Nella foto, Il Quarto Stato (Giuseppe Pellizza da Volpedo)
Quello che culminò nella rivolta di Haymarket a Chicago non era il primo sciopero che coinvolgeva le maestranze operaie dell’industria statunitense, ma fu il primo che si concluse con una tragedia di sangue talmente grave da imporre all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale le sue conseguenze, fino al punto di rendere necessaria alla sensibilità generale una sua commemorazione a scadenza annuale.
Nei primi giorni del maggio 1886, alla fabbrica di macchine agricole McCormick la polizia di Chicago non distinse tra ordine pubblico e quelli che un giorno si sarebbero chiamati diritti sindacali. Aprì il fuoco per disperdere un assembramento non autorizzato, lasciando sul terreno due operai morti e diversi feriti. Gli anarchici e i socialisti che avevano organizzato lo sciopero risposero chiamando a raccolta i lavoratori ad Haymarket Square.
Due giorni dopo il primo fatto di sangue, ignoti lanciarono una bomba contro i poliziotti credendo di rendere loro la pariglia, o così almeno sembrò. Risultato, sei morti e cinquanta feriti. Il numero di morti e feriti provocati dalla reazione della polizia è a tutt’oggi sconosciuto. A questi morti devono aggiungersi i sette agitatori arrestati e dati in pasto ad un’opinione pubblica che voleva colpevoli e li voleva veder giustiziati, un po’ come sarebbe successo a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti una quarantina di anni più tardi, in un’altra località di quel Nuovo Mondo che cominciava a temere le idee socialiste e stentava d’altro canto a riconoscere ai lavoratori quei diritti che a leggere la costituzione americana sembravano lapalissiani.
I condannati furono giustiziati un anno e mezzo dopo circa, ma l’eco internazionale dei gravi fatti di Haymarket non si spense. A Livorno, le maestranze del porto presero d’assalto il consolato americano per protesta. A Berlino il cancelliere Bismarck si vide costretto a proibire – alla maniera prussiana – qualsiasi manifestazione a sostegno dei condannati di Haymarket. Il presidente USA in carica, Grover Cleveland, preoccupato di ristabilire un’immagine internazionale positiva del suo paese e nello stesso tempo di stemperare una escalation che sembrava destinata a condurre verso uno sbarco in pompa magna del socialismo sulle coste nordamericane dell’Atlantico, propose e ottenne dal Congresso che a partire dall’anno successivo, 1889, il giorno 1° maggio fosse dedicato alla commemorazione dei Martiri di Chicago e si estendesse anche oltre, fino a diventare una vera e propria Festa del Lavoro.
In Europa, i delegati della Seconda Internazionale Socialista riuniti a Parigi non si fecero scappare l’occasione e dichiararono la festività di portata internazionale. Da allora i lavoratori ebbero la propria ricorrenza celebrativa. Perché i rispettivi governi ne facessero una data ufficiale del calendario bisognò attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale. In un mondo che si era alla fine ritrovato attorno a valori di libertà pagati a carissimo prezzo, i lavoratori ebbero finalmente riconosciuto il loro Labour Day.
In Italia durante il Ventennio fascista la Festa del Lavoro era stata accorpata a quella del Natale di Roma, il 21 aprile, per non dare troppo risalto ad una celebrazione che, strumentalizzata quanto si vuole, richiamava pur sempre all’immaginario collettivo quello sventolio di bandiere rosse con cui era nata a suo tempo. Il 1° maggio più celebre, drammaticamente celebre, sarebbe stato tuttavia quello del 1947 allorché nella località siciliana di Portella delle Ginestre durante un comizio sindacale una banda di gangsters agli ordini del leggendario bandito Salvatore Giuliano aprì il fuoco sui lavoratori riuniti facendo una strage. Con 11 morti e 50 feriti circa, fu senza dubbio la celebrazione più realistica della ricorrenza di Haymarket che si ricordi.
Al processo tenutosi a Viterbo dopo che lo stesso Giuliano era stato fatto fuori dalle forze dell’ordine in circostanze mai chiarite, emersero una tale quantità di versioni contrapposte e di depistaggi da rendere praticamente impossibile l’accertamento della verità. Alla versione ufficiale della strage mafiosa si contrappose quella che individuava i mandanti nei servizi segreti già allora deviati. L’ex luogotenente di Giuliano Gaspare Pisciotta arrivò a dichiarare che mandanti della strage erano stati un gruppo di notabili democristiani collusi con Cosa Nostra tra i quali spiccavano i nomi di Mario Scelba, allora ministro dell’interno del governo De Gasperi, e Bernardo Mattarella, padre dell’attuale presidente della repubblica. La sentenza finale della Corte d’Assise di Viterbo dichiarò infondate tutte le versioni fornite in sede processuale dagli imputati, a cominciare da quelle di Pisciotta che di lì a poco avrebbe concluso la sua carriera sorbendo il primo caffè alla stricnina servito al carcere palermitano dell’Ucciardone.
In epoca più recente, anche se non sempre meno difficile e sanguinosa, risale al 1990 la decisione della Triplice sindacale C.G.I.L. C.I.S.L. e U.I.L. in accordo con il Comune di Roma di festeggiare la giornata dei lavoratori con un megaconcerto in Piazza San Giovanni in Laterano. Tutto ciò ovviamente prima dell’era Covid.
Lascia un commento