Bianca Cappello (Venezia, 1548 – Poggio a Caiano, 20 ottobre 1587)
E’ uno dei grandi gialli della storia, sicuramente quello che appassionò di più i contemporanei del Rinascimento. Un mistero che più di 400 anni dopo non ha ancora soluzione, né mai l’avrà. Chi o che cosa ha ucciso il Granduca di Toscana e la sua bellissima e chiacchieratissima moglie?
I protagonisti stessi sembravano fatti apposta per balzare agli onori della cronaca mondana, e poi – dopo che il loro tragico destino si era compiuto – al chiacchiericcio morboso di quella nera. Francesco I de’ Medici, secondo Granduca dopo il padre Cosimo, era stato uno dei partiti più appetibili tra le teste coronate d’Europa. Di bell’aspetto e di notevole intelletto, era succeduto al padre quand’egli aveva abdicato, ancora in vita. Per lui e per la dinastia, Cosimo aveva realizzato il colpaccio facendogli sposare Giovanna d’Austria, la più giovane delle figlie dell’Imperatore Ferdinando. Con quelle nozze, i Medici si imparentavano nientemeno che con la famiglia Asburgo, coronando la loro ascesa sociale come neanche i più sfrenati sogni di Giovanni di Bicci e di Cosimo il Vecchio avrebbero osato immaginare.
Il matrimonio dei principi ereditari fu come tanti altri dell’epoca: conveniente, ma infelice. Probabilmente non avrebbe funzionato comunque, stante la diversità di carattere e la difficoltà della principessa Asburgo di dare un erede maschio al casato mediceo. E stante anche la propensione di Francesco a cercarsi gratificazioni extraconiugali. Di sicuro, l’unione non sopravvisse all’entrata in scena di lei. Un’altra principessa venuta dal mare.
Come una protagonista di uno sceneggiato televisivo degli anni settanta, Bianca Cappello era in pratica una specie di reincarnazione. Se il Quattrocento fiorentino, e non solo, aveva sospirato al passaggio di Simonetta Vespucci, il Cinquecento avrebbe fatto altrettanto a quello della giovane rampolla di due delle famiglie veneziane più prestigiose. Morosini (la famiglia che sfornava alla Serenissima Dogi in serie) per parte di madre, Cappello per parte di padre, Bianca aveva quattro quarti di nobiltà ed altrettanti di bellezza.
Come Simonetta, giunta a Firenze da Genova, anche Bianca veniva dal mare, ma dalla repubblica marinara rivale di Genova, Venezia. Come la ragazza che un secolo prima era andata in sposa al prestigioso erede dei facoltosi Vespucci, la ragazza a cui fu combinato il matrimonio con il giovane Pietro Bonaventuri, ramo cadetto della storica ed altrettanto prosperosa famiglia dei Salviati, non aveva che sedici anni.
Diversamente da Simonetta, il cui passaggio su questa terra fu talmente breve da non darle tempo materiale di divenire oggetto di invidie e malanimi, Bianca visse abbastanza, 37 anni, da attirarseli invece tutti addosso. Se Simonetta aveva stregato il cuore al giovane Giuliano fratello di Lorenzo il Magnifico, Bianca fece altrettanto un secolo dopo con il giovane Francesco, appena salito al trono granducale. Tecnicamente, fu l’impenitente Francesco a corteggiarla, ma fu lei a conquistarlo.
Galeotta non fu, come cento anni prima, una giostra di cavalieri che inseguivano gli ultimi bagliori romantici di un Medioevo ormai prossimo al tramonto, ma una più cinquecentesca cena di signori. L’èlite di Firenze, come succedeva ai tempi in cui i Medici erano signori della città soltanto di fatto, continuava a riunirsi – parenti, amici e conoscenti – nelle ville medicee anche e soprattutto adesso che lo erano diventati di diritto.
Allora, come lo sarebbe stata dopo, mentre in città durava ancora il periodo aureo inaugurato da Cosimo il Vecchio e riportato in auge da Cosimo il Granduca figlio del ramo popolano, Firenze era uno strano ed incredibile miscuglio di grandezza d’animo e di piccineria, di superba ed ineguagliabile immaginazione su cui soffiava uno spirito senza confini e contro cui si scontrava tuttavia una mentalità angusta come lo spazio della bottega in cui molti fiorentini si guadagnavano prosaicamente da vivere.
Ossequiosi e nello stesso tempo invidiosi; orgogliosi e nello stesso tempo non dimentichi di una ostilità verso i propri signori che risaliva alle congiure contro Giovanni, Cosimo e Lorenzo (ed alle rappresaglie di costoro); visionari e nello stesso tempo meschini; artisti e nello stesso tempo bottegai (nel senso meno nobile del termine), i fiorentini si inchinavano ai Medici ma non li amavano. E per quanto sfarzo e bellezza la famiglia continuasse a spargere ancora per le strade di Firenze, parlavano male alle sue spalle più che volentieri.
Dal momento in cui giunse a Firenze ed il giovane Granduca posò gli occhi su di lei, Bianca Cappello divenne quella là. L’amante. Poco importava che lo fosse davvero. Improvvisamente scopertasi bigotta, la sua città adottiva per lei non ebbe mai altro che disprezzo. Era il 1564. Otto anni dopo il marito di lei, Pietro Bonaventuri, rimase vittima di una imboscata letale per le strade del centro. La vicenda fu liquidata dandone la colpa alla vita sregolata del Bonaventuri ed alle inimicizie che si era fatto, ma la vox populi non ebbe dubbi: la longa manu era quella granducale, la signora Cappello si era resa disponibile per diventare qualcosa di più dell’amante del Granduca, il quale aveva offerto a tal fine i suoi buoni uffici. In altri tempi, di ardori repubblicani ancora vivi, ciò avrebbe incendiato le strade di Firenze. Ma quei tempi erano passati da un pezzo.
Come passò, dopo altri sei anni, a miglior vita la Granduchessa Giovanna, proprio quando sembrava che avesse potuto finalmente dare un erede in carne ed ossa al sogno asburgico dei Medici. A quel punto, Bianca era l’amante ufficiale di Francesco da tempo, e Francesco non fece mistero di volerla regolarizzare. La donna più bella e più malvoluta di Firenze salì all’altare ed al trono il 10 giugno 1579. E a quel punto la più fiorentina delle leggende nere si scatenò.
L’unico figlio maschio di Francesco e Giovanna, Filippo, non sopravvisse alla madre che quattro anni. Nel 1582 la nuova coppia granducale era senza eredi, a meno di non voler considerare tale Antonio, il figlio nato loro durante il periodo della clandestinità. Francesco lo legittimò nel 1583. E a quel punto probabilmente firmò la condanna a morte propria e della propria consorte.
Complice anche l’aura di mistero che circondava certe attività private del Granduca, notoriamente appassionato di alchimia e di altre arti che allora venivano considerate come occulte, Bianca Cappello divenne per i fiorentini la strega. Colei che approfittando di chissà quale di quelle arti condivise con l’amante/marito, era riuscita a legarlo a sé in maniera indissolubile, che al popolo sembrava contro natura.
In altre parti d’Europa, per simili accuse le donne finivano sul rogo, protestanti o cattoliche, popolane o nobili che fossero. Ma a Firenze, patria per quanto in difficoltà del Rinascimento, la Santa Inquisizione non aveva ancora libero accesso. Il destino di Bianca e Francesco non sarebbe stato deciso da un tribunale ecclesiastico.
Di ecclesiastici, per la verità, ne sarebbe bastato uno solo. Oltre al piccolo Antonio, la linea di successione granducale prevedeva in alternativa il fratello minore di Francesco, Ferdinando, cardinale di Santa Romana Chiesa. Giovanissimo porporato, come lo erano stati i figli di Lorenzo e Giuliano, Giovanni (poi Papa Leone X) e Giulio (poi Papa Clemente VII), aveva già messo in conto di rinunciare a quei precoci voti qualora la ragion di stato lo avesse richiesto, se al suo fratello maggiore fosse successo qualcosa.
E qualcosa, guarda caso, successe. Anche se stavolta la vox populi fu più indulgente, così come lo sarebbe stata la storia. Ferdinando I di Toscana è passato agli annali come un grande sovrano, e sotto certi punti di vista lo è stato. L’ultimo degno di questo nome della casa Medici. Ma il giallo non risolto che andò in scena nella Villa Medicea di Poggio a Caiano ci fa dubitare che non sia stato anche un assassino. Normale, semmai, per quei tempi in cui pugnale e veleno erano strumenti ordinari di governo. Ma pur sempre un assassino.
La storia di Bianca e Francesco era cominciata a tavola, ed a tavola finì. Il 19 ottobre 1587, nel dopocena, Francesco e Bianca caddero vittime di una misteriosa e grave malattia che li condusse alla tomba tra violente febbri ed atroci dolori, dopo un’agonia di ventiquattr’ore. E Ferdinando fu pronto a fare la sua mossa. Sparito nel nulla il piccolo Antonio, sparita anche la salma della granduchessa (che nessuno ha mai potuto rintracciare e alla quale furono negati perfino i funerali di stato), il nuovo Granduca fece seppellire il fratello nelle Cappelle Medicee accanto alla prima moglie Giovanna d’Austria. E del destino della coppia più chiacchierata dalla chiacchierona Firenze, dopo un po’ non si parlò più.
A quanto pare, Ferdinando ordinò una autopsia sui cui esiti non esiste alcuna certezza storica. I resti del fegato di Francesco e Bianca furono rinvenuti nel ventesimo secolo da studiosi che riuscirono a stabilire la presenza di una pur lieve traccia di arsenico in entrambi. Purtroppo, le manipolazioni inesperte in quella circostanza non hanno permesso in epoca successiva di condurre attendibili esami del DNA. All’inizio del ventunesimo secolo, altri studiosi hanno stabilito che nei resti granducali fosse presente il Plasmodium falciparum (l’agente della malaria perniciosa). Ma si tratta di illazioni, la cui attendibilità scientifica, secondo le moderne tecniche forensi di acquisizione e custodia delle prove, è pressoché nulla.
Come in ogni giallo che si rispetti, il finale di quello che fu il più avvincente del Rinascimento resta aperto e suscettibile di nuovi colpi di scena, per quanto ormai improbabili.
Niente a tutt’oggi vieta comunque di pensare che Francesco e Bianca fossero a loro modo due antesignani della coppia tragica di Mayerling, Rodolfo d’Asburgo e Maria Vetzera. E che anche nel loro caso la lunga mano degli Asburgo sia intervenuta a far prendere alla storia un corso diverso da quello che sembrava stabilito.
La verità, l’unica, è che della tragica notte di Poggio a Caiano Firenze parla e fantastica da più di quattro secoli. Non ha mai perdonato l’amante, la strega, la bella avventuriera venuta dal mare che si era presa il suo trono.
Ma non ha mai potuto dimenticarla.
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