La notizia degli ultimi giorni dell’anno 2019 era stata funesta. Anche la Wiener Philharmoniker aveva deciso di inchinarsi al nuovo verbo – l’antifascismo riscoperto di recente da politici e burocrati che in realtà temono più che altro di perdere il posto – e di mettere le mani addosso nientemeno che ad uno dei capisaldi della nostra cultura occidentale.
A partire dal 1 gennaio 2020, il Concerto di Capodanno viennese – croce e delizia di tanti nostri primi giorni dell’anno nuovo, alzarsi in tempo per vederlo iniziare a mezzogiorno lottava duramente con l’essere andati magari a letto pochissime ore prima, alle prime luci della prima alba di quello stesso anno nuovo – non sarebbe più terminato con la Marcia di Radetzky. O perlomeno, non con la versione di essa che siamo abituati a vedere ed ammirare entusiasti, in un crescendo che ci ridesta (in tutti i sensi) e ci richiama a nuova vita, da tempo immemorabile.
Già, il tempo immemorabile. Quello che fugge via a tutti, soprattutto agli ossequiosi di un politicamente corretto al di fuori di qualsiasi contesto storico, o comunque a chi ha fatto della cultura uno dei tanti argomenti di un dibattito politico sempre più squallido. O più semplicemente ancora, uno stratagemma carrieristico.
Il presupposto, o pretesto, addotto era questo. La versione della Marcia di Radetzky che va in scena come ultimo, storico, impareggiabile brano del Neujahrskonzert tradizionalmente in onda dalla Musikverein della Filarmonica viennese, non è esattamente quella inizialmente composta da Johann Strauss padre.
Il musicista austriaco, come molti suoi connazionali, era estremamente grato al feldmaresciallo Johann Joseph Wenzel, conte Radetzky, che aveva appena vinto quella che per gli italiani era stata la Prima Guerra di Indipendenza, e per gli austriaci la guerra che aveva arrestato le rivoluzioni nazionali del 1848 e salvato l’Impero Asburgico. Per questo compose e gli dedicò questa splendida marcia trionfale.
Radetzky riconsegnò all’Imperatore il Lombardo – Veneto e rimandò le aspirazioni di indipendenza degli italiani a data da destinarsi. Francesco Giuseppe è tutt’ora un sovrano rispettato anche là dove si dovette versare molto sangue per sostituirlo con Vittorio Emanuele, il Secondo. E qualcuno dovette aspettare anche il Terzo (senza che avesse peraltro da lamentarsi troppo).
Diciamoci la verità, patrioti o meno, cresciuti o meno nel mito risorgimentale, non ce l’abbiamo mai avuta né con l’Austria (dei tempi nostri), né con Radetzky, né tantomeno con Strauss che gli aveva dedicato questa Marcia che è a tutt’oggi una delle composizioni più azzeccate e suggestive che la nostra musica classica, la nostra cultura classica, ci abbiano consegnato in eredità. La Marcia è la Marcia, cari signore e signori, e non si tocca. O non si dovrebbe toccare.
E invece, l’allora drettore della Wiener Philharmoniker, Andris Nelsons, di nazionalità lettone, aveva deciso fa che la versione della Marcia attualmente in programmanel Capodanno viennese andava censurata. Essendo stata riscritta nel 1932 da Leopold Weninger, un compositore in seguito iscritto al NSDAP, il partito nazionalsocialista tedesco, era da considerare a suo dire pertanto una marcia nazista.
Cos’avrebbe di nazista? Nientemeno che il battito di mani che la ritma alla fine, simulando il rientro trionfale a Milano del viceré austriaco vittorioso, e che finisce regolarmente per coinvolgere il pubblico viennese e tutto quello collegato in mondovisione.
Via Weninger, si ritorna a Strauss, o così disse Nelsons. Via le «ombre brune del passato», rincarò la dose un altro, il primo violino Daniel Froschauer. Il quale affermaava che Weninger ne aveva fatto «una marcia militare volta ad ottenere consensi al nazismo». Come se l’originale di Strauss fosse stato invece un’aria bucolica o chissà che altro.
Nelsons e Froschauer, il nuovo che avanza. Come l’ambientalismo è in mano ormai a ragazzotti e ragazzotte di sedici anni, spesi tra l’altro a studiare poco e male, la cultura era ed è in mano a carrieristi come questi. Che hanno studiato poco di più, ma che hanno capito assai presto da che parte soffia – o ha soffiato finora – il vento.
Dimenticando tra l’altro che la prima edizione del Concerto di Capodanno è del 1939. L’ingresso della Musikverein della Philharmoniker era allora pavesato di bandiere rosse su cui campeggiavano croci uncinate. L’anno era quello successivo all’Anschluss. Le ombre brune di cui parla Froschauer vennero di persona ad assistere a quella prima edizione, Fuhrer in testa.
In realtà, il direttore Nilsons si era poi dovuto attenere a più miti consigli, accantonando le velleità di pulizia etnica della Marcia e dirigendo (e Froschauer eseguendo) una versione praticamente simile a quella a cui il pubblico internazionale è da sempre abituato, con il battito finale di mani del pubblico in sala, in crescendo. Semplicemente aveva addolcito alcuni passaggi dell’esecuzione, alleggerendo il ruolo della grancassa e dei tamburi rendendola meno militaresca. Piccoli compromessi ed accorgimenti che nulla hanno tolto al fascino della Marcia, ormai considerata di buon auspicio per l’inizio dell’anno.
Quanto alla Terra, percossa ed attonita da simil nunzio come avrebbe detto Manzoni, aveva giocoforza dovuto occuparsi di lì a poco di ben più gravi problemi (vedi alla voce Covid) piuttosto che continuare a prestare attenzione alle sciocchezze di cui sopra.
E Dio solo sa se di buon auspicio ha bisogno quest’altro anno nel frattempo arrivato. Il 2024 comincia con il pesante fardello sulle spalle ereditato dagli anni della pandemia e di altre catastrofi nel frattempo maturate. Appare ancora lontano il ritorno ad una esistenza più vivibile, libera da pericoli ignoti, paure ancestrali e tentazioni di ritorno a epoche ed ideologie simili a quella che si voleva cancellare dalla nostra memoria insieme alle trascrizioni musicali di Leopold Weninger.
Ad ogni buon fine, la Marcia di Radetzky come l’abbiamo sempre vista ed ascoltata. E come è presumibile che il direttore Tielemans ce la riproporrà tra poche ore. O almeno la riproporrà a coloro che non saranno andati a letto troppo tardi, e saranno in grado stavolta di alzarsi per tempo.
Buon 2024 a tutti.
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