La sensazione che lascia la vicenda Antognoni è che i protagonisti di questo match alla fine se lo siano giocato male entrambi. Sia Giancarlo, che avrebbe potuto gestire la vicenda a testa alta, come faceva quando da giocatore gestiva il pallone in campo, sia la Fiorentina, che non ha ancora imparato a gestire i propri legittimi interessi con un po’ di garbo.
Senza entrare nel merito di quei legittimi rispettivi interessi, ci limitiamo a constatare ciò che era ovvio fin dall’inizio, e che alla fine purtroppo è diventato lampante. Giancarlo Antognoni è una cosa troppo grossa per questa Fiorentina. La Fiorentina è una cosa troppo grossa per l’Antognoni dirigente attuale. Erano due strade destinate forse a correre bene in parallelo, ma che incontrandosi difficilmente avrebbero condotto da qualche parte.
Abbiamo un’età sufficiente per ricordarci di una Fiorentina pre-Antognoni. Una Fiorentina niente male, tra l’altro, perché fu quella che vinse il secondo scudetto. A quella società ed a quella squadra, Antognoni dette pochi anni dopo un valore aggiunto che avrebbe potuto essere incommensurabile, se solo la fortuna avesse aiutato un po’ più gli audaci. Quei dirigenti di allora, cioé, che scommisero non solo su di lui, ma anche su altri ragazzi assai promettenti che purtroppo, ad uno ad uno, videro il proprio destino calcistico compromettersi in vari modi.
Antognoni fu per diversi anni l’unica luce in uno stadio su cui erano scese le tenebre. Una grande storia di calcio giocato, che rimane nella grande storia di Firenze. Una giocata del numero 10 vale, l’abbiamo scrito più volte senza tema di smentita, una pennellata di Leonardo da Vinci, un colpo di scalpello di Michelangelo Buonarroti, un tratto di penna del Brunelleschi sulla pergamena che conteneva il progetto della cupola di Santa Maria del Fiore.
Roba troppo grossa perché possa essere gestita da chicchessia. Compresi lo stesso Giancarlo e la stessa Fiorentina degli anni successivi a quelli in cui lui giocava. L’Antognoni dirigente aveva funzionato negli anni di Vittorio Cecchi Gori, perché nell’ultima società che aveva fatto mecenatismo secondo uno stile che ancora poteva definirsi mediceo Antognoni team manager aveva la libertà e le risorse per far valere le sue migliori capacità: scoprire talenti e segnalarli a chi poi doveva andare a ingaggiarli. Esattamente ciò che era stato fatto con lui vent’anni prima.
Un miracolo di squadra e societario che poteva portare anche in questo caso chissà dove, se non avesse dovuto far fronte ad avversari extracalcistici troppo forti. Finì come tutti sanno. La società che rilevò la Fiorentina di Cecchi Gori, di Antognoni nell’organico non aveva mai voluto saperne, e adesso si capisce perché.
L’ha indovinata, magari per caso, la Roma americana che neanche per un minuto si è sognata di ingaggiare Francesco Totti come dirigente, dopo che l’Unico 10 romano ha appeso le scarpe al chiodo. I romani romanisti hanno percepito subto che la Roma e Totti sono due cose troppo grosse per metterle insieme nello stesso cocktail, e sperare che abbia successo.
A Firenze continuiamo ad incaponirci reclamando Antognoni in Fiorentina, e Antonio stesso cade periodicamente nel tranello, senza rendersi conto che i suoi predecessori, Michelangelo, Leonardo e tanti altri, alla fine per essere se stessi dovettero abbandonare la città che aveva dato loro i natali (anagraficamente o professionalmente) e la fama e cercarsi la propria dimensione altrove.
Antognoni non sarà mai uno dello staff. Una bandiera come quella non può essere una delle tante, pavesate sui bastioni dello stadio quando gioca la squadra o quando la società promuove qualche evento. E d’altra parte una società efficiente deve poter contare su certe dinamiche e certi automatismi. O si decide che il gruppo Commisso non fa per Firenze, così come alla fine fu deciso a proposito di quel gruppo Della Valle che tuttavia di economia aziendale pura sembrava padroneggiarne un po’ di più, oppure lo si lascia libero di darsi l’assetto che ritiene più funzionale (a condizione che poi porti risultati).
Antognoni non potrà mai essere un Joe Barone. Joe barone non può rispondere ad Antognoni così come farebbe – e fa – con un qualsiasi personaggio del mondo del calcio o delle istituzioni cittadine. Ci doveva essere comunque un garbo reciproco, perché in questa vicenda è coinvolto un terzo soggetto, che fino a prova contraria dovrebbe stare a tutti ancora più a cuore: la città di Firenze.
Sbertucciarsi a distanza a mezzo stampa è un qualcosa che non ci aspettavamo né da parte di chi in campo toccava il pallone con un’eleganza che perfino Maradona e Platini si sognavano, né da chi è venuto qui per diventare parte della storia di questa città, non per svillaneggiarla ad ogni sua pubblica uscita.
Sapevamo in cuor nostro che Antognoni e la moderna Fiorentina non sarebbero stati compatibili. Vorremmo augurare ad entrambi, nel momento in cui si separano forse definitivamente, il bene che loro sentono di essersi meritati, e che noi attribuiamo loro a prescindere. Ripensando a quella bandierina che appendemmo tutti, chi c’era, alle finestre nel maggio del 1969, e che pochi anni dopo sperammo e sognammo che avesse trovato un nuovo alfiere nel ragazzo venuto giù dalle stelle a giocare sul prato del nostro stadio.
Quella bandierina era – ed è – viola con un giglio rosso nel mezzo in campo bianco. L’unica bandiera che conta.
Lascia un commento