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La nevicata del 2010

Firenze, 17 dicembre 2010

Alle ore 13,00 circa i primi fiocchi di neve cominciarono a cadere giù, lenti, felpati, inesorabili. Un quarto d’ora dopo, il centro di Firenze era già imbiancato, ricoperto di uno strato consistente di quella sostanza bianca così accattivante quando siamo in settimana bianca, o davanti alla TV ad assistere alle gare di coppa del mondo di sci, oppure al cinema a vedere i film di 007 con inseguimenti a rotta di collo in discesa libera. Lo è molto meno quando ci sorprende fuori casa, magari al lavoro o in trasferimento per andarci o per tornarne via.

Molti si ricordarono bruscamente, e brutalmente, delle previsioni del tempo di quel giorno, che si rivelavano all’improvviso estremamente accurate (avevano azzeccato anche l’ora esatta). E che come al solito, per disillusione o fretta, erano state dai più ignorate e accantonate con tanto di spallucce nel ripostiglio delle informazioni che il nostro cervello raccoglie e stipa alla rinfusa ogni giorno.

Alle 13,30, dopo mezz’ora, Firenze era già in ginocchio. Scene da The Day After Tomorrow, madri e padri che cercavano disperatamente di andare a recuperare figli da scuole già quasi isolate. Primi autobus che si intraversavano sulle salite della Bolognese, di Fiesole, di Marignolle, di San Martino alla Palma, del Viale dei Colli.

Nessuna traccia di un vigile, di un addetto alla protezione civile, di una qualunque forza dell’ordine. La Caporetto fu totale, e in cima all’albero delle mancate presenze e del mancato assolvimento delle proprie responsabilità brillò lui, come un puntale sfavillante nell’addobbo del Natale imminente. Il Sindaco che studiava da Presidente, il Nuovo che Avanzava prepotente, l’Affabulatore che raccontava di un mondo inesorabilmente migliore, per il solo fatto che l’aveva pensato lui.

Matteo Renzi conobbe la sua prima clamorosa sconfitta, la prima riprova del nove al suo tanto parlare, tanto promettere, tanto riformare, il 17 dicembre 2010. Quel giorno, i fiorentini appresero come stavano veramente le cose, dopo un anno di amministrazione Renzi e tanti discorsi. Cosa c’era dietro i paraventi in stile Cinecittà davanti a cui il regista della perestrojka PD girava il suo film.

NeveFirenze171218-002Fu un dysaster movie in piena regola. Le amministrazioni pubbliche colte a brache calate, l’incapacità di reagire anche dopo, molto dopo la caduta di quei primi fiocchi. Famiglie che si ricongiungevano a tarda notte, o il giorno seguente, dopo ritirate di Russia a piedi attraverso la città e l’Hinterland sconvolti (la Città Metropolitana ebbe il suo primo test quel giorno e quella notte). Mezzi pubblici abbandonati come carcasse di dinosauri, che quattro giorni dopo erano ancora di traverso sull’imbocco delle salite, come i resti di quei rettili giganteschi sterminati dal meteorite o di Pompei travolta dal Vesuvio .

E discorsi, discorsi, discorsi. Renzi quel giorno e i seguenti dette fondo alla sua infinita retorica, oscillando instancabilmente tra il populismo delle scuse non richieste e inutili ed il fatalismo delle condizioni meteo non prevedibili (non era vero, erano state abbondantemente previste), ai quali sarebbe stato attinto sempre più a volontà nelle calamità successive. In Italia non si può prevedere più nulla, non si può fare più nulla, non ci sono risorse, ed il destino si accanisce contro di noi. Dead Nation Walking.

Il Renzi che studiava da premier, appena la neve si sciolse (da sola) piazzò una fila di spargisale e spazzaneve in Piazza della Stazione che nemmeno i tank dell’esercito americano il giorno della Liberazione. Casomai dovesse rinevicare, popolo di Firenze, noi ci siamo, e siamo con voi.

Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, prima del concerto in Vaticano, 04 febbraio 2013. ANSA/ETTORE FERRARI

Il paragone con l’Alluvione, con altre amministrazioni ed altre persone, si imponeva impietoso. I fiorentini, in repentina e rapida via di disillusione, cominciarono a dire a conoscenti e parenti del resto d’Italia: non è tutto oro quello che luccica alla Leopolda. I parenti e i conoscenti non ascoltarono, e nessuno sbarrò al Renzi la strada per Roma. Da Palazzo vecchio a Palazzo Chigi, a non prevedere il prevedibile, ma stavolta a livello nazionale, lasciando il testimone locale al fido Nardella, il Kit Carson della Piana dell’Arno.

Firenze sentitamente ringrazia il resto degli italiani (non per Nardella). Dal 2014 in poi, almeno, sono cavoli di tutti.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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