Automobilismo

La Mille Miglia

La caratteristica freccia che indica il percorso della Mille Miglia

«Mille Miglia; qualcosa di non definito, di fuori dal naturale, che ricorda le vecchie fiabe che da ragazzi ascoltavamo avidamente, storie di fate, di maghi dagli stivali, di orizzonti sconfinati. Mille Miglia: suggestiva frase che indica oggi il progresso dei mezzi e l’audacia degli uomini. Corsa pazza, estenuante, senza soste, per campagne e città, sui monti e in riva al mare, di giorno e di notte. Nastri stradali che si snodano sotto le rombanti macchine, occhi che non si chiudono nel sonno, volti che non tremano, piloti dai nervi d’acciaio.» (Giuseppe Tonelli, La Stampa, 27 marzo 1927)

Nel 1921 Il Regio Automobile Club d’Italia aveva istituito il primo Gran Premio d’Italia della storia. Sede prescelta Montichiari, in provincia di Brescia. Come si usava allora, si trattava di un circuito ricavato su strade aperte al traffico, con tutti i rischi del caso e tragedie non infrequenti. L’anno dopo, saggiamente, fu preferito un circuito ricavato nel parco reale di Monza, lo stesso dove Gaetano Bresci aveva attentato con successo alla vita del re d’Italia Umberto I. Il GP d’Italia sarebbe rimasto lì fino alla istituzione della Formula Uno e poi ai giorni nostri, salvo l’interruzione dovuta alla seconda guerra mondiale.

Tazio Nuvolari

Brescia non prese bene la scelta della Reale A.C.I., e tramite un comitato di appassionati e di giornalisti addetti ai lavori organizzò una sua manifestazione alternativa. Senza immaginare che sarebbe subito entrata nella leggenda, quanto e più della corsa passata in gestione alla rivale Monza.

La Mille Miglia nacque così. Fu disegnato un percorso ad otto che attraversando l’Italia centrale scendeva giù fino a Roma e risaliva. Mille e seicento chilometri, che tradotti nell’unità di misura di moda nell’automobilismo dell’epoca – di matrice tanto per cambiare anglosassone -, facevano appunto mille miglia imperiali, o del Regno Unito.

Si correva su strade aperte al traffico, con la folla degli appassionati assiepata lungo il tracciato. Si correva senza tappe, di giorno e di notte. Intemperie e stanchezza erano insidie frequenti quanto l’oscurità e gli imprevisti. Il mito della Mille Miglia, la sua massacrante e a volte tragicamente avvincente epopea, fu il motivo principale del favore del pubblico ed anche il suo punto debole, che alla fine ne decise il destino.

La prima edizione si corse a partire dal 26 marzo 1927, con la partecipazione di settantasette equipaggi, due soli dei quali stranieri. Ventidue vetture furono costrette al ritiro, cinquantacinque terminarono la corsa. I vincitori – Ferdinando Minoia e Giuseppe Morandi – a bordo di una OM (Officine Meccaniche di Brescia, che oggi produce più che altro carrelli elevatori), completarono il percorso in 21 ore, 4 minuti, 48 secondi e 1/5 alla media di 77,238 km/h.

Clemente Biondetti

La corsa ebbe un successo tale che fu ripetuta a furor di popolo negli anni successivi. I nomi dei vincitori entravano nella leggenda sportiva e nell’immaginario popolare assieme a quello della corsa più prestigiosa da vincere: Achille Varzi, Tazio Nuvolari, Giuseppe Campari, Piero Taruffi, Enzo Ferrari, Nino Farina. Eroi di una moderna Odissea. Protagonisti di poemi raccontati da giornalisti che in realtà assomigliavano piuttosto a epigoni di Omero.

Finché, nel 1938, la maledizione dell’automobilismo su strada pubblica colpì ancora. All’altezza di Bologna, una Lancia Aprilia piombò sul pubblico facendo una strage. Dieci morti, di cui sette bambini, e ventitre feriti. Il capo del governo, cavalier Benito Mussolini, decretò il divieto di correre da allora in poi su strade aperte al pubblico. L’età dell’automobilismo eroico nata al principio del secolo e diventata subito mito grazie ai cantori futuristi che avevano diviso la loro passione tra le imprese dei piloti e quelle degli squadristi che avevano fatto la fortuna dello stesso Mussolini, per mano di Mussolini ebbe fine. I tempi erano cambiati, la pubblica incolumità valeva più della mitologia propagandistica dei superuomini che si mettevano alla guida dei bolidi costruiti da nomi leggendari come Alfa Romeo o l’emergente Ferrari.

Nel 1940 un comitato organizzatore riuscì ad ottenere una parziale autorizzazione per correre il Gran Premio di Brescia, un triangolo tra Brescia, Mantova e Cremona ripetuto nove volte, fino al completamento delle fatidiche mille miglia. Poi arrivò la guerra, il Fascismo propose e pretese altre imprese dagli italiani, e di corse in macchina non se ne parlò più fino al 1947.

Quell’anno, l’Automobile Club di Brescia riuscì a riportare in vita la corsa leggendaria che nessuno aveva dimenticato. Sull’abbocco della salita che da Firenzuola sale a Covigliaio, a due passi dal passo della Futa che fa da spartiacque tra Toscana ed Emilia Romagna, c’é ancora la scritta «vai Biondetti!», custodita gelosamente come una reliquia dalla popolazione locale, nata e cresciuta per generazioni nel mito delle macchine volanti che una volta l’anno a primavera sfrecciavano per le strade di campagna del loro circondario.

Clemente Biondetti, che aveva vinto l’ultima edizione del 1938 prima dell’interruzione, tornò a trionfare nella prima edizione del dopoguerra in coppia con il navigatore Emilio Romano a bordo di una Alfa Romeo 8C 2900B coupé Touring, con il tempo complessivo di 16h16’39” e la media oraria di km/h 112,240. Seguirono anni nuovamente spensierati e sportivamente felici, mentre la Mille Miglia distraeva dalle preoccupazioni della ricostruzione un paese che riscopriva nell’automobilismo il suo vecchio mito infantile.

Sulle strade della Mille Miglia

Nel 1955 un’altra leggenda delle corse, il pilota inglese Stirling Moss che dominava i Gran Premi di Formula Uno dell’epoca ma che avrebbe concluso la carriera senza vincere mai un titolo mondiale, partecipò alla Mille Miglia e consegnò alla storia il suo record assoluto, percorrendo i 1600 km in 10 ore e 8 minuti, al volante di una Mercedes-Benz 300 SLR.

Mille Miglia, sembrava un’epopea destinata a durare mille anni, e invece la sua storia era quasi alla fine. Nel 1957 lo spagnolo Alfonso De Portago alla guida di una Ferrari 335 S finì tra la folla a causa dello scoppio di uno pneumatico. Come vent’anni prima, i morti furono tanti, undici, compresi lui ed il navigatore americano Edmund Gurner Nelson. Tragedia nella tragedia, come vent’anni prima, metà di essi erano bambini.

L’Italia non era più governata da un Duce, ma la Repubblica sorta dalla Resistenza fu altrettanto inflessibile nei confronti della corsa leggendaria, che stava chiedendo un tributo di sangue troppo elevato. La Mille Miglia fu definitivamente soppressa. Lo stesso Enzo Ferrari, costruttore della vettura che aveva involontariamente provocato la fatale collisione, ebbe i suoi guai sotto forma di un procedimento giudiziario che lo avrebbe avuto per anni come imputato.

Da allora, l’A.C.I. di Brescia ritentò la sorte promuovendo corse ancora denominate con il celebre marchio delle Mille Miglia, ma che in realtà si trattavano di prove di velocità in linea intervallate da lunghi tratti di trasferimento a velocità ridotta, di crociera. Troppo poco per alimentare un mito. A quel punto, del resto, l’Italia che entrava nel boom economico di miti ne aveva altri. Le corse ormai si svolgevano su circuiti dedicati, l’aumento esponenziale del traffico privato sulle strade rendeva impossibile ciò che era stato pensabile sulle vecchie strade dell’Italia contadina.

Dal 1977 la Mille Miglia è stata riproposta come corsa storica, sotto forma di gara di regolarità per auto d’epoca. La partecipazione è stata limitata alle vetture, prodotte non oltre il 1957, che avevano partecipato (o almeno risultavano iscritte) alla corsa originale. Il percorso Brescia-Roma andata e ritorno ricalca sostanzialmente quello della gara originale. L’edizione 2017, nominalmente la numero novanta della storia, è stata quella con il record degli iscritti: 705. Il popolo italiano è cresciuto e cambiato, ma certi sogni della sua infanzia sono impossibili da dimenticare.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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