Ombre Rosse

La liberazione di Siena

SIENA – E’ bello il drappellone disegnato da Emilio Giannelli. Bello, e di una essenzialità antica. In fondo tutto si riduce a quei dieci cavalieri che si inseguono attorno alla Piazza del Campo. E’ la magia di Siena. Come la conoscevamo. Come l’avevamo persa. Come forse, all’ultimo tuffo, l’abbiamo ritrovata.

Giannelli si era schermito per anni: «il Palio è stato disegnato da pittori, come Guttuso, che c’entra un vignettista?». Finalmente ha accettato. Il destino a volte fa strani scherzi. Gli tocca disegnare – e consegnare alla storia – il Palio della Liberazione. Il prossimo 2 luglio al Palazzo del Popolo siederà finalmente – e per la prima volta dopo settant’anni, giusto dall’altra Liberazione – una amministrazione non rossa: quella del neosindaco leghista Luigi De Mossi. Sarà lui ad abbassare il drappellone verso quei contradaioli che l’avranno visto vincere dal proprio cavallo, dal proprio fantino, dal proprio destino.

E’ stato lui a far risuonare di nuovo nella Piazza che i senesi giustamente definiscono la più bella del mondo quel canto di cui si era perso il ricordo, se non nella ricorrenza delle carriere del 2 luglio e del 16 agosto, per bocca dei contradaioli. No, fuori della Piazza, dopo quell’ultima volta il 25 giugno del 2014 al PalaEstra, non l’avevamo sentito più.

Quella notte, Siena aveva sbattuto per l’ultima volta il suo orgoglio in faccia al mondo. In faccia a quella Milano che si sarebbe portata via per un soffio l’ultimo scudetto della Mens Sana. In faccia al Palazzo che, non potendo mettere fine altrimenti al suo ciclo leggendario di vittorie (nessuno mai come Siena, in nessuno sport) ne aveva decretato la morte. Come era successo alla Fiorentina Calcio qualche anno prima. E una regione rossa che in un mondo sempre più rosso non contava più nulla non aveva saputo opporre niente.

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Una celebre vignetta di Giannelli

Da allora, oltre al basket era stato ucciso anche il calcio, con la Robur 1904 travolta anch’essa dalla crisi della principale istituzione cittadina, del fiore all’occhiello, dell’orgoglio derivato dall’aver fatto la storia, della città e del mondo: quel Monte dei Paschi che per cinquecento anni aveva potuto fregiarsi del titolo di banca più antica in attività, e di cui il partito comunista e suoi succedanei si era appropriato, per distruggerla in pochi anni.

Dalla crisi del Monte Siena aveva rischiato di non riprendersi. Al voto ogni volta con la paura che i signori che tenevano la Banca ed il suo indotto in pugno ne decretassero la morte, insieme a quella della città stessa. Costretti a barcamenarsi tra i PD come Bruno Valentini e i veterocomunisti come quel Pierluigi Piccini che è resuscitato a questa tornata come Nosferatu, pronto a sostenere una volta di più il Regno delle Tenebre.

Questa volta no. Siena ha avuto il suo scatto d’orgoglio. Sono circa 400 voti quelli che le hanno dato la Liberazione, un soffio. Ma un soffio di vita, e di libertà. E domenica notte il Canto della Verbena ha risuonato di nuovo nella Piazza del Campo.

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3 luglio 1944: le truppe alleate entrano a Siena

Siena è liberata. L’altra volta, 70 anni fa, tra la sua Liberazione e quella di Firenze intercorsero 40 giorni. Stavolta ce ne vorrà qualcuno di più, il Tiranno resiste ed è ancor meno ragionevole di quel feldmaresciallo Kesselring che aveva organizzato una difesa del Reich palmo a palmo. Ci vorrà qualche mese, ma anche Firenze tornerà alla fine ad avere la sua libertà. La cacciata dei barbari.

Nel frattempo ci godiamo lo splendido Palio di Giannelli, e quel Canto della Verbena che strugge l’anima come soltanto chi ha sangue senese (trapiantato a Firenze) come il vostro cronista, può capire.

Viva la nostra Siena. Viva la libertà. Viva il futuro.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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