I seggi si chiudono alle 15,00. Alle 16,00 la suspence della campagna elettorale regionale della Toscana è già finita, insieme alle speranze di chi auspicava un cambiamento storico. Il primo exit poll è già impietoso: Giani sta in una forbice tra 44 e 47%, la Ceccardi tra 40 e 43.
E’ il primo dato che esce da SVG, verrebbe da dire che è il primo dato atteso spasmodicamente da tutto quel mondo che gravita attorno all’apparato di governo, nazionale e locale. C’è da tranquillizzare un PD (ed un suo indotto) che ha vissuto giorni difficili, credendo di avere sbagliato candidato e di essere comunque giunto al capolinea della sua storia proprio qui, in una delle Regioni dove essa è cominciata ed è stata sviluppata come una coltivazione in serra.
Nelle ultime ore le voci si sono rincorse, come al solito: portano a votare anche gli anziani decrepiti delle case di riposo, anche i morti dai cimiteri! In passato è stato fatto, ma stavolta – purtroppo per il centrodestra – sembra tutta farina di un sacco genuino (se c’è qualcosa di avariato semmai è nel rapporto tra potere ed elettorato da queste parti, ma questo è un altro discorso e lo affrontiamo più avanti). Anzi, il Viminale si premura di chiarire che soltanto il 7% degli individui sottoposti a quarantena post-Covid è stato messo in condizioni di votare. In Italia, quando le istituzioni lavorano male, in genere non fanno sperequazioni.
No, stavolta non votano i morti, sono i vivi che riconfermano il consenso al PD, ed a quello che Simona Bonafé definisce orgogliosamente – ma non si sa quanto consapevolmente – il modello toscano. La regione, intesa sia come comunità civile che come amministrazione, esce devastata ed esausta dal ventennio rosso, o per meglio dire dal ventennio di Rossi, il governatore che ha azzerato economie, servizi e bilanci per estendere diritti a tutti i viandanti togliendoli ai cittadini locali. Il governatore che negli ultimi giorni di campagna ha lanciato la corsa al suo successore girando uno spot che vorrebbe dipingerlo come un anziano signore che passeggia sereno e soddisfatto nella piazza su cui le sue stanze si sono affacciate per anni, raccontando del bene che ha fatto alla sua gente e di quello che il suo successore continuerà a fare, a differenza dei fascio-leghisti venuti da fuori. Uno spot che sembrava ridicolo, come quel fondale di cartone a cui è ridotta la Piazza del Duomo a Firenze, nascondendo realtà di sofferenza in tutte le vie del centro storico fino alle periferie e alle campagne.
Eppure al momento della verità, lo spot ha funzionato. Se non lo spot, quel rapporto singolare che i toscani hanno con quel partito che li malgoverna da generazioni, e da cui non sanno distaccarsi. Forse perché tutela ancora egregiamente interessi economici importanti, di quelle èlites professionali, di quegli zoccoli duri sociali e di quelle lobbies e logge che sommate tutte insieme fanno una maggioranza relativa di gente che di cambiare non ha nessuna voglia. E pazienza se per i prossimi cinque anni ancora i servizi sanitari e sociali saranno tendenti allo zero, donne e pensionati usciranno di casa a loro rischio e pericolo, i figli rischieranno di non tornarci proprio a casa, diritti e benefits andranno a extracomunitari e migranti più o meno irregolari, aziende e partite IVA meno fortunate di quelle che contano nelle varie corporazioni chiuderanno, o si troveranno alle scadenze impietosamente previste a pagare tasse per importi superiori a quello che possono guadagnare nelle prossime vite.
Pazienza, il modello toscano non produce più niente, ma si vende ancora bene, a casa e fuori regione a quanto pare. Come Campania e Puglia, il sistema clientelare del PD funziona ancora ed il movimentismo dei 5 Stelle in un modo o nell’altro colma le lacune. Giani chiude al 48% circa, riconfermando i risultati dei predecessori. Anche la sua competitor riconferma i precedenti, fermandosi ad un 40% che è il dato che dà la vera misura della sconfitta del centrodestra. Nel 2000 si fermò al 40% Altero Matteoli contro Claudio Martini. Nel 2010 stessa sorte, nelle stesse proporzioni, toccò a Monica Faenzi sindaco di Castiglione della Pescaia contro Enrico Rossi. Ancora nel 2015 la forbice fu riconfermata tra Rossi al secondo mandato ed il semisconosciuto Claudio Borghi, con cui la Lega faceva il suo esordio dalle nostre parti (anche se quella volta andarono a votare in meno, 48% rispetto al 57% circa di oggi, e la proporzione fu mantenuta al ribasso).
Giani chiude al 48,62, e già alla seconda proiezione alle 17,00 era avanti di sette punti, potendo affacciarsi poco dopo ad incontrare la stampa ed affermare orgoglioso «Io sono Giani», con tono da grande leader laburista alla Tony Blair. Nell’aria aleggiava un sequel a quella sua frase, rivolto in direzione degli avversari del centrodestra. Il grillino (nel senso del celebre Marchese di Sordi): «E voi non siete un…..»
Destra che peraltro ha fatto di tutto per non esserlo, qui a Firenze, come a Bari, come a Napoli. Non ci credevano, né Salvini, né Giorgia Meloni, né Berlusconi. E hanno puntato una volta di più su un candidato che non bucava lo schermo. Susanna Ceccardi veniva da una storica esperienza di amministrazione comunale a Cascina, nel profondo rosso della provincia pisana. Non aveva più carisma di Lucia Borgonzoni nella consultazione emiliano romagnola di gennaio, e anche lei qui in Toscana ha fatto da prestanome alla battaglia del centrodestra contro il governo di centrosinistra. Ha battuto tutti i distretti rurali, che evidentemente conosce meglio, lasciando imprevedibilmente a Giani le città. Ed i capoluoghi toscani, che tradizionalmente storcono la bocca davanti ad un rappresentante di Firenze, stavolta si sono uniti in una lega (il Patto di San Gimignano) contro la Lega.
Susanna Ceccardi non poteva vincere e non ha vinto. Al netto della predisposizione dell’elettorato toscano a farsi del male, gli stati maggiori di Lega, FdI e FI hanno dato al PD una bella mano, anche se adesso sarebbe ingeneroso scaricare la colpa sul candidato perdente. Qui in Toscana hanno perso tutti a destra, e tutti ne pagheranno il prezzo.
Il risultato referendario è la prevista valanga. Il voto era di pancia, a destra come a sinistra. Ma è la sinistra che raccoglierà il premio di quel 70% che manda a casa un terzo degli attuali parlamentari italiani. O meglio, ce lo manderà quando il Parlamento sarà stato capace di tirar fuori una legge elettorale in grado di dirci come saranno scelti i nostri prossimi rappresentanti, se e quando sarà.
La sensazione è che al netto di tante dichiarazioni di ottimi intenti, Giuseppe Conte ha appena visto blindato il suo governo fino al 2023, anche se l’equilibrio giallorosso ormai è drammaticamente spostato verso il PD dello Zingaretti trionfante a danno di un Movimento 5 Stelle ormai sceso a percentuali ridicole un po’ dovunque. Il partito che festeggia un risultato storico nel campo delle riforme istituzionali è anche quello che da ieri sera praticamente non esiste più, se non negli streaming di Luigi Di Maio.
Si riparte da qui, e da una bella riflessione che Giorgia Meloni e Matteo Salvini dovranno fare a partire già da queste prime ore, a meno che non si vogliano accontentare rispettivamente della vittoria nelle Marche ed in Val d’Aosta, con tutto il rispetto. Zaia in Veneto ha vinto – anzi stravinto – da solo, in alternativa a Salvini. C’è poco da stare allegri per i due enfant prodiges del centrodestra. Il 2020 è stato un anno orribile per tutti ed il Covid non ha semplificato il quadro politico. Ma Giorgia e Matteo (quello leghista) hanno fatto di tutto per capirci il meno possibile.
La Toscana, per quella parte che eccede il suo mal di cui essa stessa come dice il proverbio è causa, ringrazia sentitamente.
Lascia un commento