroe. Il 33° presidente USA enunciò un principio nuovo, che valeva per quel momento presente e per il futuro. Permetteva al suo paese di combattere sia la Guerra Fredda con l’U.R.S.S. (che nel suo discorso non veniva mai nominata, anche se i riferimenti erano chiari) che tutte quelle a venire in qualunque parte del mondo un interesse americano o di paesi alleati agli americani fosse percepito come in pericolo.
Il presidente Truman sostenne che per la sicurezza interna gli Stati Uniti non potevano rimanere insensibili e indifferenti di fronte a casi in cui l’indipendenza e la sovranità di popoli liberi venisse messa in pericolo da tentativi di sovversione interna o da pressioni esterne. In tal caso gli Stati Uniti avrebbero supportato direttamente i popoli liberi a resistere ai tentativi di assoggettamento da parte di minoranze armate o da pressioni esterne.
Il principio sulla base del quale gli U.S.A. misero in moto nel 1947 il meccanismo che avrebbe portato alla costituzione della N.A.T.O. e dello schieramento secondo la logica del blocco contro blocco in Germania, Corea e Sud Est Asiatico è lo stesso con cui a tutt’oggi mantengono truppe in zone calde del mondo quali l’Afghanistan e l’Iraq.
Il confine rigidamente fissato da Monroe sulle spiagge dove il continente americano incontrava gli Oceani Pacifico ed Atlantico fu esteso il 12 marzo 1947 a tutto il mondo. Un giorno fu chiesto ad un uomo politico inglese del Settecento quale fosse la politica del suo paese. Costui rispose imperturbabile: fare di tutto il mondo l’Inghilterra. Alla fine, la ex colonia che all’Inghilterra si era rivoltata come un figlio ribelle, indisciplinato, aveva dovuto adattarsi a seguire il suggerimento materno. E a quel punto il ventesimo secolo era diventato davvero il secolo americano.
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