Politica

La guerra contro Trump

La decisione di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia di bombardare i presunti depositi di armi chimiche di Bashar al Assad in Siria scatena il consueto moralismo a senso unico di una opinione pubblica occidentale abituata da sessant’anni a questa parte ad attribuire la colpa dei problemi in cui versa il Medio Oriente a tutti meno che a coloro che ci vivono.

La questione in gioco non è tanto la fondatezza delle affermazioni occidentali circa l’uso delle armi vietate dalle convenzioni internazionali. Non è neanche tanto la portata normativa e l’efficacia applicativa di quelle convenzioni, né dell’ordinamento facente capo alle stesse Nazioni Unite sul cui funzionamento ci sarebbe tanto da dire, a partire dalla loro istituzione nel 1945.

La questione è che come al solito la morale, o per meglio dire il moralismo, vengono applicati all’ambito che meno a loro si confà in assoluto: quello della politica internazionale. Da quando esistono, gli stati sono soggetti di diritto (internazionale, appunto), ma mai di precetti morali. Gli stati non hanno coscienza e non agiscono in base ai suoi moti. Essi, o per meglio dire i governi che li amministrano, fanno gli interessi delle comunità che vi risiedono nella misura in cui sono capaci di valutarli correttamente e fino a dove glielo consentono le risorse a disposizione.

Viviamo in un’epoca in cui un ex direttore dell’F.B.I. dimissionato dal Presidente degli Stati Uniti fino a prova contraria per inaffidabilità, James Comey, può permettersi di definirlo né più né meno che come un capo mafia. Cosa che sarebbe stata impensabile al tempo di presidenze altrettanto controverse come quella di Nixon, di Reagan, forse anche quella di Bush jr., in tempi recenti.

Viviamo al tempo di internet e dei social networks, che hanno realizzato abbondantemente la previsione del professor Umberto Eco, secondo cui ciascuno avrebbe avuto in futuro spazio adeguato e sufficiente per rendere pubbliche le proprie sciocchezze. Basta scorrere Facebook o Twitter, soprattutto quando si tratta di Donald Trump e dei suoi alleati, per rendersi conto che il Vaso di Pandora è irrimediabilmente rotto, il furore antiamericano rivestito di maleducazione, ignoranza e fanatismi ideologici vari ha preso il posto del bon ton, della capacità di giudizio, del buon senso spicciolo. La cosa che fa più effetto, semmai, è che una simile tigre venga cavalcata (per interessi evidentemente di bottega) da cosiddetti esperti ed analisti che si suppongono legati agli ambienti della Difesa. Viene da chiedersi da che cosa dobbiamo difenderci, appunto, se non – per cominciare – da noi stessi.

Non c’é da meravigliarsi dunque se la ferocia con cui il web condanna e maledice come una fatwah l’ultimo intervento occidentale in Siria sarebbe stata degna di una Guerra dei Trent’Anni. Una nuova religione si sta affermando, trasversalmente. Il suo verbo è questo: gli esportatori di democrazia se la riprendano, e se la tengano a casa loro. Settant’anni di liberalismo bene o male assicurato al continente europeo ed al bacino del Mediterraneo sono stati già cancellati nelle nostre coscienze, e sono pronti ad essere cancellati dai pubblici registri di storia e cronaca a colpi di tweet o di post su Facebook.

Intendiamoci, le portaerei americane, inglesi e francesi non salpano con il loro carico missilistico per andare a fare scuola di democrazia e di libertà, ma per sostenere degli interessi nazionali fino a prova contraria legittimi. Quelli di una comunità occidentale nel suo complesso che dipende – e dipenderà per ancora diverso tempo a venire – dal petrolio per il suo sostentamento ed il suo benessere. Chi dice il contrario è un ipocrita, da entrambi i lati della questione. Trump non esporta democrazia come non la esportava Obama, ma chi lo attacca dimentica il monologo finale dei Tre giorni del Condor. Guai domattina a presentarsi al benzinaio e trovarlo sprovvisto di benzina per la propria vettura, sarebbero in quel caso proprio i più progressisti e libertari a rivoltarsi con cattiveria verso lo stesso governo che li ha tenuti fuori ai maneggi del Grande Satana americano.

Nessuno di costoro, che chiameremo per semplicità le anime belle, gli opinion leaders di una certa sinistra che ha egemonizzato la cultura occidentale nel dopoguerra e soprattutto dopo il ‘68, ebbe da fare questione alcuna quando Obama, Sarkozy e Merkel lanciarono l’assurda Primavera Araba nel 2010-11, facendo fuori sistematicamente tutti i governi laici che per decenni avevano tenuto lontano l’Islam radicale dalle nostre sponde mediterranee. Non lo fecero perché Obama non era criticabile, primo presidente colored, esponente di un radicalismo chic che dalla costa est nordamericana lambiva voluttuosamente le nostre coste atlantiche, mischiandosi agli inconfessabili interessi di bottega franco-tedeschi. In certi paesi, inoltre, governi che quanto meno avevano dimostrato un po’ di perplessità circa la faccenda (un nome su tutti, quello di Berlusconi in Italia) vennero fatti fuori senza tanti complimenti e senza che nessuno dei suddetti libertari battesse ciglio. Le leggi, nazionali ed internazionali, hanno valore soltanto quando sono a pro di una certa parte.

Tutti andarono dunque in Nordafrica a fare casino, come fossimo tornati al tempo delle Crociate, con il risultato di avere i Fratelli Musulmani prima e l’Isis poi a due passi da casa. Imbarcati magari sugli stessi scafi che rovesciano caterve di migranti esclusivamente economici sulle nostre sponde ogni giorno. Sfido chiunque, a tale proposito, a segnalare un solo profugo siriano ospitato nel nostro paese.

E’ un business economico e una mistificazione ideologica, nel quale si riescono tuttavia a mischiare le carte in tavola grazie al supporto derivante dal possesso della gran parte dei mass media occidentali, dal Washington Post (che una volta aveva cause migliori da difendere) ai prestigiosi quotidiani e periodici inglesi, francesi e anche – per quello che ne rimane – italiani.

Così, nessuno ti racconta come mai un paese come la Siria, grande come due terzi dell’Italia e con un quarto della sua popolazione, sia teatro di una guerra che a questo punto supera per durata di oltre un anno la Seconda Guerra Mondiale. Ma tutti ti dicono che gli errori, le malversazioni, i complotti sono sempre e comunque orditi dagli Stati Uniti d’America e dai loro vassalli franco-inglesi. E perfino un ignavo inconsapevole come Gentiloni ci fa bella figura quando chiama fuori dalla vicenda non tanto se stesso quanto il suo paese.

Ci sono in ballo interessi economici trascurando i quali l’Italia, al pari degli altri paesi occidentali, non può sopravvivere. A questa opinione pubblica di storditi che sventola le stesse foto di bambini feriti dalle bombe con il passare degli anni, sarebbe il caso di chiedere come mai in Siria e nel Medio Oriente va bene che ci stia la Russia, va bene perfino che ci stia la Cina, e non va bene che ci stiamo noi. Che dipendiamo dal petrolio arabo, così come dal gas russo del resto, per la nostra esistenza. Come dovremmo ricordarci ogni volta che accendiamo la luce in casa, alziamo di un grado il riscaldamento, andiamo a fare benzina e poi la spesa.

Gli americani hanno smesso di stare a casa loro, come vorrebbero le anime belle che vivono nei social networks così come una volta vivevano nelle comuni psichedeliche dei figli dei fiori, quando realizzarono – una settantina di anni fa – che a casa propria sul teatro internazionale non ci sta nessuno, e l’isolazionismo era una favola dal finale atroce, orrendo. I francesi e gli inglesi chiarirono le loro idee sul Medio Oriente ai tempi di Sykes e Picot. Risultato, le Sette Sorelle controllando quell’area del mondo hanno controllato il petrolio e l’intera economia globale. Ci permettiamo peraltro di ipotizzare che tale controllo sia stato per noi a conti fatti migliore e più proficuo di quello che avrebbe potuto esercitare l’Impero Ottomano o suoi derivati.

E l’Italia? Aveva indovinato una posizione corretta ai tempi di Craxi, quando il generale Angioni portò i nostri marines in Libano. Erano gli anni 80, si riusciva a stare dentro un’alleanza, la NATO, senza fare i furbi e perseguendo gli interessi nostri e dei nostri alleati. Poi, ha preso il sopravvento una certa sinistra, e l’anima filoaraba, antiamericana (postfascista), antioccidentale, meticcia (moralmente parlando) ha preso il sopravvento. Da prima del conte Gentiloni, il governo italiano ha sistematicamente boicottato le iniziative americane e occidentali (che non fossero quelle di frau Merkel e dei suoi europeisti) ed altrettanto sistematicamente scelto la parte palestinese nel conflitto quasi secolare con Israele. In più, a parte il periodo di sbornia pro – Barack Obama e pro – Hillary Clinton, ha dato sfogo all’antiamericanismo più infantile mettendo i bastoni tra le ruote alla NATO, ma solo dopo aver litigato anche con Putin, sia chiaro. Non sia mai che l’approvvigionamento energetico – tallone d’achille italiano fin dal dopoguerra, come Enrico Mattei aveva compreso subito – ne risulti in qualche modo avvantaggiato. E non sia mai che si tratti, en passant, di porre un freno alla nostra vocazione ad essere il colabrodo continentale facendo entrare i migranti senza controllo, arricchendo mafie d’ogni genere ed impoverendo la nostra esausta economia reale.

Il conte Gentiloni, malgrado il vincolo all’ordinaria amministrazione allegramente disatteso su qualsiasi altra questione di governo, sulla questione siriana ha mostrato schiena dritta, attestandosi su un non facere a cui tutti hanno battuto le mani, dalle forze politiche all’opinione pubblica, almeno quella più rumorosa. Del cervello non ne parliamo, meglio tacere. Dei risultati dirà il tempo, a breve. L’interminabile guerra siriana terminerà, non fosse altro che per estinzione degli abitanti di quel paese (dei quali non importa a nessuno, men che meno a chi passa la vita sui social networks). Comincerà poi la ricostruzione, ed il riassetto di un Medio Oriente che troppa imbecillità politica diffusa negli ultimi dieci anni ha fatto a gara a dissestare e devastare.

Le imprese americane, francesi, inglesi ci saranno. Assieme a quelle russe e cinesi, ed immaginiamo anche tedesche. Quelle italiane, ammesso che non siano state tutte nel frattempo svendute al peggior offerente o all’amico dell’amico, è facile supporre di no.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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