Sono arrivato ad una fase della vita in cui si cominciano ad apprezzare la meditazione ed il silenzio, magari favoriti e accompagnati dal vento che soffia sulle cime disabitate (o quasi) di molte nostre montagne.
Su queste, sul nostro Appennino, la storia di antiche tragedie interseca i sogni ad occhi aperti di gente che viene quassù per rincorrere l’illusione di potersi ricongiungere agli Dei. Si chiama proprio così, Via degli Dei. Al passo della Futa si incrocia con la strada che porta al cimitero di guerra germanico. Settant’anni fa questo era un crocevia per l’inferno, altro che via degli Dei.
Ogni volta che vengo a camminare da queste parti, mille pensieri mi si affollano nel cervello accompagnando i miei passi. Mille cose da scrivere poi, pensando con un po’ di presunzione di lasciarmi dietro qualcosa che insegni qualcosa a qualcuno. Una presunzione forse sempre meno sensata. Che ogni generazione faccia i propri errori e vi rimedi, se sopravvive abbastanza per farlo. Forse è bene contentarsi di scrivere soltanto per depositare i propri ricordi, per acquietare le proprie emozioni.
Soffiano di nuovo venti di guerra impetuosi. E allora a maggior ragione meglio ritirarsi quassù ad ascoltare il vento che soffia su queste cime dove settant’anni fa tuonava il cannone e scorreva il sangue. Meglio fermarsi a riflettere sul significato di queste croci e queste lapidi, che riportano date di nascita e di morte non più distanti di diciott’anni l’una dall’altra, nomi di ragazzi tedeschi immolati alla più infame delle cause. Soldati di un esercito maledetto fino alla fine del tempo.
Deutscher Soldatenfriedhof von Futa Pass. Oggi compie 50 anni. Soltanto qui ce ne sono sepolti oltre trentamila. E’ il più grande cimitero di guerra germanico in Italia, rimasto a testimoniare di quei due anni di immane follia in cui questi ragazzi seminarono anche da queste parti orrore e morte, come già avevano fatto nel resto d’Europa. Non è un caso che qui ce ne siano sepolti così tanti. Questo era il fulcro della Linea Gotica. A sfondare questo fronte gli Alleati ci misero oltre otto mesi. SS e Wehrmacht stabilirono qui la loro ultima disperata resistenza prima della rotta finale. L’ordine di Hitler era quello di morire piuttosto che arrendersi. Tutti, fino all’ultimo uomo. E così fu fatto. Ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer.
Il colpo d’occhio è quello di tutti i cimiteri di guerra. Eppure non riesco a provare la stessa commozione che mi danno i cimiteri americani. Quello di Falciani alle porte di Firenze, quello del Giogo – qui vicino – dove sono sepolte le vittime di questi qui, dei ragazzi nazisti. Quelli della Normandia. Quelle croci bianche dopo tanto tempo mi stringono il cuore allo stesso modo. So bene che sono nato in un mondo accogliente e confortante soltanto grazie ai ragazzi sepolti sotto a quelle croci.
Questi qui invece, mi dispiace, con tutta la pena che possono fare non sono la stessa cosa. Erano imbottiti di metanfetamina e dell’ideologia più aberrante dell’intera storia dell’umanità. O che forse semplicemente riassumeva e sintetizzava tutte le precedenti sue aberrazioni. Furono capaci di qualunque cosa, i Karl, i Gustav, gli Johannes, i Fritz che adesso giacciono sotto queste croci. E grazie ai quali questo lembo di terra è diventato adesso territorio della Repubblica Federale di Germania. Non della Repubblica Italiana. Alla fine, la Germania qualche conquista territoriale l’ha ottenuta con la Seconda Guerra Mondiale. E non è che i suoi figli attuali la gestiscano con molta maggiore simpatia rispetto ai loro antenati di settant’anni fa, almeno a giudicare da come ti accolgono quando arrivi in visita.
Questo è quello che penso. Avere simpatia per i tedeschi è concettualmente impossibile, disse una volta mio padre. Che se li ricordava con l’elmetto nazista in testa. E io bambino – come lo era stato lui al tempo in cui quei ricordi si erano stampati indelebilmente nella sua mente – ascoltavo quei racconti destinati a segnare indelebilmente anche me.
Non ho simpatia per queste croci, questi nomi, queste date. Per quella bandiera tedesca che sventola sul mausoleo qui nel centro della mia terra. Non ho simpatia né commozione per questi trentamila. Non l’avrò mai. Fossero vissuti loro, né io né i miei cari adesso saremmo qui. Non ho simpatia per quelli che vengono qui a radere l’erba e a mantenere strutture e fioriere. Li ho visti all’opera anch’io, e non solo qui. Sembrano pronti a rimettersi l’elmetto in testa e a fare di questo continente di nuovo un luogo di sofferenza. Forse lo stanno già facendo.
Non ho simpatia per ragazzi che avevano si e no diciott’anni quando la loro vita fu stroncata. E’ brutto da dire, lo so, ma è così. Però posso avere almeno rispetto. La morte alla fine lo merita sempre. La morte ed il pensiero che prima o poi altri ragazzi come questi saranno mandati a morire altrettanto stupidamente.
E ci saranno altri anniversari. E altrettanta gente che li ignorerà.
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