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La Grande Elisabetta

«Elisabetta era nel suo salotto con Cecil, Tom Parry e Nell Baynsford. Quando Ned entrò, indossando ancora il pesante mantello per cavalcare, lo fissarono tutti in un silenzio teso.

Lui si avvicinò ad Elisabetta. Cercò di conservare un’aria solenne, ma non riuscì a trattenersi dal sorridere. Lei decifrò la sua espressione, e Ned vide le sue labbra incresparsi leggermente in un sorriso di risposta.

“Siete la regina d’Inghilterra”, le disse.

Si tolse il cappello, piegò un ginocchio e fece un profondo inchino.

“Vostra Maestà”, aggiunse.»

(Ken Follett, La colonna di fuoco)

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Quando è uscito al cinema Maria Regina di Scozia, ha allungato la lista delle attrici che si sono cimentate con il non facile compito di rendere sullo schermo la Grande Elisabetta, colei che trasformò per prima l’Inghilterra da nazione ai confini del mondo a nazione guida del mondo. Dopo la monumentale britannica Glenda Jackson, che prestò volto e recitazione all’iconica regina nello sceneggiato della BBC degli anni 70, dopo l’altrettanto monumentale australiana Cate Blanchett che la impersonò nei due film del 1998 e del 2007, è toccato ad un’altra aussie, Margot Robbie, cimentarsi con l’interpretazione della figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, nonché con il precedente delle grandissime colleghe e con la condivisione della scena con l’americana Saoirse Ronan che interpreta al suo fianco l’ingombrante e tragica cugina-regina Mary Stuart.

Glenda Jackson

Glenda Jackson

Sono state all’altezza? Senz’altro sì, anche se i personaggi di questa storia drammatica che si rinnova sul grande schermo sono talmente importanti, significativi e carichi di pathos, che ogni interpretazione, per quanto splendidamente effettuata, lascia sempre spazio a remake successivi.

E del resto in quella di Elizabeth Tudor e Mary Stuart è ricompresa l’essenza della storia dei loro paesi (Inghilterra e Scozia, che ancora non erano unite a formare una Gran Bretagna), e del mondo stesso che hanno finito per influenzare e per lungo tempo addirittura dominare.

Il 15 gennaio 1559 la figlia avuta da re Enrico VIII e dalla sua seconda moglie Anne Boleyn – colei per sposare la quale il secondo re inglese della dinastia Tudor aveva scatenato nientemeno che la versione isolana della Riforma Protestante, e che poi si era stancato di lei, aveva creduto (per comodita?) alle accuse di tradimento rivoltele e l’aveva condannata ad una fine tragica e prematura facendola decapitare nella Torre di Londra – fu incoronata a Westminster. Non si trattò di un evento qualsiasi, e nemmeno di un esito scontato.

Dopo la morte di Enrico VIII nel 1547, la corona era toccata all’unico erede maschio, Edoardo VI figlio della terza moglie del re, Jane Seymour, succeduta alla sfortunata Boleyn e di cui evitò probabilmente la stessa sorte grazie al fatto di non essere sopravvissuta al parto. Ma Edoardo, che aveva dieci anni, era cagionevole di salute e non arrivò al sedicesimo compleanno.

Cate Blanchett

Cate Blanchett

Dopodiché, la corona passò sulla testa di Maria, la figlia di primo letto del re che divorziando da sua madre Caterina d’Aragona si era fatto – e aveva fatto l’Inghilterra – protestante. La donna che sarebbe passata alla storia per avere lo stesso nomignolo che un giorno sarebbe stato dato ad un famoso cocktail, Bloody Mary, si guadagnò l’epiteto di sanguinaria per la feroce persecuzione di quei suoi sudditi che a quel punto si erano mantenuti nella fede protestante non più per ossequio alla volontà di un sovrano ma per convinzione. Sposata al cattolicissimo e fanaticissimo re di Spagna Filippo II, il figlio di Carlo V che tentava di mantenere la luce del sole intramontabile sull’impero del padre, Maria Tudor si rese odiosa ai propri sudditi perché a sua volta fanatica cattolica e perché di fatto asservita ad una grande potenza straniera.

Margot Robbie e Saoirse Ronan

Margot Robbie e Saoirse Ronan

Quegli stessi sudditi si affezionarono sempre di più alla di lei sorellastra, la giovane Elizabeth figlia della Bolena, che si dichiarava protestante e soprattutto tollerante (in un’epoca in cui la tolleranza non era prevista né dalla religione né dal diritto). Protestantesimo anglicano in quel momento significava indipendenza nazionale, orgoglio di un popolo che dopo la conquista normanna non era più stato sottomesso da nessun altro, bramosia di partecipazione alla lotta per la conquista dei Nuovi Mondi la strada verso i quali era stata aperta da Colombo da parte di una nazione che commerciava e predava con la consapevolezza di crearsi così un futuro di benessere e grandezza.

La regina Maria era consapevole di questo, e fece rinchiudere Elisabetta nella stessa Torre dove il padre aveva fatto rinchiudere la madre di costei. Elisabetta dovette vedere da molto vicino il ceppo su cui sua madre Anne aveva lasciato la sua testa, e dove probabilmente anche lei era destinata a lasciare la propria se la Divina Provvidenza non avesse deciso altrimenti, chiamando a sé Maria la Sanguinaria per il tramite di un tumore ovarico fulminante.

Anne Boleyn

Prima di morire, Maria aveva perso Calais, l’ultimo pied-à-terre inglese sul suolo francese, l’ultima vestigia della gloria passata sopravvissuta alla Guerra dei Cent’Anni e del dominio su quella Francia che per ultima l’aveva a sua volta invasa, all’epoca di Hastings. Alla sorella che tutti gli inglesi degni di quel nome speravano che le succedesse sul trono, sarebbe toccato l’onere di restaurare oltre alla libertà anche il prestigio nazionale nel mondo allora conosciuto.

La legge inglese, la common law, prevedeva da tempo immemorabile la successione femminile alla corona. Figure femminili carismatiche risalivano all’alba della storia nazionale. La regina dei Celti Boadicea aveva condotto la loro sfortunata resistenza alle legioni di Giulio Cesare. Celti e Sassoni erano abituati ad essere comandati in pace ed in guerra da donne, e perfino i Vichinghi venuti dalla Scandinavia attraverso le nebbie del Mare del Nord non disdegnavano di andare a compiere le loro razzie e le loro conquiste agli ordini di capi guerrieri di sesso femminile.

Una soluzione che aveva motivazioni ancestrali nel sedicesimo secolo si giustificava di significati vitali. Elisabetta era l’unica discendente del vecchio re Enrico che garantiva inoltre il mantenimento dell’indipendenza della nazione inglese, oltre a promettere maggiore tolleranza, sopravvivenza e prosperità rispetto a chiunque l’avesse preceduta sul trono di Whitehall nei decenni precedenti. Un Consiglio di Pari del regno esaminò la questione, finché un messo fu spedito a raggiungerla a Woodstock Castle (la futura Blenheim House di proprietà della famiglia Churchill) dove la giovane principessa attendeva il responso: il Parlamento aveva stabilito che Elisabetta Tudor potesse essere a buon diritto regina d’Inghilterra.

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Francis Drake

La storia della regina Elisabetta, la prima del suo nome, è arcinota a tutti. Prese un paese dilaniato dalle lotte religiose e isolato a livello internazionale, e fidandosi (mai completamente) di un pugno di uomini di stato per tutte le stagioni come Francis Walsingham e di avventurieri come Francis Drake (un pirata che un giorno lei stessa avrebbe elevato al rango di sir) e Walter Raleigh (che le avrebbe intitolato la prima colonia inglese in Nordamerica, la Virginia, equivocando volutamente sulla sua decisione di non prendere marito per non essere subordinata e non subordinare l’Inghilterra a nessuno) lo condusse ad affacciarsi al secolo successivo – quello in cui gli imperi transoceanici si sarebbero costituiti o dissolti definitivamente – con tutti gli strumenti collaudati per diventare una grande potenza, la più grande forse, per i secoli a venire.

L’unica macchia sul suo regno (che conobbe soltanto splendore e successi, sia culturali – un nome su tutti: William Shakespeare -, sia militari con la clamorosa sconfitta dell’Invencible Armada, sia politici con la conferma del paterno Atto di Supremazia che dette vita alla Chiesa Anglicana) è individuata da una parte della storiografia nella esecuzione della cugina Maria Stuart. Finì per fare ad essa – si dice – ciò che suo padre aveva fatto a sua madre e ciò che la sua sorellastra avrebbe voluto fare a lei. La tolleranza di Elisabetta finì l’8 febbraio 1587, sul filo della scure del boia che si prese la vita dell’ultima regina di Scozia.

William Shakespeare

William Shakespeare

La questione è controversa. Pare che Elisabetta d’Inghilterra fosse riluttante fino all’ultimo a condannare a morte Maria di Scozia. Oltre ad essere legata a lei da parentela stretta (quella che avrebbe portato il di lei figlio Giacomo VI di Scozia a succederle sul trono a Londra come Giacomo I, dopo la sua morte nel 1603), l’indole della pur determinata sovrana la rendeva restia a far giustiziare gli oppositori, avendo probabilmente il ricordo del rischio corso da lei stessa. Ma essendo il suo scettro continuamente messo a repentaglio dai suoi nemici, dovette ricorrere alle misure drastiche molto più spesso di quanto avrebbe probabilmente preferito.

Mary Stuart, ex moglie del cagionevole Francesco II di Valois re di Francia, scelta personalmente dalla regina madre Caterina de’ Medici, era per lei un pericolo oggettivo, per quanto costituisse un paradosso. I suoi sudditi scozzesi, in maggioranza protestanti, non amavano una regina cattolica. Ma Maria Stuarda era una sua antagonista a prescindere, in quanto avente titolo ai troni di Francia e Scozia, nonché – se si ragionava a partire da altri postulati che non fossero la common law inglese – anche a quello d’Inghilterra. Era un punto di riferimento continuo per chi voleva detronizzare la legittima regina investita dal Parlamento.

Mary Queen of Scots

Mary Queen of Scots

Elisabetta, colta in un momento di eccessiva pressione dai suoi cortigiani che glielo chiedevano da gran tempo, firmò alla fine l’ordine esecutivo della condanna a morte di Mary. Il sangue scorse ancora sul patibolo eretto a Fotheringhay, il castello dove la Stuarda aveva atteso il suo destino. Al destino dell’Inghilterra si sarebbe tuttavia associato un giorno ancora il nome Stuart, perché il figlio di Maria cugina di Elisabetta ne avrebbe ereditato lo scettro.

Alla fine del 1602, la sovrana che aveva avuto ragione di tutti i suoi nemici, ma ad un prezzo forse anche per lei troppo eccessivo, cadde in un profondo stato di depressione. Il 24 marzo 1603, nel palazzo di Richmond ereditato dal padre Enrico, si rivolse ai suoi cortigiani con la celebre frase, nonché la sua ultima pronunciata in pubblico in questa vita: «Chiamatemi un prete, ho deciso di morire».

Bllody Mary

Bloody Mary

Confessatasi, si mise a letto voltandosi verso la parete da cui nessuno poteva osservarla, e rese l’anima a quel Dio in nome del quale per tutta la sua vita aveva visto scannarsi la gente senza pietà.

Elisabetta Tudor, la Grande Regina d’Inghilterra, è sepolta a Westminster nell’abbazia che è anche il pantheon dei grandi della nazione inglese. Sulla sua tomba, che condividerà per l’eternità con la sorellastra Maria, sta scritto «Compagne nel trono e nella tomba, qui noi due sorelle, Elisabetta e Maria, riposiamo, nella speranza di un’unica resurrezione».

E’ lecito pensare, per come il mondo ha potuto conoscerla e ricordarla, che questo epitaffio sia andato più che a genio alla più grande delle regine inglesi.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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