Ombre Rosse

La marcia dei pinguini e delle sardine

La sardina di importazione Stephen Ogongo apre il prossimo raduno romano a Casapound. E’ la prima mossa politica intelligente che viene da quel movimento, ma mal gliene incoglie. Il titolare della pescheria Santori lo bacchetta ironicamente: «Ingenuo, gente che canta Bella ciao difficilmente può andare a parlare con la destra». Il tono è quello, infastidito e quasi strafottente, dello studente interrotto durante l’aperitivo. Chissà che avrebbe scritto Pasolini – aggiornando la sua celebre analisi del ‘68 – di questi proletari da Happy Hour. Questi vetero-comunisti di appena trent’anni.

Questo sta passando il convento. C’é grande casino sotto il sole italiano. Di governo e malgoverno, di elezioni regionali ed elezioni politiche non si parla più. Non si parla più neanche di Salvini, e perfino il MES è diventato quasi un intermezzo pubblicitario tra un servizio sulle esternazioni di Mattarella rilasciate nel foyer della Scala e un aggiornamento sul fenomeno sardine (siamo a 40.000 a serata, grazie all’ultima release di photoshop).

L’abbiamo scritto più volte, siamo una democrazia di importazione. Dove il consenso viene manipolato con una facilità impressionante, a volte agghiacciante. In questi giorni ricorre il cinquantesimo anniversario di Pazza Fontana, dell’avvio della Strategia della Tensione e degli Anni di Piombo.

Stavolta per far prendere alla nostra dialettica politica strade gradite soltanto alla Casta governante non sono necessarie evidentemente delle trame nere (o rosse), e perfino i servizi segreti – che siano ancora deviati o meno – possono dedicarsi ad attività di tutto relax, come ad esempio incasinare in maniera notevole i nostri rapporti con gli Stati Uniti.

No, nell’era del web, dei social network, è sufficiente convocare il flash mob giusto, all’ora giusta (mai prima di mezzogiorno), con le parole d’ordine giuste. Ai nostri ragazzi non insegniamo più niente, lo sappiamo da soli anche se non ce lo dice l’Osservatorio del Ministero della Pubblica Istruzione. Magari nel loro stato confusionale alimentato dai gadgets elettronici che abbiamo messo loro in mano dalla più tenera età sono davvero convinti di dover scendere in piazza non solo per l’apericena, ma anche perché fischia il vento, il fascismo è tornato, i partigiani devono radunarsi nuovamente, o Bella ciao, Bella ciao, Bella ciao, ciao, ciao.

Prodi se la ride, per l’ennesima volta ha messo in piedi un esperimento interessante, come lo definisce lui. Stavolta non è la privatizzazione dei servizi pubblici essenziali, né l’Ulivo che metteva insieme gli esausti Don Camillo e Peppone. Stavolta è il photo-flash-mob con cui è riuscito – insieme a chi con lui e per lui – a sviare il dibattito politico dalla legittima incazzatura della gente per l’uso improprio fatto del voto del 2018 a questa pagliacciata di gruppi Facebook contrapposti: le sardine e i pinguini. Senza nemmeno l’accattivante doppiaggio di Fiorello.

Politicamente parlando, gli italiani erano e sono al livello della scuola materna, e non perdono occasione di dimostrarlo. Oltre confine, a Parigi la gente indossa di nuovo i gilet gialli, e Macron quando esce dall’Eliseo è tornato a guardare prima dalla finestra se la strada è sgombra. Loro hanno fatto una rivoluzione (più d’una) e ghigliottinato un re. Noi al massimo facciamo qualche ora di sciopero il venerdi, viene bene attaccata al week end. E pendiamo dalle labbra di affabulatori come il presidente della repubblica e quello del consiglio. Supercazzoleabsit iniuria et vilipendium verbis – da competizione.

Sarebbe ora in piazza di andarci, o ritornarci, sul serio. Prima che sia troppo tardi e nel prossimo governo oltre al geografo Di Maio ci si ritrovi anche il filosofo della politica Santori. Prima che Prodi ce lo ritroviamo nel foyer della Scala ad esternare come successore di Mattarella.

Torino, 14 ottobre 1980

Siccome per età un po di storia l’abbiamo vissuta e ne siamo nostalgici a buon diritto, non per averla sentita rimasticare da buoni o cattivi professori come queste sardine, ci auguriamo per il bene dell’Italia di rivedere davvero 40.000 persone tutte insieme in piazza. Non quelle di Santori, di Ogongo, del soccorso rosso o dei programmi di fotoritocco. Ma quelle che nel 1980 si mobilitarono a Torino e mandarono al paese ed alle istituzioni un messaggio molto semplice ed efficace: la gente, allora come adesso, si era rotta le scatole.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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