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La regina dei record

«Io dichiaro davanti a voi tutti che la mia intera vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale alla quale tutti apparteniamo».

Il 2 giugno 1953 Elizabeth Alexandra Mary, da quel momento in poi semplicemente Elizabeth, la seconda del suo nome dopo la Grande Regina che aveva salvato il suo paese dall’Invencible Armada, così si rivolgeva ai suoi innumerevoli sudditi sparsi per tutto il globo mentre l’Arcivescovo di Canterbury le posava sul capo regale la corona imperiale che apparteneva alla sua famiglia da generazioni, nell’antica, tradizionale e quanto mai suggestiva cornice dell’Abbazia di Westminster, sede istituzionale di qualsiasi atto pubblico riguardante i sovrani inglesi dai tempi di Edoardo il Confessore, il penultimo re sassone prima della Conquista Normanna, che l’aveva edificata poco dopo l’anno Mille.

Elizabeth era appena ventisettenne quando pronunciò quelle semplici ma paradigmatiche parole, ed era di fatto la sovrana del Regno Unito da quasi un anno e mezzo, dal giorno in cui suo padre aveva chiuso gli occhi per l’ultima volta nella tenuta reale di Sandrigham, il 6 febbraio 1952. Era la giovane e già stimata figlia di Giorgio VI, il re che aveva guidato la sua nazione nella guerra contro la Germania Nazista a partire da quel celebre discorso in cui aveva avuto ragione – con britannica determinazione – della celebre balbuzie che l’aveva afflitto da sempre, e nipote di quel Giorgio V che aveva guidato la stessa nazione nella Grande Guerra mutando il nome di famiglia dal tedesco originario (e poco popolare) Hannover nell’assai più inglese Windsor (dal nome della principale delle proprietà della Corona, l’omonimo castello),

Alle sue spalle aveva già un’adolescenza trascorsa in un paese in guerra (per lungo tempo da solo contro l’Asse) nel quale la Royal Family aveva saputo dare esempio di sobrietà, determinazione e coraggio alla guida di un popolo che vedeva vacillare il suo destino imperiale e la sua stessa sopravvivenza. Elizabeth Windsor era nata il 21 aprile 1926 in un quartiere di Londra, a Mayfair, n. 17 di Bruton Street, come una inglese qualsiasi, o quasi. A quell’epoca a Buckingham Palace sul trono sedeva il nonno Giorgio V, mentre primo in linea di successione, il cosiddetto Principe di Galles, era quel futuro Edoardo VIII che avrebbe fatto il famoso gran rifiuto per poter sposare la sua amata Wallis Simpson, l’ereditiera americana divorziata mal vista dalla Chiesa Anglicana e dall’establishment.

Elizabeth ereditò il nome dalla madre, la Duchessa di York, ed una sobria e tranquilla determinazione ad assolvere alla sua funzione di rappresentanza del popolo che da sempre fa dell’imperturbabilità e dell’understatement i suoi caratteri distintivi. Quando salì al trono, la corona britannica aveva perso già il suo gioiello più prezioso, l’India liberata dalla rivoluzione non violenta di Gandhi, e stava assistendo alla trasformazione delle sue Colonie in membri del Commonwealth, la casa comune di cui la Regina era tutt’ora a capo, e che comprende nazioni diventate ormai soggetti assolutamente paritari alla Madrepatria Gran Bretagna come il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda. Gli altri stati sudditi di cui portava ancora il titolo puramente rappresentativo di Regina sono Antigua e Barbuda, Bahamas, Barbados, Belize, Grenada, Giamaica, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone, Santa Lucia e Tuvalu.

Era molto più pesante la corona che il 28 giugno 1838 era stata poggiata sul capo della sua antenata Alexandrina Victoria di Hannover, la Regina Vittoria la Grande, a soli diciotto anni. Non soltanto per l’India di cui Vittoria era designata come Imperatrice, ma perché il suo paese era all’epoca la più grande superpotenza mondiale, a capo di un impero che si estendeva su tutti e cinque i continenti e su cui veramente non tramontava mai il sole.

Regina Vittoria

Di quell’impero, dopo il ridimensionamento operato dalle Guerre Mondiali e dalla fine del colonialismo, ad Elisabetta II rimaneva molto poco allorché si accingeva a ripercorrere le orme della grande antenata. Ma dal 9 settembre 2015 ne aveva finalmente eclissato il nome, battendone il record di longevità e diventando la sovrana che ha regnato più a lungo sull’Inghilterra, sulla Gran Bretagna e sul Commonwealth da quando la Monarchia anglosassone è stata istituita. 70 anni, 214 giorni è lo score finale di Elisabetta Regina. 63 anni, 7 mesi e 2 giorni era stata la durata del regno di Vittoria, che era morta nel 1901 lasciando il trono ad un figlio ormai sessantenne, Edoardo VII, destinato a sopravviverle soltanto per nove anni.

Stesso destino è stato riservato evidentemente all’erede designato di Elisabetta, adesso che la lunga vita concessa a costei da Dio e cantata dai suoi sudditi nell’Inno Nazionale ha avuto termine. Charles ex Principe di Galles e adesso sovrano di Gran Bretagna come terzo del suo nome ha festeggiato da poco 74 anni. Del resto sua madre ha chiuso il suo bilancio terreno a 96. Decisamente più anziana della trisavola, che si era fermata ad 82.

God save the Queen, cantano più che mai adesso i sudditi rivolti alla memoria di questa graziosa sovrana che aveva fatto del motto non dire e non fare nulla il suo stile di vita a rappresentare una nazione imperturbabile ma orgogliosa, che una volta conferiva onorificenze agli eroi di una Marina, di una Aviazione e di un Esercito che ne avevano fatto un’isola imprendibile al centro del mondo. Poi ai fuoriclasse di uno sport nato – o rinato – nei suoi college, il football, o a quelli della nuova musica che dal rock della beat generation in poi ha fatto dell’Inghilterra l’unico paese capace di competere in questo campo con gli U.S.A. E che adesso affida quasi interamente alla City di Londra le sue velleità di essere ancora il centro del mondo, almeno economicamente. Hong Kong non c’è più, tornata alla Cina per scadenza dell’affitto, i Beatles neanche, ma lo Stock Exchange resiste, nei secoli dei secoli.

God save the Queen, cantavano i sudditi al funerale di una sovrana che non volle festeggiamenti per quel suo record non solo nazionale ma addirittura mondiale (l’Imperatore del Giappone Hirohito si era fermato a 63 anni e pochi giorni). Sudditi che adesso non si chiedono più se il vecchio Charles (che paradossalmente appare più ingrigito della regale madre) fosse il candidato ideale a succederle, puntando gli occhi su William, il figlio suo e della mai abbastanza compianta Lady Diana.

Ma in casa Windsor, come in ogni altra casa regnante, si regna uno per volta. Honi soit qui mal y pense, recita il motto del Nobilissimo Ordine della Giarrettiera, il più antico ordine cavalleresco europeo di cui il sovrano d’Inghilterra è per tradizione anche il capo. Sia vituperato chi ne pensa male.

Come la Prima del suo nome, Elisabetta d’Inghilterra ha conquistato prima la storia, poi la leggenda.

Autore

Simone Borri

Simone Borri è nato a Firenze, è laureato in scienze politiche, indirizzo storico. Tra le sue passioni la Fiorentina, di cui è tifoso da sempre, la storia, la politica, la letteratura, il cinema.

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