Da quando esiste il cinema e da quando Hollywood è diventata la sua Mecca, sono state diverse le attrici che si sono meritate l’appellativo di dive, star, o addirittura fidanzate di un’America che delle sue attrici si innamorava e si innamora spesso e volentieri. Da Marylin Monroe di cui tra un paio di giorni ricorre il genetliaco, a Doris Day, scomparsa poco tempo fa.
Lei fu la prima, in un tempo in cui ancora le donne non votavano, non lavoravano, non si emancipavano. Lei conquistò il grande schermo che cominciava ad attirare milioni di spettatori in cerca di sogni di celluloide, e sfruttò quella sua conquista per ottenere per tutte coloro che sarebbero venute dopo di lei parità di diritti e di trattamento. E per realizzare tutto questo, fece anche del cinema la più efficiente delle industrie della sua epoca, lasciandocelo in eredità più o meno com’é ancora oggi.
Mary Pickford detta Riccioli d’oro era nata a Toronto in Canada l’8 aprile del 1892. Il suo nome di battesimo era Gladys Louise Smith, e di battesimi ne ebbe ben due, per compiacere sia il ramo irlandese cattolico materno che quello inglese metodista paterno, e in questo marasma confessionale pare che il suo secondo nome fosse modificato in Marie. Il che le rese semplice più avanti la scelta dello pseudonimo artistico, impostale da una fabbrica delle stelle che funzionava in sostanza già come adesso.
Rimasta orfana a sei anni di padre (la prima vittima dell’alcoolismo che avrebbe richiesto alla sua famiglia ed a lei stessa un pesantissimo tributo), attraversò la frontiera con la madre e i due fratelli in cerca di sostentamento prima e di fortuna poi. La madre alternava il mestiere della sarta a quello del piccolo cabotaggio nel mondo del teatro. A sette anni, la piccola Gladys salì per la prima volta sul palcoscenico per recitare, raggiungendo il culmine di questa sua prima precoce parte della sua carriera con l’interpretazione di Little Eva nella Capanna dello Zio Tom.
La sua bellezza ed il suo talento si imposero ben presto, consentendole lo sbarco addirittura a Broadway, che allora già stava al teatro come Hollywood iniziava a stare al cinema. I due universi scenici si compenetravano, allora come ora. Fu durante alcune delle sue recite che venne notata da registi cinematografici di fama o che lo sarebbero presto diventati, come David W. Griffith e Cecil B. De Mille.
Nel momento in cui Mary cominciava a domandarsi se fosse il caso di insistere con Broadway e la miseria delle paghe offertegli per le sue saltuarie interpretazioni teatrali, fu Hollywood a venirle in soccorso lanciandola come attrice della celluloide. Cominciò dalla gavetta, interpretando i ruoli più disparati, ma ben presto divenne l’attrice meglio pagata degli Studios. Dieci dollari al giorno quando la media dei suoi colleghi, uomini e donne, non superava i cinque. Artisticamente parlando, era una specie di Meryl Streep dell’epoca, estremamente versatile nella recitazione e capace di guardare lontano, molto lontano.
«Ho interpretato donne delle pulizie, segretarie e donne di tutte le nazionalità… mi resi conto che se io avessi preso parte a più film la mia fama sarebbe di gran lunga aumentata, e sarei stata richiesta maggiormente», avrebbe raccontato rievocando quei suoi primi tempi nel mondo del cinema. Dopo la sua prima apparizione sul grande schermo, Mary era già diventata Blondilocks, Riccioli d’oro, per l’affezionatissimo pubblico.
La fama ed il successo che la resero la star numero uno di Hollywood la portarono a trionfare anche in quella Broadway dove aveva a lungo stentato. Lo star system funzionava allora così, e così funziona tutt’ora. Mary aveva intanto scoperto di trovarsi più a suo agio davanti alla macchina da presa, piuttosto che su un palcoscenico. Il suo mondo ormai era quello del cinema, e la sua carriera procedette spedita fino all’Oscar vinto nel 1929 con Coquette.
Nel frattempo, la Pickford era entrata nella storia del cinema anche per motivi imprenditoriali. Nel 1919 aveva fondato insieme ad alcuni colleghi famosi la prima casa di produzione cinematografica autogestita da attori, registi e produttori, la United Artists. Fra i cofondatori, di cui lei era l’unica donna, figuravano nomi come Charlie Chaplin, David W. Griffith e quel Douglas Fairbanks che di lì a poco sarebbe diventato suo marito.
In quegli anni, Fairbanks si stava affermando come eroe romantico per eccellenza, interpretando personaggi avventurosi come Zorro, Robin Hood, il Ladro di Baghdad, il Pirata Nero e via dicendo. Era fatale che il sex simbol maschile per eccellenza si incontrasse con quello femminile, e che entrambi restassero ammaliati l’uno dall’altra. Mary veniva da un matrimonio giovanile (e a quanto pare riparatore) con Owen Moore, un attore irlandese molto noto negli anni Dieci destinato tuttavia a soccombere all’alcool così come era successo al padre di lei. La gravidanza che aveva causato il matrimonio non andò in fondo, i coniugi vissero separati fin quasi alla fine del decennio. Finché proprio all’epoca dell’incontro con Fairbanks (1020) la Pickford era tornata una donna libera da vincoli matrimoniali, avendo divorziato.
Con il secondo avventuroso e affascinante marito il matrimonio durò fino al 1936, terminando a causa delle infedeltà di lui, che non avrebbe fatto mistero di pentirsene successivamente e per il resto della sua vita. A quel punto, anche la carriera di Mary si era arenata, vittima dell’avvento del sonoro a cui come molti altri attori ed attrici la sua recitazione non aveva saputo adeguarsi.
«Aggiungere il suono ai film sarebbe come mettere il rossetto alla Venere di Milo», disse una volta sprezzante. Ma il progresso era inesorabile, e presto tutte le statue ebbero il rossetto, e tutte le attrici e gli attori dovettero imparare a recitare anche usando la voce. Lei non ce la fece, e dai primi anni trenta si dedicò a produrre film per altri.
Ma il suo contributo alla storia, anzi alla leggenda del cinema ormai l’aveva abbondantemente dato. Nello stesso periodo in cui fondava la United Artists, insieme ad altri 35 colleghi dava vita alla Academy of Motion Picture Arts and Sciences, una specie di ordine professionale degli attori, registi e produttori della California, che tra le tante attività poste in essere avrebbe cominciato dalla fine degli anni 20 ad assegnare quelli che oggi conosciamo come Premi Oscar. Lei fu una delle prime attrici a riceverlo, preceduta di due anni da colui che sarebbe diventato il suo terzo marito, Charles Buddy Rogers, vincitore del Premio nel 1927 con il film Ali, dove manco a dirlo interpretava un pilota.
La donna che aveva rubato la scena perfino ad un Presidente americano, quel Woodrow Wilson a cui si era affiancata nella promozione dei Liberty Bonds, i fondi obbligazionari con cui gli U.S.A. finanziarono il loro sforzo bellico nella Prima Guerra Mondiale, e che poi era tornata alla Casa Bianca al tempo di Herbert Hoover per patrocinare la causa dei colleghi disoccupati dell’industria cinematografica, passò con disinvoltura dalla scena alla scrivania. Fonti dell’epoca la descrivono come una donna manager, «in grado di supervisionare ogni aspetto della produzione del film, dall’assunzione dei talenti e della troupe alla stesura del copione, la direzione della regia e il montaggio fino alla distribuzione finale e alla promozione di ogni progetto».
A ben guardare, era anche molto di più di quello. Era un simbolo nazionale, in pace ed in guerra. Come avrebbe fatto Marylin Monroe al tempo della Guerra di Corea, durante la Grande Guerra aveva partecipato anche lei allo sforzo bellico del suo paese adottivo come propagandista senza pari. Per quanto canadese di nascita, aveva baciato la bandiera americana davanti alle telecamere, aveva venduto all’asta uno dei suoi famosi riccioli per 15.000 dollari, aveva messo in piedi il primo fund raising della storia del ventesimo secolo incantando perfino Wall Street. La Marina statunitense l’aveva battezzata Little Sister, Sorellina. L‘esercito aveva dato il suo nome a due cannoni, e l’aveva nominata addirittura colonnello onorario.
Ma tutto questo successo aveva un prezzo, e lei lo pagò nella vita privata. Il terzo matrimonio non era destinato a finire meglio degli altri due. I figli che aveva adottato insieme a Rogers, non potendone lei avere di propri, lamentarono sempre – al pari del marito – che lei era troppo presa dal lavoro che aveva dato un senso incredibile alla sua vita per dedicare le necessarie attenzioni ai propri affetti privati. La prima donna manager della storia del cinema non fu mai una buona moglie e una buona madre, anche se non fu mai sfiorata da uno scandalo o anche da una chiacchiera, in un mondo in cui già allora scandali e chiacchiere si sprecavano.
Per quanto donna di gran carattere, alla fine il tramonto della sua belle epoque personale ed il fallimento dei suoi rapporti coniugali si fecero sentire anche per lei. Come suo padre, il suo primo marito ed i suoi fratelli, cominciò a bere. E cedette alla depressione che negli anni della maturità la portò a diradare al massimo i suoi rapporti sociali. Come una Mina Mazzini ante litteram, si isolò progressivamente nel secondo dopoguerra e pare che ricevesse gli sporadici visitatori conversando con loro esclusivamente per mezzo del telefono, che collegava le sue stanze personali a quella dove gli ospiti dovevano sostare.
Quando si sentì vicina alla fine, chiese di riavere la cittadinanza canadese che aveva perso a favore di quella statunitense per sposare Fairbanks. Morì, con doppio passaporto, il 29 maggio 1979, ed è sepolta nel Forest Lawn Memorial Park Cemetery di Glendale, California, accanto a sua madre Charlotte, ai fratelli Lottie e Jack morti prematuramente per le conseguenze dell’alcoolismo, alla zia Elizabeth Watson, che aveva aiutato la madre a crescerla a Toronto.
Nel 1976, l’Academy che un giorno ormai lontano lei stessa aveva contribuito a fondare le conferì il Premio Oscar alla carriera. La Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti le ha intitolato più o meno nella stessa epoca il proprio teatro. Nella sua casa natale a Toronto, ora sede dell’Hospital for Sick Children, si trovano un busto e una targa storica che vennero inaugurate da suo marito Buddy Rogers nel 1973. La data di nascita incisa sulla placca risulta essere l’8 aprile 1893. La sua data di nascita non era mai stata registrata – all’epoca succedeva di frequente – e lei stessa durante tutta la sua vita sostenne di essere più giovane di un anno di quanto si fosse creduto.
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