A prima vista non sembrerebbe una storia appassionante, ma a prima vista nemmeno il Watergate lo sembrava. E il personaggio protagonista non sembrerebbe meritare una noblesse letteraria, niente di paragonabile alle grandi spie o ai grandi vecchi del passato. Al massimo si merita un rilievo cinematografico, come uno dei tanti personaggi portati sullo schermo da Alberto Sordi. Il mediocre italiano medio che per far carriera sacrifica tutto e tutti.
No, la vicenda che porta Giuseppe Conte davanti al Copasir non pare proprio paragonabile ai grandi tradimenti britannici degli anni sessanta, alle trame nere italiane degli anni settanta, alle leggende nere o bianche che circolano su CIA, MI6, Mossad e compagnia bella. Anche se il presidente del consiglio ne ha un bel po’ di risposte da dare, e non solo all’organismo parlamentare preposto al controllo dei servizi segreti – che per motivi di statuto e opportunità di quelle rispose non ci metterà mai a parte – ma a tutta la nazione.
Sembra piuttosto una squallida vicenda italiana, di quelle a cui il professorino prestato alla politica (e purtroppo non ancora restituito all’università) ci sta rapidamente abituando. L’uomo ha già dimostrato una spregiudicatezza morale e politica con pochi precedenti anche in un passato come quello nostro repubblicano che di precedenti ne offrirebbe parecchi, e di tutti i tipi.
Ma stavolta siccome la vicenda del furbastro, anzi, dei furbastri italiani si inserisce in una vicenda ben più drammatica e importante, quella che qualcuno stamani definisce giustamente la guerra civile all’interno dell’impero americano, ecco che i danni che Giuseppi rischia di aver causato al suo e nostro paese potrebbero avere portata planetaria.
La vicenda è quella del Russiagate e riguarda il tentativo dell’apparato sotto-governativo americano di ostacolare in ogni modo l’ascesa prima e la permanenza poi alla Casa Bianca del nuovo presidente Donald Trump a vantaggio della cordata Obama – Clinton. Una guerra che si sta combattendo soprattutto nelle province dell’impero, come l’Italia.
Negli ultimi anni i partiti democratici di entrambe le sponde dell’oceano hanno pensato bene di ricorrere alle vie traverse, visto che quelle regolari – le libere elezioni – avevano decretato la loro sonora sconfitta.
A quanto sembra emergere, il governo Renzi prima e Gentiloni poi avrebbero offerto alla controparte americana non meglio (per ora) precisati servizi anti-Trump mettendo a tale scopo a disposizione i nostri servizi. Adesso che Trump, minacciato nientemeno che di impeachment sulla base del castello accusatorio montatogli contro dai democrats, ha deciso di passare al contrattacco, ecco arrivare a Roma l’Attorney General (Procuratore Generale, equivalente del nostro Ministro della Giustizia) William Barr e chiedere di rapportarsi con i nostri servizi medesimi per sapere come sono andate le cose.
Ecco allora la sua controparte politica, Giuseppe Conte, che fino a prova contraria riservando a sé la delega sui servizi sarebbe l’unico titolato a parlare con l’americano, dargli via libera come fosse la cosa più naturale di questo mondo. E chiamandosene tra l’altro fuori, non partecipando alla riunione.
Il fatto che un presidente del consiglio (oltretutto in quel momento dimissionario) autorizzi il membro di un governo straniero (ancorché legato al nostro paese da alleanza) a rapportarsi direttamente con i nostri servizi segreti è di una gravità inaudita sotto svariati punti di vista. Non sappiamo cosa è stato chiesto dal Copasir a Conte e cosa ha risposto quest’ultimo, e come detto è verosimile che non lo sapremo mai per motivi di sicurezza nazionale facilmente intuibili.
Ma sappiamo che per nessun motivo al mondo Conte doveva comportarsi come ha fatto, e come spiega dopo l’audizione in conferenza stampa come se fosse la cosa più naturale del mondo. Giuridicamente e politicamente, il professorino ha confezionato al suo paese un’altra perla. Che spiega tra l’altro altre perle, come quell’endorsement a ciel sereno arrivatogli il 15 agosto (in piena crisi di governo) da parte del presidente Trump. Quel go on Giuseppi! senza del quale l’uomo senza partito avrebbe trovato qualche difficoltà in più a mettere insieme il suo governo bis. Non ce lo spiegavamo, alla luce dei rapporti politici internazionali del periodo gialloverde. La spiegazione è arrivata adesso, Copasir o non Copasir.
Parlavamo dei danni arrecati al paese, per quantificare i quali non siamo legati ad alcuna necessità di segretezza connessa alla sicurezza nazionale, ma solo al buon senso. Intanto il declassamento delle nostre istituzioni politiche e del ruolo dell’Italia nell’Alleanza Atlantica, praticamente ridotto a quello di ufficio periferico, poco più di una prefettura. In secondo luogo, il pessimo servizio reso ai servizi (ci si perdoni il bisticcio di parole) americani, che vedendosi portati in qualche modo in piazza presso le loro stesse istituzioni è presumibile che presenteranno il conto ai nostri alla prima occasione. Si profila insomma un Italiagate niente male.
Il bis-Conte, non contento, si tuffa poi in una conferenza che non gli chiede nessuno, e cade di stile, di ciò che resta almeno del suo stile, buttandola in caciara e chiamando in causa per l’ennesima volta Salvini e i suoi rapporti con la Russia. E’ un signora maestra, è stato lui! veramente pietoso, miserrimo. Quest’uomo non passa giorno che non dia l’esatta misura di se stesso, un furbetto della politica che non si fa scrupoli per arrivare dove è arrivato e dove crede di poter restare.
L’abbiamo chiamato la talpa, e ce ne scusiamo con le vere talpe della storia, traditori e/o maneggioni che almeno avevano uno spessore personale. Giuseppe Conte è decisamente il peggio riuscito dei personaggi di Alberto Sordi. E sta giocando un gioco non soltanto molto più grande di lui, ma anche di tutti noi. Peccato che mandarlo a casa finirà per costarci ben più delle clausole di salvaguardia sull’IVA.
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